In questi giorni è stato pubblicato il trial randomizzato controllato (RCT) conosciuto con la sigla RECOVERY sulla terapia steroidea nella malattia da SARS-COV-2 (COVID-19). Le conclusioni dell’abstract dicono che il desametasone riduce la mortalità a 28 giorni nei pazienti con COVID-19 con ventilazione meccanica invasiva o in ossigenoterapia ma non nei pazienti senza alcun supporto respiratorio (“In
patients hospitalized with Covid-19, the use of dexamethasone resulted
in lower 28-day mortality among those who were receiving either invasive
mechanical ventilation or oxygen alone at randomization but not among
those receiving no respiratory support.“) (1).
Anche davanti
ad un importante RCT come questo, è necessario conservare lo spirito
critico tipico del metodo scientifico ed i risultati di questo studio
devono essere integrati con le conoscenze che già abbiamo.
I limiti dei trial randomizzati e controllati.
Nonostante la fideistica fiducia nei RCT della evidence-based medicine, non
esiste alcuna dimostrazione che il risultato positivo di un RCT sia la
prova definitiva dell’efficacia di una terapia in una data malattia.
La storia recente ci insegna che numerosi RCT su trattamenti nei pazienti critici, anche se pubblicati sulle più prestigiose riviste di medicina, sono stati poi smentiti nel volgere di pochi anni.
Tra i trattamenti la cui efficacia è stata sancita da un RCT e poi
sconfessata mi vengono in mente il controllo stretto della glicemia (2),
la early-goal directed therapy nello shock settico per mantenere la
ScvO2 > 70% (3), l’uso della proteina C attivata
ricombinante umana nello shock settico (4) (successivamente ritirata dal
commercio), l’infusione di cisatracurium nelle fasi iniziali della ARDS
(5). Forse qualche altro esempio può venire in mente anche a te.
Non c’è nulla di strano nel fatto che un RCT venga smentito. Innanzitutto la sedicente evidence-based medicine è in realtà una probability-based medicine.
Questo significa, semplificando, che ogni RCT positivo ha 1 probabilità
su 20 di dimostrare efficace una terapia che in realtà non lo è. Ancora
più elevata la probabilità che un RCT negativo escluda l’efficacia di
un trattamento che in realtà è efficace: questo accade 1 volta su 5,
nella migliore delle ipotesi. Questi errori intrinseci alla metodologia
statistica vengono definiti errore di primo tipo (o errore alfa) ed
errore di secondo tipo (o errore beta).
Inoltre i risultati dei RTC sono tipicamente caratterizzati da una scarsa validità esterna, cioè sono poco generalizzabili alla vita reale,
non potendo essere necessatiamente considerati validi per pazienti con
caratteristiche diverse, curati in contesti diversi ed in periodi
storici diversi rispetto a quelli in cui si è svolto il RCT (6).
Questo
non significa certamente che i RCT siano studi di scarso valore,
tutt’altro. Semplicemente ci ricorda che i loro risultati sono
importanti, ma non possono essere accettati, con atto di fede, come la
risposta definitiva a un quesito clinico, ma devono integrarsi con le
conoscenze che acquisiamo anche con altri tipi di studi. Non esistono
studi perfetti, e i RCT non fanno eccezione.
Cortisone nella COVID-19: i dati del RCT.
Riprendiamo
i risultati del RCT RECOVERY citato in apertura, che si è svolto in 176
ospedali della Gran Bretagna. Sono stati arruolati nello studio i
pazienti con infezione sospetta o confermata da SARS-CoV-2. Alla fine il 15% dei pazienti randomizzati non aveva una diagnosi confermata di infezione da SARS-CoV-2,
ma sospettata per la presenza di insufficienza respiratoria non
cardiogena con addensamento parenchimale o vetro smerigliato al Rx
torace (quindi di fatto qualsiasi tipo di polmonite). In questi casi la diagnosi era basata esclusivamente sull’opinione del medico curante (“the diagnosis remains a clinical one based on the opinion of the managing doctor”).
Dopo
l’esclusione di 2000 (la maggior parte perché i medici curanti non
ritenevano corretto randomizzarli per il trattamento con cortisone),
quasi 6500 pazienti sono stati randomizzati per ricevere 6 mg di desametasone orale o endovenoso per 10 giorni o la “usual care”, cioè la cura normalmente utilizzata in quei 176 ospedali del Regno Unito.
Lo studio non è stato condotto in cieco,
quindi i medici curanti sapevano chi stava ricevendo il desametasone e
chi no: questo è oggettivamente un limite rilevante per qualsiasi RCT.
La
terapia poteva iniziare in qualsiasi momento del ricovero ed in
qualunque condizione clinica: alla randomizzazione il 16% dei pazienti
era intubato, il 60% faceva ossigenoterapia o ventilazione non-invasiva
(queste ultime due considerate come se fossero la stessa cosa) ed il 24%
non riceveva nessun supporto respiratorio (nemmeno l’ossigenoterapia).
Il risultato complessivo è stato la riduzione del 2.8% della mortalità a 28 giorni in chi faceva il desametasone (22.9% in chi ha fatto desametasone vs 25.7% in chi non ha ricevuto questa terapia) (figura 1, riquadro rosso).
La principale riduzione di mortalità si è verificata nei pazienti con ventilazione meccanica invasiva, in cui la mortalità con desametasone è stata il 29% a confronto del 41% dei pazienti con “usual care“.
Molto minore o assente l’efficacia nei pazienti con ossigenoterapia/ventilazione non-invasiva e senza supporti respiratori, che se considerati insieme non hanno avuto nessuna significativa differenza di mortalità (21.7% con desametasone e 22.7% con la usual care) (figura 1, riquadro blu).
Il gruppo di controllo: la “usual care“.
Ora facciamoci una domanda: il desametasone è stato più efficace di che cosa nei pazienti in ventilazione meccanica invasiva? E’ stato più efficace rispetto alla “usual care”, cioè al trattamento usuale. A questo punto pare logico chiederci quale sia stata la ”usual care” nei 1007 sottoposti a ventilazione meccanica nei 176 ospedali che hanno partecipato al RECOVERY (per una media di 5-6 pazienti per ospedale): quali sono stati i criteri di intubazione, una volta iniziata la ventilazione meccanica che volume corrente, driving pressure, PEEP, pressione di plateau sono stati applicati, quanto spesso è stata usata la pronazione, se e come i pazienti hanno ricevuto miorilassanti, ecc. ecc.
Sappiamo
bene che, anche nell’era della ventilazione protettiva, il 35% dei
pazienti con ARDS riceve un volume corrente decisamente eccessivo (> 8
m/kg di peso corporeo ideale) e quasi l’80% superiore a 6 ml/kg di peso
ideale (7). E sappiamo bene che un elevato volume corrente, PEEP non
appropriata o stress index > 1 determinano un aumento delle citochine
infiammatorie (8, 9). Lo steroide può aver un effetto anche su questa
possibile fonte di infiammazione?
Sappiamo anche che la
pronazione, anch’essa protettiva per lo stress polmonare (10–12), nella
pratica clinica spesso non è utilizzata nei pazienti con ARDS grave
(13). Quanto è stata utilizzata nei pazienti del RECOVERY?
Come abbiamo visto all’inizio del post, il risultato di un RCT dipende fortemente dalla ”usual care”, cioè dal contesto in cui il risultato è stato ottenuto e dalla combinazione con gli altri trattamenti, elementi da cui dipende la sua generalizzabilità alla nostra pratica clinica: se
non sappiamo quando e come sono stati ventilati i pazienti del RECOVERY
trial, non potremo sapere quanto possano essere validi per noi questi
risultati.
Steroide efficace nella ARDS o nella COVID-19?
Se il cortisonico fosse efficace nella COVID-19, avrebbe dovuto ridurre la mortalità in tutti i pazienti,
non solo in quelli sottoposti a ventilazione meccanica invasiva. Perchè
ha funzionato molto bene solo nei pazienti intubati e ventilati e poco o
nulla negli altri?
Chi ha visto i pazienti con COVID-19 che arrivano alla ventilazione meccanica invasiva sa bene che, a questo stadio, hanno una polmonite bilaterale. E quindi una ARDS (per la diagnosi di ARDS ti rimando al post del 24/06/2012).
Mi sembra logico dedurre che i risultati del RECOVERY supportino l’efficacia della terapia steroidea nella ARDS. Il risultato è tutt’altro che innovativo, visto che la terapia con steroidi nella ARDS era già raccomandata dalle linee-guida congiunte dell società americana ed europea di Terapia Intensiva (14) e confermata nella sua efficacia da un recente RCT nei pazienti con ARDS (15).
Il merito del RECOVERY è stato quello di fugare le perplessità sull’uso degli steroidi nei pazienti con COVID-19 quando sviluppano una ARDS. Inizialmente l’utilizzo degli steroidi nella COVID-19 era sconsigliato nel timore che potesse ridurre la clearance virale (16). I risultati del trial RECOVERY confermano questo timore nei pazienti senza grave insufficienza respiratoria (che hanno una mortalità del 15-20%), ma mostrano che quando compare una ARDS il beneficio supera il rischio. E’ quindi giustificato dare lo steroide nella ARDS anche secondaria a COVID-19.
Conclusione.
Il risultato del RCT RECOVERY purtroppo ci mostra che la terapia steroidea non è efficace per la COVID-19, altrimenti avrebbe ridotto la mortalità in tutti i livelli di gravità della malattia.
Questo studio ci conferma che lo steroide è efficace nella ARDS, anche quando secondaria a COVID-19.
L’efficacia del desametasone nella ARDS da COVID-19 è valida quando i pazienti sono trattati secondo la “usual care” (indicazioni all’intubazione, volumi e pressioni di ventilazione, farmaci associati, ecc. ecc.) del RECOVERY, che purtroppo non ci è dato conoscere… (almeno per il momento). Quindi non è detto che questi risultati siano riproducibili in ospedali con organizzazione ed “usual care” diversa da quella degli ospedali britannici che hanno partecipato al trial.
Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab. E buone vacanze! Quest’anno ce le meritiamo proprio
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