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Oscillazioni cardiogeniche ed attività respiratoria.

21 gen 2022

Proseguiamo l'analisi del caso presentato e discusso nei post precedenti (29/12/2021 e 08/01/2022). 

Molti lettori di ventilab si sono soffermati sulle oscillazioni visibili sulla curva pressione (ed in misura minore su quella di flusso). Le interpretazioni sono state sostanzialmente due: 1) sono il segno di attività respiratoria del paziente non sincrona con il ventilatore; 2) sono artefatti cardiaci.

Per cercare di capire quale delle due interpretazioni sia corretta (o se lo sono entrambe) analizziamo sistematicamente il tracciato (che ripropongo in figura 1) con il metodo RESPIRE (vedi post del 24/09/2017 e 30/04/2019).

I passaggi R (Riconosci le curve importanti ) ed E (Espirazione del ventilatore) sono di fatto già proposti nelle figure 1 e 2 del post del 08/01/2022.
 

Figura 1

Ora procediamo con la S (Supponi che il paziente sia passivo). Con la ventilazione pressometrica ci si aspetta pressione inspiratoria costante e flusso decrescente. L'espirazione, in qualsiasi modalità di ventilazione, dovrebbe avere pressione costante sul livello di PEEP e flusso decrescente. Nella figura 2 la linea tratteggiata bianca identifica come potrebbero essere le curve se il paziente non avesse attività respiratoria.
 
Figura 2
 
Ora vediamo il dove mettere il paziente (P), cioè tra la curva di pressione in alto e quella di flusso in basso (figura 3),

Figura 3
 
e iniziamo a pensare come una sua eventuale attività Inspiratoria (I) modificherebbe le curve (figura 4).

Figura 4
 
Con il metodo RESPIRE (che ha una base fisiologica che per semplicità non affrontiamo) l'attività inspiratoria del paziente "attira" le curve verso la sua posizione: "alza" la curva di flusso ed "abbassa" quella di pressione rispetto all'atteso.  
In caso di attività del paziente le variazioni di flusso e pressione devono essere concordi, cioè entrambe si devono "allontanare" o "avvicinare" al paziente. L'attività del paziente potrebbe manifestarsi anche solamente su una sola delle due tracce: solo sul flusso durante il tempo espiratorio del ventilatore, sul flusso o sulla pressione (a seconda del ventilatore meccanico in uso) durante il tempo inspiratorio del ventilatore. Non si possono però mai attribuire al paziente variazioni di flusso e pressione non concordi, cioè se una curva si "avvicina" e l'altra si "allontana" dal paziente.

Esaminando il flusso inspiratorio nell'area evidenziata in figura 4, si vede un piccolo incremento rispetto all'atteso (si avvicina al paziente). Per poter ipotizzare che questo sia una conseguenza dell'attività inspiratoria del paziente, la pressione delle vie aeree dovrebbe o diminuire (avvicinarsi al paziente) o rimanere immodificata. In questo caso vediamo che, nell'area evidenziata, la pressione è leggermente più alta rispetto alle altre parti dell'inspirazione (si allontana dal paziente), condizione che nel RESPIRE attribuiamo all'attività espiratoria. Quando i segnali di flusso e pressione suggeriscono attività respiratorie antitetiche (inspirazione sul flusso, espirazione sulla pressione) escludiamo che questi segni siano attribuibili all'attività del paziente: possiamo quindi concludere che in questo monitoraggio non vi è attività inspiratoria del paziente.
 
Il passo successivo è ricercare momenti in cui la pressione è costante e il flusso è assente (R: fase di Rilasciamento ed equilibrio): questa è l'unica condizione in cui la pressione misurata dal ventilatore diventa uguale alla pressione all'interno dei polmoni.

Figura 5
La fase senza flusso a pressione costante (seppur con piccole oscillazioni) è presente alla fine del flusso inspiratorio. Il valore è di 23 cmH2O nel ventilatore meccanico, che se ottenuto in assenza di attività espiratoria del paziente (quella inspiratoria l'abbiamo già esclusa nel punto precedente) è anche la pressione nei polmoni a fine inspirazione (figura 5).
 
Terminiamo con la ricerca dell'attività espiratoria (E) del paziente. 
Nelle figure 6 e 7 vediamo sul flusso due brevi, minimi ma evidenti abbassamenti del flusso, uno in inspirazione ed uno in espirazione.

Figura 6
In entrambi i casi si osserva contemporaneamente un aumento della pressione. Si propongono quindi coerentemente come segni di espirazione del paziente
Le oscillazioni nella pressione delle vie aeree sono molto frequenti e regolari, ne vediamo 13 nei poco più di 7 secondi di registrazione (figura 8), che corrisponde a circa 110 al minuto.
 
Figura 8
 
Questa frequenza era molto simile alla frequenza cardiaca del paziente. Dobbiamo quindi concludere che le alterazioni di pressione delle vie aeree (e le minime alterazioni di flusso) sono oscillazioni cardiogeniche, cioè indotte dal battito cardiaco.
 
Questo ci porta a due interessanti riflessioni:
1) le oscillazioni cardiogeniche sono a tutti gli effetti un'attività respiratoria del paziente, originata dal battito cardiaco invece che dall'attività dei muscoli respiratori.
Le oscillazioni cardiogeniche inducono le variazioni di pressione intrapolmonare che sono alla base delle variazioni di pressione e flusso. Esattamente come i muscoli respiratori, che generano variazioni di pressione alveolare, anche se di entità ben maggiore, per dare origine al flusso nelle vie aeree. Per questo motivo il metodo RESPIRE identifica le oscillazioni cardiogeniche come un'attività respiratoria del paziente, non distinguendone l'origine cardiaca o respiratoria perché dal punto di vista meccanico hanno lo stesso impatto.
2) Il meccanismo delle oscillazioni cardiogeniche è tutt'altro che banale. Se le osserviamo nella figura 8, i picchi positivi delle oscillazioni cardiogeniche sulla pressione delle vie aeree (in corrispondenza delle linee tratteggiate bianche) ci ricordano i picchi delle pressioni vascolari durante la sistole. Oltre alla morfologia, la loro durata è più in accordo con la minor durata della sistole rispetto alla diastole.
Se riflettiamo bene, far corrispondere i picchi delle oscillazioni cardiogeniche con la sistole è in contraddizione con la variazione di volume del cuore: durante la sistole infatti il cuore si riduce di volume, pertanto la sua impronta sui polmoni dovrebbe diminuire, generando una piccola espansione polmonare ed una conseguente riduzione di pressione intrapolmonare: proprio il contrario di quanto osserviamo nel nostro caso.
Durante la sistole però aumenta il volume vascolare intratoracico e si ha la trasmissione dell'onda pulsatile dell'arteria polmonare al gas contenuto nelle vie aeree, meccanismi che entrambi incrementano l'impronta vascolare sugli spazi aerei e di conseguenza aumentano la pressione intrapolmonare in sistole.
Contrazione cardiaca e pulsazione arteriosa polmonare inducono quindi variazioni di volume e pressione di segno opposto sugli alveoli.
L'effetto diretto del battito cardiaco è si manifesta chiaramente nelle zone polmonari iuxtacardiache (in particolare il lobo inferiore sinistro), mentre nelle altre porzioni del polmone si rilevano variazioni in opposizione di fase rispetto a quelle del lobo inferiore sinistro (1, 2).  
Questi dati possono essere coerentemente interpretati in questo modo: nel lobo inferiore sinistro prevale il meccanismo diretto di compressione-decompressione del cuore verso il polmone, cioè in sistole il volume del cuore si riduce e si espande il parenchima polmonare circostante e viceversa in diastole. Negli altri lobi polmonari la trasmissione diretta del battito cardiaco non è rilevante ma lo diventa l'incremento sistolico della volume ematico intrapolmonare e la trasmissione diretta dell'onda pulsatoria dei vasi arteriosi polmonari, con incremento della compressione degli spazi aerei polmonari in sistole e decompressione in diastole. L'effetto netto totale vede prevalere l'impatto della pulsazione arteriosa polmonare rispetto alla contrazione cardiaca, come abbiamo anche intuito nel nostro caso-studio osservando un "picco sistolico" nella pressione delle vie aeree.
Questa interpretazione è confermata anche dall'osservazione che le oscillazioni cardiogeniche persistono anche a torace aperto quando il cuore non è a contatto con i polmoni e sono invece eliminate dal clampaggio dell'arteria polmonare a cuore battente (3).

Finiamo l'analisi dell'attività espiratoria del paziente ponendo attenzione all'ultima evidentissima differenza tra le curve ipotizzate se il paziente fosse passivo e quelle realmente rilevate. Nella fase espiratoria si vede la pressione che rimane a lungo decisamente più alta del livello di PEEP applicato, che viene raggiunto solo al termine dell'espirazione (figura 9).
 
Figura 9
 
Questo comportamento, decisamente anomalo, potrebbe essere ascrivibile all'espirazione attiva del paziente solo se fosse concordemente associato ad un aumento del flusso espiratorio, che però in realtà non vediamo. Il flusso decresce esponenzialmente per tutta l'espirazione come avviene nei pazienti passivi. Inoltre notiamo che il valore assoluto del picco di flusso espiratorio è decisamente più basso di quello inspiratorio, un dato che conferma che non è logico pensare ad una attività espiratoria del paziente, che eventualmente aumenterebbe il picco del flusso espiratorio.
In assenza di attività espiratoria dobbiamo concludere che la pressione espiratoria delle vie aeree più alta dell'atteso sia un problema del ventilatore. Tratteremo ampiamente questo aspetto in un altro post.
 
La conclusione dell'analisi dell'interazione paziente-ventilatore ci consente di dire che è assente qualsiasi attività dei muscoli respiratori per tutto il ciclo respiratorio: il paziente è completamene passivo alla ventilazione. 
Esiste un'attività del paziente rilevabile sul monitoraggio che però è dovuta al battito cardiaco (le oscillazioni cardiogeniche). Le oscillazioni cardiogeniche non sono distinguibili con il RESPIRE dall'attività del paziente perché sono di movimenti respiratori generati dalle variazioni di pressione intratoracica: solo il piccolo impatto, frequente e regolare, su flusso e pressione delle vie aeree in tutte le fasi del ciclo respiratorio ci consente di distinguere oscillazioni cardiogeniche dall'attività dei muscoli respiratori.
 
Nell'attesa di arrivare a discutere quello che ha veramente attirato la mia attenzione in questo caso, come sempre un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia

  1. Collier GJ, Marshall H, Rao M, Stewart NJ, Capener D, Wild JM. Observation of cardiogenic flow oscillations in healthy subjects with hyperpolarized 3He MRI. J Appl Physiol 2015; 119:1007-1014
  2. Dubsky S, Thurgood J, Fouras A, R Thompson B, Sheard GJ. Cardiogenic airflow in the lung revealed using synchrotron-based dynamic lung imaging. Sci Rep 2018; 8:4930
  3. Suarez-Sipmann F, Santos A, Peces-Barba G, Bohm SH, Gracia JL, Calderón P, Tusman G. Pulmonary artery pulsatility is the main cause of cardiogenic oscillations. J Clin Monit Comput 2013; 27:47-53


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Sforzo inefficace

24 set 2017


Ricapitoliamo brevemente l’approccio sistematico all’analisi del monitoraggio grafico proposto più dettagliatamente nel post del 20/08/2017, che abbiamo definito come metodo RESPIRE: R: riconosci le curve importanti (pressione e flusso); E: espirazione del ventilatore (identifica le fasi tra l’inizio del flusso negativo e l’inizio del successivo flusso positivo); S: supponi che il paziente sia passivo (immagina le curve come potrebbero essere molto approssimativamente durante una ventilazione controllata); P: punto di vista del paziente, tra la curva di pressione e quella di flusso; I: inspirazione del paziente (le curve gli si avvicinano rispetto a come hai supposto fossero in condizioni di passività); R: rilasciamento ed equilibrio (fasi di pressione costante a flusso zero in cui si va verso un equilibrio tra pressione delle vie aeree ed alveolare); E: espirazione del paziente (le curve gli si allontanano rispetto a come hai supposto fossero in condizioni di passività).

Ora utilizziamo questo metodo per capire cosa sono quelle oscillazioni di flusso e pressione all’inizio dell’espirazione che avevamo visto nel post precedente e di cui abbiamo rimandato la spiegazione ad oggi (figura 1).


Figura 1

Siamo abituati a considerare la variazioni di flusso durante l’espirazione come un tentativo, non riuscito, di inspirazione del paziente durante la fase espiratoria. Lo definiamo sforzo inefficace. Ciò che vediamo nei cerchi bianchi della figura 1 potrebbe essere quindi una asicronia paziente-ventilatore riconducibile a qualcosa di simile allo sforzo inefficace.

Iniziamo il ragionamento analizzando con il RESPIRE un caso di sforzo inefficaceclassico“.


Dopo aver riconosciuto le tracce di pressione e flusso (R), individuiamo le fasi espiratorie (E), che nella figura 2 abbiamo identificato con le sigle E(1), E(2), E(3) ed E(4). Occupiamoci esclusivamente della terza espirazione della figura, cioè di E(3), che vediamo riprodotta in dettaglio nella figura 3.

Figura 3

Supponiamo (S) come potrebbe essere il flusso espiratorio passivo, che immaginiamo esponenzialmente decrescente (linea tratteggiata rossa).

Pensiamo al punto di vista del paziente (P), che, semplificando rispetto al post del 20/08/2017, abbiamo rappresentato come un individuo che respira posizionato tra le due curve (pressione sopra e flusso sotto). Le alterazioni delle curve rispetto a quanto abbiamo supposto, sono spiegabili dall’attività respiratoria del paziente sovrapposta a quella del ventilatore meccanico? Ricordiamo che l’attività inspiratoria spontanea del paziente aumenta il flusso e tende a ridurre la pressione (se il ventilatore non compensa perfettamente) o la lascia costante (se il ventilatore è efficientissimo).

E’ presente inspirazione del paziente (I)? Abbiamo cioè aumenti del flusso (movimenti verso il punto di vista del paziente P) rispetto a quanto abbiamo supposto (S)? Nel punto 1 della figura 3 vediamo in effetti che la curva di flusso si avvicina al paziente rispetto a quella ipotetica, come se il paziente “la inspirasse”. Questo è compatibile con un’attività inspiratoria del paziente (pur essendo il ventilatore in fase espiratoria). Vediamo ora che succede alla traccia di pressione: ha un andamento compatibile con l’inspirazione del paziente? La pressione resta sostanzialmente costante (forse si riduce lievemente) nel punto della presunta inspirazione del paziente rilevata sulla traccia di flusso.  Anche questo è compatibile con l’eventuale attività inspiratoria del paziente: il compito del ventilatore durante l’espirazione è infatti quello di mantenere costante la PEEP impostata. Se il ventilatore non riuscisse ad adempiere perfettamente il proprio compito, potrebbe esserci in questa fase un piccolo calo di pressione dovuto al fatto che il paziente sottrae dal circuito respiratorio più aria di quanta il ventilatore riesca a metterne. Un aumento di pressione in questo momento sarebbe l’unico reperto inconciliabile con un tentativo di inspirazione del paziente nella fase di espirazione del ventilatore: se il paziente tenta di inspirare (sottraende aria al circuito), la pressione nel circuito del ventilatore non può certo salire. Concludiamo quindi che quanto stiamo osservando è attribuibile all’attività inspiratoria del paziente.

Esistono punti di rilassamento dei muscoli respiratori e conseguente equilibrio delle pressioni tra paziente e ventilatore (R)? Nel punto 3 possiamo certamente affermare di sì: il flusso è 0 e la pressione è quella impostata come PEEP. In assenza di flusso a pressione costante, la pressione nel ventilatore è uguale a quella polmonare. Se siamo a fine espirazione concludiamo che non esiste autoPEEP.

Figura 4


Esiste espirazione attiva del paziente (E)? Sembra di no: concluso l’effetto del tentativo inefficace di inspirazione visto al punto 1, dal punto 2 riprende un flusso espiratorio esponenzialmente decrescente, come evidenziato dalla nuova riga di flusso rossa tratteggiata in figura 4.

 

Potrebbe rimanere da interpretare quel piccolo aumento di pressione che vediamo immediatamente prima del punto 2, ma volutamente lo tralascio perchè sarebbe una spiegazione forse lunga e complessa per un evento clinicamente insignificante.

Applicando il metodo RESPIRE abbiamo così accertato che quello che abbiamo visto è un tentativo di inspirazione durante l’espirazione, cioè uno sforzo inefficace. Certamente per asincronie così evidenti come questo sforzo inefficace, i lettori di ventilab non avevano certo bisogno di un approccio così metodico. Vediamo però se questo può essere utile quando le cose sono meno chiare ed analizziamo ciò che è stato evidenziato nella figura 1, di cui riproduciamo un dettaglio in figura 5.

Figura 5

Come sempre riconosciamo (R) pressione e flusso ed identifichiamo le espirazioni (E), in questo caso indicate con E(1) ed E(2). Analizziamo E(2) e supponiamo (S) come potrebbe essere l’espirazione passiva, identificata con la linea rossa tratteggiata. Quindi poniamo il punto di vista del paziente (P) tra le due curve. Un’analisi di questa espirazione è stata fatta nel post del 20/08/2017, oggi ci occupiamo esclusivamente della sua parte iniziale. Quello che vediamo possono essere sforzi inefficaci?

Concentriamo la nostra attenzione sul momento identificato dalla linea azzurra tratteggiata. Ci sono segni compatibili con l’inspirazione del paziente (I)? Il flusso di avvicina verso il paziente, evento compatibile con una sua attività inspiratoria. Ma nello stesso istante la pressione nelle vie aeree si allontana dal paziente, cioè aumenta. L’incoerenza tra la variazione di flusso e di pressione esclude che ciò che vediamo sia dovuto ad attività inspiratoria del paziente.

Nella figura non vediamo momenti di riposo e rilasciamento (R). Cerchiamo quindi eventuale attività espiratoria del paziente (E), quindi flusso che si allontana dal suo punto di vista o che tende ad aumentare rispetto a quello immediamente precedente. Una simile variazione di flusso si verifica subito dopo il punto appena analizzato in figura 5, e lo vediamo rappresentato in figura 6.

Figura 6

Se riflettiamo sul momento identificato dalla linea tratteggiata azzurra, vediamo che il flusso si allontana dal paziente rispetto al flusso precedente (il precedente flusso diventa sempre il nuovo punto di partenza di una espirazione passiva con andamente decrescentemente esponenziale). Questo potrebbe essere quindi segno di una espirazione attiva. Ma se vediamo cosa succede alla pressione delle vie aeree, questa spiegazione diventa inaccetabile: in quello stesso momento la pressione delle vie aeree infatti si riduce, evento incompatibile con l’espirazione attiva del paziente.

Escludiamo quindi che queste variazioni di flusso e pressioni siano associate ad attività del paziente. Ne consegue che devono essere associate a variazioni dell’attività del ventilatore. Infatti tutto trova una semplice spiegazione se si adotta questo punto di vista: la riduzione del flusso espiratorio in figura 5 è dovuta all’aumento della pressione delle vie aeree. Quindi il ventilatore aumenta la pressione delle vie aeree, questo riduce la differenza di pressione tra polmoni e ventilatore e quindi il flusso espiratorio. Chiaramente il contrario di quanto avviene in figura 6: il ventilatore riduce la pressione e questo porta ad un aumento del flusso espiratorio. Se ci fossero dubbi o curiosità su questo aspetto, li affronterò in risposta a qualche commento (ad esempio, perchè il ventilatore si mette a fare tutta questa “confusione”?).

Il metodo RESPIRE è un neonato in fase di sviluppo. Mi farà certamente piacere ricevere critiche e suggerimenti per migliorarlo (come si può notare, si può trovare già qualche piccola evoluzione in  questo post rispetto al precedente). Tra qualche mese magari potremo raggiungere una proposta più matura (comunque mai definitiva, dal momento che la conoscenza, anche scientifica, non può mai essere definitiva). Che sarà condivisa come sempre liberamente e gratuitamente con tutti coloro che riterranno possa essere utile.

Al momento comunque il RESPIRE si sta dimostrando efficace per affrontare anche asincronie ed artefatti complessi.

Il messaggio principale di oggi mi sembra posso essere riassunto in questi punti:

  • quando si vede una curva ventilatoria “strana“, bisogna resistere alla tentazione di dare al volo diagnosi e soluzione;
  • per capire cosa accade è necessario analizzare sistematicamente la curva di flusso ed in maniera sincrona quella di pressione;
  • se le variazioni, rispetto alla ipotetica passività, delle tracce di flusso e pressione sono coerenti con la presenza di attività respiratoria del paziente, possiamo attribuirle ad esso;
  • qualora non sia soddisfatta la condizione del punto precedente, nascono da anomalie o caratteristiche del sistema ventilatore-circuito ventilatorio (più frequenti di quanto si possa pensare).

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.



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Monitoraggio grafico della ventilazione meccanica: un approccio sistematico per l'interpretazione.

20 ago 2017


Quando si prova ad interpretare le curve di pressione e flusso delle vie aeree, spesso vedo commettere un errore fondamentale: voler dare subito la diagnosi, cioè trovare la risposta giusta a colpo d’occhio, arrivandoci e non dopo una analisi ragionata. Si prova ad indovinare piuttosto che a ragionare. Certo, le asincronie più clamorose si vedono al volo, ma, se si vuole diventare davvero bravi, il metodo di gran lunga migliore è quello di applicare un approccio sistematico di lettura e giungere alle conclusioni solo al termine dell’analisi, dopo aver capito esattamente ogni singola dinamica. Un possibile approccio sistematico alla interpretazione delle tracce di pressione e flusso delle vie aeree (ABC-DEF) è stato proposto già 7 anni fa nei post del 13/08/2010, del 20/08/2010 e del 29/08/2010. Nonostante il vecchio ABC-DEF di ventilab sia semplice e sempre valido, oggi vorrei proporre un metodo completamente nuovo, fondato sulla comprensione profonda dell’interazione paziente-ventilatore. Il metodo prevede 7 fasi e lo chiameremo RESPIRE, dall’iniziale di ciascuna fase.

Oggi vedremo in sintesi il metodo RESPIRE nella sua applicazione pratica valida per tutte le ventilazioni pressometriche, cioè tutte le modalità di ventilazione meccanica ad eccezione di volume controllato, NAVA e PAV. Durante il corso “Le modalità di Ventilazione Meccanica” avremo certamente modo di dettagliare meglio il razionale del RESPIRE ed estenderne l’applicazione a tutte le modalità di ventilazione meccanica.

Applichiamo il RESPIRE ad una paziente (con peso corporeo ideale di 52 kg) ventilata con pressione di supporto 8 cmH2O e PEEP 5 cmH2O. Nella figura 1 è riprodotta la schermata completa dello schermo del ventilatore meccanico.


Figura 1

Guardando i numeri, notiamo che la frequenza respiratoria è inferiore a 30/min, il volume corrente è 8 ml/kg, il rapporto frequenza respiratoria/volume corrente è 68. Non male. Vediamo ora cosa ci aggiunge il monitoraggio ventilatorio.

Il RESPIRE può essere applicato al letto del paziente congelando/salvando lo schermo del monitor ed utilizzando i cursori che i ventilatori meccanici offrono per l’analisi delle curve salvate/congelate.

R: Riconosci e disponi le curve importanti

Il primo passo è utilizzare solo le curve di pressione e flusso, con la curva di pressione nel campo superiore e quella di flusso in quello inferiore. E’ un ordine gerarchico, perchè nelle ventilazioni pressometriche è la curva di pressione che “comanda” quella di flusso. Inoltre questo ordine sarà comodo nel prosieguo del metodo. Se il ventilatore non ci offre di default questa visione, possiamo facilmente impostarla scegliendo l’ordine delle curve da visualizzare.


Figura 2

In questo modo abbiamo eliminato molti dati inutili per l’analisi e possiamo concentrarci solo su ciò che è veramente indispensabile.

E: Espirazione del ventilatore

Ora individuiamo i punti in cui inizia e finisce la fase espiratoria sulla traccia di flusso. Sono i punti in cui la traccia di flusso incrocia la linea orizzontale per scendere sotto lo zero o per risalire sopra lo zero. Questi punti consentono di frazionare il ciclo respiratorio, definendo fase espiratoria (“exp” nelle figure) la parte che comprende il flusso negativo e fase inspiratoria (“insp” nelle figure) tutto il resto.

Figura 3

S: Supponi che il paziente sia passivo

Nelle ventilazioni pressometriche supponiamo che, in assenza di attività del paziente, sia presente una curva di pressione “quadra” in inspirazione sopra il livello di PEEP ed una curva di flusso decrescente, sia in inspirazione che in espirazione. Vediamo cosa significa.

Figura 4

Nella figura 4 vediamo come dovrebbe essere una curva di pressione passiva. Durante la fase espiratoria ci aspettiamo il livello di PEEP (in BIPAP la Pbassa durante il tempo di Pbassa), durante la fase inspiratoria un aumento di pressione pari al livello di pressione inspiratoria sopra PEEP (in BIPAP la Palta nel tempo di Palta). La velocità del passaggio dalla PEEP alla pressione inspiratoria (l’angolo α in figura) è regolato con il tempo di salita (rise time). In caso di rise time 0, l’angolo α è di 90°.

La variazione di pressione nel ventilatore determina il flusso. Quando aumenta la pressione nel ventilatore (dalla PEEP alla pressione inspiratoria), il flusso inspiratorio inizia con un picco che poi descresce verso lo zero. Quando si riduce la pressione nel ventilatore (dalla pressione inspiratoria alla PEEP), più o meno specularmente all’inspirazione, un flusso espiratorio inizia con un picco e quindi descresce verso lo zero. Il decadimento passivo del flusso è teoricamente esponenziale (con una convessità, come se fosse attratto, verso la linea dello zero) e la velocità del decadimento è determinata dalla costante di tempo dell’apparato respiratorio (vedi post del 17 luglio 2016) (figura 5).

Figura 5

Applichiamo ora questi concetti alle nostre curve. Ovviamente ci vuole un minimo di fantasia e, sullo schermo dei nostri ventilatori, non possiamo fare che altro che immaginarci le curve passive, senza poterle disegnare concretamente. Ma se ci si prova, si vedrà che in fondo è molto facile.

Figura 6

Nella figura 6 abbiamo disegnato in bianco le ipotetiche curve passive. Abbiamo posizionato la linea della PEEP un po’ più in basso della pressione espiratoria. Questo perchè la PEEP impostata è 5 cmH2O (figura 1, valore di PEEP in nero, in basso), mentre la pressione a fine espirazione misurata è 6 cmH2O (figura 1, valore di PEEP in giallo, in alto a sinistra). Sappiamo quindi che in espirazione la pressione è un po’ più alta di quella impostata.

Guardando la figura 1, sappiamo anche che la pressione di picco (14 cmH2O) è più alta della pressione che abbiamo programmato di raggiungere in inspirazione (13 cmH2O, somma di PEEP 5 + PS 8). Per questo motivo abbiamo considerato una pressione inspiratoria passiva a 13 cmH2O, un po’ più bassa del picco.

Non possiamo sapere l’entità dei picchi di flusso se il paziente fosse passivo, quale la sua costante di tempo. Ci accontentiamo quindi di immaginare flussi decrescenti (verso la linea dello zero) che partono dal picco e finiscono alla fine della inspirazione (volendo essere più fini al punto del trigger espiratorio, correzione tanto più opportuna quanto più il trigger espiratorio è alto) o alla fine della espirazione. E’ una approssimazione comunque assolutamente efficace nell’interpretare le curve.

P: Punto di vista del paziente

Per capire bene come l’attività respiratoria del paziente possa modificare le curve di pressione e flusso, può essere utile fare un altro piccolo sforzo di fantasia. Immaginiamo il paziente coricato supino sotto la curva di pressione e prono sopra la curva di flusso. Vediamo un esempio con le curve di una ventilazione in un paziente completamente passivo (pressione controllata con paralisi muscolare).

Figura 7

Notiamo preliminarmente una cosa. Nel paziente passivo, il flusso inspiratorio può avere un decadimento lineare e non esponenziale (quello espiratorio conserva comunque il decedimento esponenziale). Quindi in presenza di un flusso inspiratorio che va dal picco di flusso al suo termine seguendo una linea retta, potremo considerare il paziente passivo.

Perchè abbiamo messo il paziente in questa strana posizione? Perchè da questa posizione, quando inspira, le curve sono attirate verso la bocca del soggetto sdraiato, mentre quando espira ne sono allontanate. Cioè l’ipotetica attività respiratoria del paziente sdraiato muove le curve con la stessa direzione del flusso di aria che entra ed esce dal proprio apparato respiratorio.

Visualizziamo questo concetto nella figura 8. La figura è un po’ complicata, ma la spiegheremo punto per punto. In bianco sono state sovraimposte alcune possibili modificazioni delle curve dovute all’attività respiratoria del paziente rispetto alle curve passive.

Figura 8

L’inspirazione del paziente durante la fase di flusso espiratorio determina un avvicinamento sia della curva di pressione che di quella di flusso verso la rispettiva linea dello zero (punti 1 e 5 nella figura 8).

L’inspirazione del paziente durante la fase di flusso inspiratorio abbassa la pressione al di sotto dell’onda quadra ed aumenta il flusso rispetto alla fase di decadimento passivo (punti 2 e 6 nella figura 8). In particolare la curva di pressione si “svuota” e la curva di flusso diventa più alta della linea che idealmente congiunge il picco di flusso al flusso presente al momento della fine dell’inspirazione.

L’espirazione del paziente durante la fase di flusso espiratorio allontana pressione e flusso dalla linea dello zero rispetto all’ipotetico andamento passivo (punti 3 e 7 nella figura 8).

L’espirazione del paziente durante la fase di flusso inspiratorio aumenta la pressione delle vie aeree sopra il valore atteso e tende a far decadere rapidamente il flusso inspiratorio (punti 4 e 8 nella figura 8).

Tutto questo NON VA MEMORIZZATO: è sufficiente ricordare il paziente supino sotto la pressione e prono sopra il flusso e ragionare su come sposterebbe le curve l’aria che entra ed esce dalla sua bocca.

Da notare che qualitativamente il flusso inspiratorio è modificato allo stesso modo dall’inspirazione e dall’espirazione del paziente (punti 6 e 8 nella figura 8): in entrambi i casi si osserva una concavità verso il basso della curva di flusso. Come distinguere le due condizioni? Dobbiamo guardare la consensuale variazione di pressione.

Da considerare due presupposti fondamentali:

  • possono essere presenti alterazioni di flusso (rispetto alla passività) in assenza di alterazioni sulla curva di pressione; il flusso è molto sensibile all’attività del paziente, la pressione invece risente anche della performance del ventilatore meccanico: idealmente, se un ventilatore meccanico funzionasse prefettamente non vi sarebbe mai alcuna alterazione della curva di pressione rispetto alla curva passiva;
  • quando sono presenti alterazioni (rispetto alla passività) sia della curve di flusso che di pressione, queste devono essere coerenti tra loro (devono cioè presentarsi nelle accoppiate descritte sopra) per essere attribuibili all’attivitità respiratoria del paziente.

Infine è utile valutare se ci sono fasi di riposo ed equilibrio alla fine del flusso inspiratorio ed alla fine del flusso espiratorio. Queste fasi sono caratterizzate dalla presenza di una pressione stabile ed assenza di flusso, come ad esempio nelle zone ombreggiate della figura 9. Le piccole fluttuazioni della pressione in figura 9 sono ascrivibili al battito cardiaco. Queste zone documentano l’assenza di attività del paziente ed il raggiunto equilibrio pressorio a fine inspirazione (pressione applicata simile a pressione alveolare) ed a fine espirazione (assenza di iperinflazione dinamica).

Figura 9

I: Inspirazione del paziente

Figura 10

Ora applichiamo questi concetti alla nostra paziente, iniziando dalla verifica di eventuale attività inspiratoria.

Analisi durante la fase espiratoria. Nel punto 1 della figura 10 vediamo l’inizio della caduta di pressione durante la fase espiratoria, segno di attività inspiratoria del paziente. Interessante è la traccia di flusso: in questo caso l’avvicinamento al flusso zero non avviene dalla linea espiratoria teorica, ma con una brusco aumento di pendenza dal flusso precedente. In altre parole, prima del punto 1 il flusso espiratorio aveva una certa pendenza, seppur diversa da quella passiva. Di colpo, da questa linea di flusso con una propria pendenza (orizzonatale in questo caso), si verifica un’improvvisa risalita verso lo zero. Anche questo è segno di attività inspiratoria del paziente. Sono coerenti i segni visti su pressione e flusso, quindi sono spiegabili dall’attività inspiratoria del paziente.

Vediamo anche una zona che si ripete all’inizio di ogni fase espiratoria e che abbiamo indicato con un punto interrogativo. Qui ci sono segnali troppo ambigui per essere interpretati. La pressione fluttua sopra e sotto la linea di passività, con associate fluttuazioni del flusso. Tralasciamo in questo già lungo post l’interpretazione di questo punto, che sarà l’argomento del prossimo post.

Analisi durante la fase inspiratoria. Nel punto 2 sono evidenti sia la riduzione della pressione che l’aumento del flusso:  segni coerenti e quindi inequivocabilmente il paziente sta inspirando.

R: Riposo ed equilibrio

E’ evidente dall figura 6 che al confine tra flussi inspiratori ed espiratori non compare nessuna fase di zero flusso associata ad una pressione costante, come nell’esempio in figura 9. Non possiamo quindi in alcun modo fare previsioni sulla pressione alveolare nè a fine inspirazione nè a fine espirazione. Ne consegue che la pressione alveolare potrebbe essere più elevata della pressione di picco e che potrebbe esserci autoPEEP.

E: Espirazione del paziente

Figura 11

Analizziamo infine la presenza di attività espiratoria (figura 11).

Analisi durante la fase espiratoria. E’ evidente che la curva di flusso si allontana dallo zero nel punto 3. Il flusso espiratorio addirittura tende lievemente ad aumentare durante l’espirazione, segno tipico di espirio attivo. A questo si associa ad una pressione lievemente più alta della PEEP impostata. I segni sono coerenti, quindi abbiamo una espirazione attiva. Da considerare che l’analisi del flusso espiratorio può perdere di valore in presenza di flow limitation (vedi post del 04/06/2012).

Analisi durante la fase inspiratoria. Nel punto 4, verso la fine della fase inspiratoria vediamo l’aumento della pressione delle vie aeree oltre il valore teorico dato dalla somma di PEEP e pressione inspiratoria. Questo si associa ad una caduta verticale del flusso inspiratorio. Anhe in questo caso i segni sono coerenti con la presenza di attività espiratoria prima del termine della fase inspiratoria. Possiamo pensare a quest’ultima come al brusco rilasciamento dei muscoli inspiratori e/o all’attivazione dei muscoli espiratori.

Conclusioni.

Applicando il metodo RESPIRE ad un caso molto semplice (giusto per iniziare), possiamo concludere che:

  • la paziente triggera chiaramente gli atti respiratori (attività inspiratoria alla fine della fase espiratoria)
  • continua ad inspirare attivamente per tutta la durata della fase inspiratoria (attività inspiratoria durante la fase inspiratoria)
  • inizia ad espirare già alla fine della fase inspiratoria (attività espiratoria durante la fase inspiratoria)
  • mantiene una espirazione attiva per tutta l’espirazione (attività espiratoria in fase espiratoria)

Abbiamo insomma una paziente sempre (e tanto) attiva durante tutto il ciclo respiratorio, nonostante i numeri (volume corrente, frequenza respiratoria, volume corrente/frequenza respiratoria) ci dicano che va tutto bene. Forse possiamo ventilare meglio la nostra paziente… ma il “che fare” va oltre l’obiettivo di questo post.

Resta da capire, sempre applicando il RESPIRE, cosa siano quelle strane cose che si vedono in figura 10, contrassegnate dal punto interrogativo… Ne parliamo in settembre.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

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