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Indice di "respiro rapido e superficiale"… oppure indice di "respiro rapido o superficiale"?

29 nov 2022

Il rapporto tra frequenza respiratoria e volume corrente (RR/VT, respiratory rate/tidal volume) è noto come indice di respiro rapido e superficiale (rapid shallow breathing index, RSBI) o indice di Tobin

Nel 1986 Tobin ha dimostrato che il volume corrente si riduce immediatamente e la frequenza respiratoria aumenta immediatamente alla sospensione della ventilazione meccanica nei pazienti che successivamente falliranno il trial di respiro spontaneo (figura 1) (1).

Figura 1
Qualche anno dopo, nel 1991, Yang e Tobin hanno mostrato che il rapporto tra frequenza respiratoria e volume corrente (misurato dopo 1 solo minuto di respiro spontaneo) era un indice accurato nel prevedere il successo o l’insuccesso del trial di respiro spontaneo per l’estubazione. Trovarono che il valore di RR/VT di 105 min-1·L-1 era quello che meglio discriminava coloro che superavano o fallivano un trial di respiro spontaneo: chi aveva un RR/VT ≤ 105 aveva buone probabilità di essere estubato, chi aveva un RR/VT > 105 invece aveva alte probabilità di fallire il weaning (2).

Come sempre, è buona cosa andare andare a leggere con attenzione i risultati riportati nell’articolo per capirne meglio il significato. Da questi vediamo che il RR/VT ≤ 105 ha un potere predittivo negativo di 0.95 ed un potere predittivo positivo di 0.78.

Traduciamo in un linguaggio più comprensibile questi numeri: i pazienti con respiro rapido e superficiale (RR/VT > 105) quasi certamente falliranno il trial di respiro spontaneo (95% di probabilità), ma non è scontato che quelli senza respiro rapido e superficiale (RR/VT ≤ 105) potranno essere estubati, poichè questo accade solo nel 78% dei casi. 

Fare una predizione positiva nel 78% dei casi non è segno di grande accuratezza. Ad un 78% di predizioni corrette fa infatti da contraltare un 22% di predizioni sbagliate, un livello di errore certamente elevato: si sbaglia in un caso ogni 4-5 pazienti, che non è poco se pensiamo che tirando a caso si sbaglia “solamente” 1 volta su 2.

Dopo più di 30 anni di utilizzo del RR/VT, è arrivata anche la meta-analisi su questo indice, seppur gravata da rilevanti limiti come quasi tutte le meta-analisi (in questo caso gli studi hanno utilizzato soglie di RR/VT molto diverse e definito in maniera difforme l’outcome dello svezzamento) (3). Premessi questi limiti, la meta-analisi ridimensiona ancor di più la predittività del RR/VT per lo svezzamento dalla ventilazione meccanica, riportando una sensibilità di 0.83 ed una specificità di 0.58 (erano rispettivamente 0.97 e 0.64 nel primo studio del 1991).

Cerchiamo ora di ragionare insieme per capire il significato del pattern respiratorio nella previsione del successo dello svezzamento della ventilazione meccanica.

Nella figura 2 vediamo un grafico frequenza respiratoria-volume corrente: tutte le possibili combinazioni di frequenza e volume che danno un RR/VT esattamente uguale a 105 sono disposte sulla linea nera trasversale che nel grafico sale da sinistra a destra.

Figura 2

Tutte le combinazioni “frequenza respiratoria-volume corrente” che danno un RR/VT < 105 cadono nell’area verde sopra la riga, mentre quelle che corrispondono ad un RR/VT > 105 sono contenute nell’area rossa sotto la riga.

Volendo semplificare, potremmo dire che i pazienti con una combinazione frequenza respiratoria-volume corrente che cade sopra la riga dovrebbero essere svezzabili, quelli sotto la riga no.

Poniamo nel grafico i pattern respiratori di tre ipotetici pazienti, che con diverse combinazioni di frequenza respiratoria e volume corrente hanno tutti un RR/VT di 80, un valore normalmente ritenuto compatibile con il mantenimento del respiro spontaneo (figura 3).

Figura 3

L’ipotetico paziente nel punto A ha una frequenza respiratoria di 30 ed un volume corrente di 0.375 L. L’indice di respiro rapido e superficiale di 80 ci farebbe prevedere la sostenibilità del respiro spontaneo, un’ipotesi che anche a buon senso può apparire ragionevole.

Ora analizziamo l’ipotetico paziente al punto B, che ha sempre 80 di RR/VT, ma con la combinazione di una frequenza respiratoria di 40/min ed un volume corrente di 0.5 L: questo paziente presenta un respiro rapido ma non superficiale, condizione tipica dei pazienti con alto drive respiratorio.

Penso sia difficile prevedere che una condizione di questo tipo possa essere mantenuta lungo in un soggetto intubato se si procede all'estubazione. Un volume minuto di 20 L è contemporaneamente sia un carico di lavoro respiratorio enorme sia un notevole stress per il parenchima polmonare. Nonostante il RR/VT favorevole, è probabile che questo paziente possa fallire l’estubazione

Prendiamo ora in considerazione l’ipotetico paziente al punto C, anch’esso con 80 di RR/VT, che ha una frequenza respiratoria di 15/min ed un volume corrente di poco meno di 190 mL: in questo caso il respiro non è rapido ma è superficiale, una condizione difficile da osservare in clinica ma utile per il nostro ragionamento. E’ difficile pensare di estubare un paziente con un volume corrente di poco superiore allo spazio morto e che quindi probabilmente sarà ipercapnico: un respiro superficiale, anche se non rapido, difficilmente può essere compatibile con uno svezzamento dalla ventilazione meccanica.

Ci è ora evidente che il vero ostacolo allo svezzamento dalla ventilazione meccanica è il "respiro rapido o superficiale". Ipotizziamo di definire rapido un respiro con una frequenza respiratoria > 35/min e superficiale un respiro con un volume corrente inferiore a 330 ml (che corrisponde a 4.7 ml/kg per una persona di 70 kg di peso ideale).

Se condividiamo queste considerazioni, possiamo così riproporre nella figura 4 il grafico della figura 3:

Figura 4
Sono state tratteggiate le aree con volume corrente inferiore a 330 ml (respiro superficiale) e con frequenza respiratoria superiore a 35/min (respiro rapido). Le possibili combinazioni di volume corrente e frequenza respiratoria che cadono nelle aree tratteggiate sono ragionevolmente poco compatibili con l’estubazione per un problema di respiro o rapido o superficiale (o entrambi).

Con questo approccio i pazienti B e C diventano probabilmente non svezzabili nonostante il RR/VT di 80. Il paziente A invece rimane un paziente in un'area con alte probabilità di weaning dalla ventilazione meccanica.

Tutta l’area rossa sotto la linea che delimita la zona del RR/VT > 105 è coperta dalle aree tratteggiate del respiro rapido o del respiro superficiale: con questa interpretazione confermiamo che RR/VT > 105 è effettivamente un predittore di fallimento del weaning dalla ventilazione meccanica (in accordo con l’elevato potere predittivo negativo già mostrato da Yang e Tobin).

Esistono però delle aree di respiro superficiale ma non rapido e di respiro rapido ma non superficiale al di sopra della riga del RR/VT di 105 (cioè con RR/VT < 105) che si aggiungono come condizioni che difficilmente sono compatibili con il raggiungimento dell’estubazione. Questo può spiegare il limitato potere predittivo negativo del RR/VT.

Forse come predittore di weaning dalla ventilazione meccanica si potrebbe passare dal “respiro rapido e superficiale” al “respiro rapido o superficiale”. Il “respiro rapido o superficiale” può essere identificato dalla presenza anche di uno solo tra una alta frequenza respiratoria (>35-40?) o un basso volume corrente (< 4-5 ml/kg di peso predetto?). Un’idea ovviamente da testare nella propria pratica clinica e nella ricerca clinica.

La figura 5 mostra in chiave insiemistica i concetti sopra esposti.

Figura 5


Il “respiro rapido e superficiale” è l’intersezione del respiro rapido e del respiro superficiale, specifica perciò una condizione più precisa rispetto a ciascuno dei due insiemi principali, quella di una probabile sproporzione forza/carico. Dal punto di vista fisiopatologico è forse un indicatore più interessante del “respiro rapido o superficiale”, ma forse come semplice indice di weaning potrebbe essere preferibile quest’ultimo.

Concludiamo sintetizzando in poche battute il contenuto del post:

  • esistono due condizioni che possono indipendentemente far prevedere il fallimento dello svezzamento dalla ventilazione meccanica di un soggetto intubato:
    • il respiro rapido (alta frequenza respiratoria)
    • il respiro superficiale (basso volume corrente)
  • il “respiro rapido o superficiale” è individuato dalla presenza di almeno di una di queste due condizioni;
  • il “respiro rapido e superficiale” (identificato da un rapporto RR/VT > 105) indica la contemporanea presenza delle due condizioni. Essendo un sottoinsieme del “respiro rapido" e del "respiro superficiale” identifica una condizione in cui è improbabile il weaning dalla ventilazione meccanica;
  • l’assenza di “respiro rapido e superficiale” (RR/VT ≤ 105) non esclude la presenza di un “respiro o rapido o superficiale”, ed in presenza di quest’ultimo il successo del weaning è comunque improbabile;
  • il “respiro rapido o superficiale” potrebbe essere più appropriato del “respiro rapido e superficiale” per identificare i pazienti con elevata probabilità di fallimento allo svezzamento dalla ventilazione meccanica.

Come sempre un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


PS: a breve pubblicherò nella pagina "I prossimi corsi "Ventilab"" il calendario 2023.


Bibliografia

1.     Tobin M, Perez W, Guenther S, et al.: The pattern of breathing during successful and unsuccessful trials of weaning from mechanical ventilation. Am Rev Respir Dis 1986; 134:1111–1118

2.     Yang KL, Tobin MJ: A prospective study of indexes predicting the outcome of trials of weaning from mechanical ventilation. N Engl J Med 1991; 324:1445–1450

3.     Trivedi V, Chaudhuri D, Jinah R, et al.: The usefulness of the rapid shallow breathing index in predicting successful extubation. Chest 2022; 161:97–111


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Un approccio unitario alla ARDS: la ventilazione della capacità funzionale

2 mag 2020

Nel post precedente abbiamo visto che tutte le forme di ARDS sono caratterizzate da una più o meno grave una riduzione della capacità funzionale residua e che la compliance è ad essa approssimativamente proporzionale.

La ventilazione della capacità funzionale residua è ciò che può accomunare la ventilazione meccanica di tutti i pazienti con ARDS, inclusi quella associata a COVID-19. Va bene per tutti perché consente di individualizzare volume corrente e PEEP in ciascun paziente, relativizzandoli al volume polmonare ventilato. E ci evita il fastidio di entrare in discussioni sterili come ad esempio “PEEP alta o bassa”, o nelle certezze, dogmatiche e indimostrate, come ad esempio quella dei 6 ml/kg di volume corrente a tutti, sentendosi tranquilli se la pressione di plateau non è superiore a 30 cmH2O.

Questo approccio segna una frattura totale con quello fondato sull’emogasanalisi arteriosa. Vediamo quindi cosa non fare e cosa invece è ragionevole fare. 

Per i lettori attenti di ventilab non vi sarà nulla di sostanzialmente nuovo, però potrà essere lo spunto per vedere concetti noti anche sotto altre prospettive.

Cosa NON fare.

Il PaO2/FIO2 NON PUO’ essere la base per l’impostazione e la verifica della ventilazione protettiva nell’ARDS (vedi post del 31/01/2020, l’ultimo dell’era pre-COVID-19…).

Ipotizziamo che Mario e Pippo siano due pazienti con ARDS, il peso ideale di entrambi è 70 kg, entrambi hanno PaO2 80 mmHg e FIO2 0.8 (PaO2 /FIO2 100 mmHg). Ipotizziamo che Mario abbia compliance 21 ml/cmH2O e Pippo 42 ml/cmH2O



Figura 1

Ci sembra ragionevole ventilare Mario e Pippo allo stesso modo, ad esempio con 420 ml di volume corrente (6 ml/kg) e 14 cmH2O di PEEP (come indicato nella tabella PEEP-FIO2 in figura 1)?

La prima conseguenza di questa impostazione sarebbe che Mario ha avrebbe una driving pressure (volume corrente/compliance) di 20 cmH2O e Pippo di 10 cmH2O. Ad entrambi dovremmo mettere una PEEP di 14 cmH2O, senza tenere conto del fatto che questa possa migliorare o peggiorare compliance e driving pressure…

Anestesisti rianimatori di tutto il mondo, unitevi: smettiamo di guardare l’emogasanalisi per decidere come ventilare i pazienti con ARDS. Non è l’emogasanalisi arteriosa a guidare la ventilazione meccanica!!! E’ dura, lo so… è forte la tentazione di vedere quel dannato foglietto con PaO2 e PaCO2… ma possiamo farcela. 

Come fare e perchè.

Il volume corrente.

Dal momento che ogni paziente con ARDS ha una più o meno marcata riduzione del volume polmonare (che riconduciamo alla riduzione della capacità funzionale residua), è ragionevole che in tutti i pazienti con ARDS (sia i Mario che i Pippo) il volume di gas che si introduce nei polmoni ad ogni inspirazione (il volume corrente) debba essere proporzionato al volume polmonare, cioè alla capacità funzionale residua.

La capacità funzionale residua è il contenitore, il volume corrente  un oggetto da introdurvi: se il contenitore è grande, vi si può mettere, senza danneggiarlo, un oggetto grande. In un contenitore molto piccolo, si può infilare solo un oggetto piccolo se non lo si vuole rompere.

Il rapporto tra volume corrente e capacità funzionale residua è conosciuto con il termine di strain, il quale è direttamente proporzionale alla driving pressure (1, 2). Se vuoi un approfondimento su strain e driving pressure, puoi rileggere anche il post del 26/02/2016.

La prima regola che vale in tutte le ARDS è quindi che il volume corrente debba essere ridotto se la driving pressure (cioè la differenza tra pressione di plateau e PEEP) è elevata (indicativamente superiore a 14-15 cmH2O).

Per semplicità parliamo della driving pressure delle vie aeree, quella che si può calcolare molto facilmente dal display di qualsiasi ventilatore meccanico. 

In realtà lo stress del polmone andrebbe misurato con la driving pressure transpolmonare, che richiede la misurazione della pressione esofagea. Se la pressione esofagea è misurata correttamente, la driving pressure transpolmonare è data dalla driving pressure delle vie aeree (pressione di plateau – PEEP) meno la driving pressure della gabbia toracica (pressione esofagea a fine inspirazione – pressione esofagea a fine espirazione).

Può essere opportuno complicarsi la vita con la driving pressure transpolmonare nei casi in cui non si riesce a contenere la driving pressure entro i limiti normalmente accettati, in particolare nei pazienti obesi. Non è un caso che una elevata driving pressure sia associata alla mortalità nei pazienti con ARDS, ad eccezione degli obesi (3). In essi, come in tutti i pazienti con bassa compliance della gabbia toracica, l’entità delle variazioni tidal di pressione esofagea rompe una consueta proporzionalità tra la driving pressure delle vie aeree e driving pressure transpolmonare. Non approfondisco ulteriormente l’argomento per necessità di brevità. 

La PEEP.

Abbiamo visto nel post precedente che la compliance dell’apparato respiratorio (Ctot) è uguale alla somma delle compliance delle singole parti di cui è composto (le compliance regionali C1, C2, C3, …, Cn

Ctot = C1 + C2 + C3 + … + Cn.

Se le compliance regionali sono sostanzialmente costanti (dal momento che la compliance specifica è simile in tutti i polmoni), la variazione della Ctot dovrà essere secondaria all’aumento o alla riduzione del numero di porzioni ventilate dei polmoni.

Ne consegue che se l’applicazione della PEEP aumenta la compliance, essa dovrebbe aver aumentato il numero di unità polmonari disponibili alla ventilazione. Questo è schematizzato nella figura 2A, in cui l’unità polmonare 4 non è ventilata a ZEEP mentre lo diventa con l’applicazione della PEEP, determinando un aumento della compliance totale.

Se la variazione di PEEP mantiene costante la compliance, ragionevolmente possiamo pensare che sia rimasto invariato il numero di unità polmonari ventilate, semplicemente se ne è modificato il volume (figura 2B). 

Figura 2

Se la PEEP riduce la compliance, la spiegazione più coerente con le nostre attuali conoscenze è che si sia ridotta la compliance regionale di alcune zone perchè queste diventano sovradistese e pertanto, questa volta sì, più “rigide” (figura 2C).

L’effetto della PEEP sulla compliance è sempre la somma algebrica di questi tre fenomeni che si possono presentare contemporaneamente nelle diversi porzioni di un parenchima polmonare disomogeneo. Come effetto finale vediamo quello prevalente.

Una spiegazione così semplice non può che essere una semplificazione della realtà, come del resto lo è qualsiasi modello. Ma dal punto di vista operativo, clinico, mi sembra a tutt’oggi quella più coerente con quanto la ricerca ci ha insegnato.

Per vedere se la PEEP migliora la compliance, dobbiamo fare un PEEP trial. Dobbiamo cioè provare PEEP diverse e scegliere, tra queste, quella che riduce la driving pressure (se usiamo una ventilazione volumetrica controllata senza modificare il volume corrente alle diverse PEEP) o quella che aumenta il volume corrente (se usiamo una pressione controllata con pressione inspiratoria sopra PEEP costante). 

Nel periodo COVID-19 mi è tornato comodo quest’ultimo approccio, avendo dovuto utilizzare per ventilare qualsiasi tipo di cosa avesse ricordasse un ventilatore meccanico. In alcuni ventilatori portatili domiciliari, in ventilatori da trasporto, in vecchi ventilatori da anestesia, il monitoraggio lascia molto a desiderare e la pressione di plateau è invisibile o inaffidabile. In questi casi è più semplice mantenere una PCV di 15 cmH2O e testare PEEP diverse andando semplicemente a leggere il numero del volume corrente sul display.

La frequenza respiratoria e tempo inspiratorio.

Con l’emergere del concetto di mechanical power (4), forse per ora ancora acerbo per una diretta declinazione clinica, si fa sempre più strada l’idea che, tra le altre cose, anche la frequenza respiratoria possa contribuire al possibile danno da ventilazione meccanica. Pertanto la frequenza respiratoria dovrebbe essere tenuta bassa per quanto possibile, il che per una ARDS significa tra 20 e 25/min. Anche tollerando l’ipercapnia che ne deriva, che come abbiamo visto in passato è tutto fuorché un veleno (altro mito da sfatare per gli anestesisti rianimatori) (vedi anche post del 25/03/2018). 

Nella fase di ventilazione controllata della ARDS, il tempo inspiratorio a mio avviso merita la stessa dignità del tempo espiratorio. Durante il prolungamento dell’inspirazione si favorisce infatti il raggiungimento della ventilazione anche nelle zone a costante di tempo lunga, con omogeneizzazione della ventilazione e miglioramento dello scambio gassoso.  Di default tendo a mettere, nei pazienti passivi, un rapporto I:E 1:1, con un tempo inspiratorio che quindi oscilla tra 1 e 1.5 secondi per frequenze respiratorie tra 20 e 30/min.

Ovviamente, tutto cambia quando si passa alla ventilazione assistita-controllata, qui il I:E diventa libero e ci si preoccupa solo del tempo inspiratorio (vedi anche post del 15/03/2014).

Verifica finale.

Alla fine, dopo aver impostato volume corrente, PEEP, frequenza respiratoria, se il paziente è passivo (senza alcun segno di attivazione dei muscoli inspiratori), una osservazione allo stress index in volume controllato a flusso inspiratorio costante, misurato per chi ce l’ha, occhiometrica per gli altri (me compreso). Se va tutto bene, l’impostazione del ventilatore si conferma ragionevole. Per ulteriori informazioni sullo stress index puoi vedere i post del 15/08/2011 e del 28/08/2011.

 

In conclusione, abbiamo visto che è possibile in qualsiasi forma di ARDS avere un approccio semplice ma ragionato alla ventilazione meccanica. Chi propone numeri magici e tabelle lo fa pensando che questa sia la strada migliore per limitare i danni se la ventilazione capita nelle mani sbagliate… Ci possono essere della ragioni anche in questo. 

Per quanto mi riguarda, preferisco scrivere e parlare per chi ha il piacere di migliorarsi ogni giorno e sfrutta ogni occasione per imparare. Nella mia personale esperienza con le migliaia di persone che ho avuto il piacere di vedere e conoscere in questi anni, sono sempre più convinto che sia meglio parlare a chi vuol sentire piuttosto che urlare ai sordi.

Nei prossimi post (se riesco già la prossima settimana) concluderò le riflessioni sugli argomenti che mi sono stati richiesti nel periodo COVID-19 con cenni su pronazione, reclutamento, APRV, ventilazione non-invasiva, terapia farmacologica, weaning, sedazione e tracheotomia.

Come sempre, un sorriso agli amici di ventilab.

 

Bibliografia

  1. Chiumello D, Carlesso E, Cadringher P, et al.: Lung Stress and Strain during Mechanical Ventilation for Acute Respiratory Distress Syndrome. Am J Respir Crit Care Med 2008; 178:346–355
  2. Gattinoni L, Carlesso E, Caironi P: Stress and strain within the lung: Curr Opin Crit Care 2012; 18:42–47
  3. De Jong A, Cossic J, Verzilli D, et al.: Impact of the driving pressure on mortality in obese and non-obese ARDS patients: a retrospective study of 362 cases. Intensive Care Med 2018; 44:1106–1114
  4. Marini JJ: Evolving concepts for safer ventilation. Crit Care 2019; 23:114
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Ventilazione meccanica in anestesia e complicanze polmonari postoperatorie.

31 mag 2019

La ventilazione meccanica può ridurre le complicanze polmonari postoperatorie? Come? Risponderemo a questa domanda analizzando il caso di un paziente, che chiameremo Valerio, sottoposto a emicolectomia sinistra laparoscopica. Un caso che può essere interessante anche per chi non pratica l’anestesia…

Valerio è obeso (Body Mass Index 32 kg/m2), con un peso ideale di 80 kg. L’intervento a cui è sottoposto ha la durata di alcune ore, con pneumoperitoneo in posizione di Trendelenburg. Per interventi di questo tipo, le complicanze polmonari postoperatorie sono frequenti (nei pazienti con ASA > 2 si verificano in un terzo dei casi) e si associano ad un incremento della mortalità ospedaliera (1). Facciamo quindi un buon servizio se possiamo contribuire a prevenirle con una buona ventilazione meccanica.

So per esperienza che la prima domanda che viene in mente a questo proposito è: quale modalità di ventilazione? A mio parere qualsiasi modalità va bene, se utilizzata correttamente. Qualsiasi modalità può essere nociva se i criteri di ventilazione non sono corretti. In particolare si possono ridurre le complicanze se si impostano appropriatamente volume corrente e PEEP. Ribadisco, qualunque sia la modalità di ventilazione. Se non ne sei convinto, scrivi le tue perplessità in un commento, magari dopo aver letto il post del 16/12/2015.

Il volume corrente è abbastanza facile da impostare. Infatti è ormai ben supportato il ricorso alla scelta di un volume “protettivo” (cioè fisiologico) anche in anestesia, stimato approssimativamente in 6-8 ml/kg di peso ideale (2). Per Vittorio potrebbe essere adeguato un volume corrente tra 480 e 640 ml: la scelta nel caso reale è stata di 500 ml.

Sulla PEEP esistono invece più incertezze (3), anche legate al fatto che spesso ci si fa la domanda sbagliata: “meglio una PEEP alta o una PEEP bassa?” (4). E’ una approccio classico, ma probabilmente non molto sensato. Infatti in alcuni casi può essere meglio una PEEP alta, in altri una PEEP bassa. Nei pazienti con ARDS ci siamo abituati a ragionare in maniera individualizzata scegliendo la PEEP che minimizza la driving pressure, cioè la differenza tra pressione di plateau e PEEP (vedi anche post del 18/10/2015). La scelta della PEEP che si associa alla minor driving pressure sembra una scelta molto ragionevole anche per ridurre le complicanze postoperatorie in anestesia (5).

L’intervento di Vittorio prevede diverse fasi, nelle quali può cambiare la meccanica respiratoria per effetto delle diverse combinazioni tra posizione (supina o Trendelenburg) e pneumoperitoneo (assente o presente). Ho valutato la PEEP che si associa alla minor driving pressure nelle diverse fasi, vediamo il risultato.

Fase 1: posizione supina senza pneumperitoneo

Dopo l’induzione ho applicato due livelli di PEEP, 5 e 10 cmH2O. Nella figura 1 sono riprodotte le curve di pressione.



Figura 1

Nel riquadro bianco vediamo pressione di plateau (Pplat) e PEEP (cerchiata in rosso). Ho aggiunto in bianco il valore della driving pressure, che è di 9 cmH2O a PEEP 5 e 10 cmH2O a PEEP 10. Possiamo concludere che la modificazione della PEEP non ha avuto un impatto significativo sulla driving pressure (ritengo trascurabile una differenza di 1 cmH2O nelle pressioni delle vie aeree*, a meno che si inserisca in un trend ben identificabile.). Visto che la PEEP più alta non migliora (cioè non riduce) la driving pressure, scelgo la PEEP di 5 cmH2O, che mi consente di ottenere il medesimo risultato con la minor pressione applicata. Questa fase dell’intervento è molto breve, abbiamo fatto questo esercizio per “conoscere” il paziente ed avere un valore basale su cui confrontare le modificazioni che potrebbero essere indotte da posizione, pressione addominale ed eventuali complicanze. La miglior compliance (volume corrente/driving pressure) in questa fase è circa 55 ml/cmH2O.

Fase 2: posizione supina con pneumoperitoneo

Anche questo periodo è abbastanza breve, proviamo comunque a valutare che modificazioni ha prodotto lo pneumoperitoneo e quale PEEP è preferibile in questa condizione. Nella figura 2 possiamo vedere la driving pressure a diversi livelli di PEEP:


Figura 2

A parità di volume corrente, vediamo che la driving pressure a 5 cmH2O di PEEP aumenta moltissimo rispetto alla fase precente (da 9 a 20 cmH2O). L’aumento della PEEP (diversamente dalla fase precedente) riduce notevolmente la driving pressure, che considero raggiungere il valore minimo (sempre con l’approssimazione di 1 cmH2O) già a 15 cmH2O di PEEP. La miglior compliance in questa fase è diventata circa 40 ml/cmH2O . Avrai forse notato che la pressione di plateau non si modifica aumentando la PEEP da 5 a 10 cmH2O, un fenomeno interessante e complesso di cui oggi non parleremo.

Fase 3: Trendelenburg con pneumoperitoneo

Questa è la condizione che viene mantenuta per la maggior parte del tempo operatorio. La ventilazione in questa fase è pertanto quella che può avereil maggior impatto sulle complicanze polmonari postoperatorie. Ho applicato in rapida successione PEEP crescenti da 0 a 20 cmH2O, calcolando per ciascuna la driving pressure.


Figura 3

Nella figura 3 vediamo il collage della pressione delle vie aeree alle diverse PEEP. E’ una sequenza ottenuta con incrementi successivi di 2 cmH2O, che consente di avere una bella documentazione del caso. Nella pratica clinica più pragmaticamente si potrebbero testare livelli incrementali di PEEP di 4-5 cmH2O alla volta. Una volta trovata la PEEP che si associa alla miglior driving pressure, si può raffinire il risultato rilevando la driving pressure con PEEP aumentata e ridotta di 2 cmH2O rispetto a questo valore.

Il risultato non propone certamente l’applicazione di una PEEP “convenzionale”: la driving pressure diventa minima a 18-20 cmH2O (la compliace è circa 35 ml/cmH2O). Può rimanere il dubbio se ulteriori aumenti di PEEP avrebbero potuto ridurre ulteriormente la driving pressure, ma ho preferito evitare di testare valori più elevati per due motivi: 1) a 18-20 cmH2O di PEEP la driving pressure si è comunque ridotta a valori ritenuti accettabili, cioè ≤ 15 cmH2O. Siamo comunque al limite massimo della driving pressure, dato che suggerisce di non aumentare il volume corrente (driving pressure=volume corrente/compliance); 2) nella posizione di Trendelenburg il ritorno venoso è favorito (il cuore è più in basso dell’addome). Infatti la stabilità cardiovascolare di Valerio era ottimale anche alle PEEP più elevate. Ma bisogna pensare anche al deflusso dal circolo cerebrale, che avviene invece “in salita” (la testa è più in basso del cuore). L’effetto della PEEP sulla pressione atriale destra (che condiziona il ritorno venoso) è complesso, ma in assenza di monitoraggi più avanzati preferisco non eccedere nel valore di PEEP.

Fase 4: Trendelburg senza pneumoperitoneo

In questa fase si procede all’estrazione della porzione resecata del colon attraverso una piccola incisione sulla parete addominale. La sua durata è relativamente breve, vediamo comunque come si modifica la driving pressure con la normalizzazione della pressione addominale.


Figura 4

Vi è un cambio sostanziale rispetto alla fase precedente. Arrivati ai 6-8 cmH2O di PEEP, la driving pressure ha raggiunto il suo valore minimo (compliance circa 45 ml/cmH2O).

In sintesi: Valerio aveva una PEEP ottimale di 5 cmH2O dopo l’induzione dell’anestesia, quindi è diventata 15 cmH2O con l’inizio dello pneumoperitoneo, è aumentata a 18-20 cmH2O durante la fase in Trendelenburg con pneumoperitoneo, è scesa a 6-8 cmH2O con il Trendelenburg senza pneumoperitoneo.

In conclusione, possiamo riassumere quando detto finora in alcuni punti:

– la ventilazione meccanica può avere un impatto sull’outcome del paziente sottoposto a chirurgia, soprattutto nelle procedure di almeno 2 ore di durata e nei pazienti con maggior rischio perioperatorio;
– la modalità di ventilazione è indifferente, se si scelgono correttamente volume corrente e PEEP;
– il volume corrente dovrebbe essere di 6-8 ml/kg di peso ideale, comunque senza superare una driving pressure di 15 cmH2O;
– la PEEP può essere ragionevolmente scelta per ridurre la driving pressure (una volta definito il volume corrente);
– i valori ottimali di PEEP possono variare da paziente a paziente, ed anche (e molto) nello stesso paziente durante tempi diversi dell’intervento.

Questo è quanto di ragionevole possiamo fare alla luce delle conoscenze attuali. La medicina (se vuole essere, per quanto possibile, scientifica) non deve essere vista come una verità definitivamente acquisita: dobbiamo essere sempre disponibli a cambiare idea se emergeranno nuove conoscenze.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
* la pressione delle vie aeree di solito è misurata con la precisione di ±1 cmH2O.

Bibliografia.

1. Fernandez-Bustamante A, Frendl G, Sprung J, et al.: Postoperative Pulmonary Complications, Early Mortality, and Hospital Stay Following Noncardiothoracic Surgery: A Multicenter Study by the Perioperative Research Network Investigators. JAMA Surgery 2017; 152:157

2. Guay J, Ochroch EA, Kopp S: Intraoperative use of low volume ventilation to decrease postoperative mortality, mechanical ventilation, lengths of stay and lung injury in adults without acute lung injury [Internet]. Cochrane Database Syst Rev 2018; 7:CD011151

3. Neto AS, Hemmes SNT, Barbas CSV, et al.: Protective versus Conventional Ventilation for Surgery: A Systematic Review and Individual Patient Data Meta-analysis. Anesthesiology 2015; 123:66–78

4. PROVE Network: High versus low positive end-expiratory pressure during general anaesthesia for open abdominal surgery (PROVHILO trial): a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2014; 384:495–503

5. Neto AS, Hemmes SNT, Barbas CSV, et al.: Association between driving pressure and development of postoperative pulmonary complications in patients undergoing mechanical ventilation for general anaesthesia: a meta-analysis of individual patient data. The Lancet Respiratory Medicine 2016; 4:272–280

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Volume corrente elevato durante Pressure Support Ventilation: che fare?

31 gen 2019


Un paziente (non sedato) con pressione di supporto di 17 cmH2O (e 4 cmH2O di PEEP) ha un volume corrente di circa 720 ml. Puoi vedere a fianco la traccia di pressione (in alto) e flusso (in basso) di un atto respiratorio. Il peso ideale del paziente è  66 kg.

Certamente avrai notato che il volume corrente è 11 ml/kg di peso ideale. Un valore che usualmente riteniamo opportuno evitare, preferendo limitarlo a circa 8 ml/kg di peso ideale,  che in questo paziente corrisponderebbe a 530 ml. Come possiamo ridurre questo volume corrente durante ventilazione in pressione di supporto?

Molti pensano che la soluzione sia quella di ridurre la pressione di supporto, ma purtroppo questa convinzione (largamente diffusa) spesso non è corretta. Vediamo infatti cosa succede al variare del livello di pressione di supporto.

In questo paziente facciamo una occlusione delle vie aeree a fine inspirazione (figura 1):


Figura 1

Vediamo che la pressione di plateau è 25 cmH2O (valore mostrato in alto a destra, misurato dove è collocata la linea verticale bianca, cioè sulla parte di pressione costante dopo l’occlusione). Ricordiamo che la pressione di plateau è la somma di pressione elastica (la pressione generata dal volume corrente) e PEEP totale (vedi post del 24/06/2011).

In questo caso la pressione erogata dal ventilatore meccanico è 21 cmH2O, cioè la somma di 17 cmH2O di pressione di supporto e 4 cmH2O di PEEP. Una pressione di plateau più elevata della pressione erogata dal ventilatore è segno di attività dei muscoli inspiratori (vedi post del 08/05/2016). Se il paziente attiva i propri muscoli inspiratori, probabilmente il supporto inspiratorio applicato è insufficiente per soddisfare completamente la richiesta di ventilazione dei suoi centri respiratori.

La figura 2 mostra cosa accade quando si riduce il supporto inspiratorio a 13 cmH2O (4 cmH2O in meno del basale), mentre la figura 3 quando lo si aumenta a 21 cmH2O (4 cmH2O in più rispetto al basale).



Figura 2


Figura 3

Nonostante la cospicua variazione di pressione di supporto (il 25% in più o in meno del basale), la variazione associata di volume corrente è insignificante. Non variando significativamente il volume corrente e la PEEP totale, è prevedibile che la pressione di plateau rimanga costante a 25 cmH2O.

Quello che cambia è la pressione generata dai muscoli inspiratori (cioè la differenza tra pressione di plateau e pressione applicata dal ventilatore), che aumenta al ridursi del supporto inspiratorio: 0 cmH2O con pressione di supporto 25 cmH2O (figura 3), 4 cmH2O con pressione di supporto 17 cmH2O (figura 1) e 8 cmH2O con pressione di supporto 13 cmH2O (figura 2).*

La traduzione clinica di queste misurazioni è: riducendo la pressione di supporto abbiamo fatto faticare di più il paziente senza ridurre il volume corrente. Il suo “cervello” vuole questo livello di ventilazione, indipendentemente dal livello di supporto inspiratorio. Questa dinamica è però vera fino a un certo punto, fino a quando il paziente riesce a permetterselo…

Vediamo infatti cosa succede se riduciamo il supporto di pressione di altri 4 cmH2O rispetto alla figura 2, portandolo cioè a 9 cmH2O.


Figura 4

Finalmente il volume corrente (circa 580 ml) si riduce in maniera significativa! Questo però non significa che stiamo facendo un favore al nostro paziente…. La stima della pressione generata dai muscoli inspiratori è 7 cmH2O (pressione di plateau 20 cmH2O – 13 cmH2O applicati dal ventilatore), un valore simile agli 8 cmH2O calcolati nella figura 2 con supporto inspiratorio 13 cmH2O.

La traduzione clinica di questa osservazione è: i muscoli inspiratori probabilmente non riescono a generare più di 7-8 cmH2O di pressione ad ogni inspirazione. Ne consegue che, arrivati a questo punto, ogni ulteriore riduzione del supporto ventilatorio si traduce in una riduzione del volume corrente: probabilmente stiamo mantenendo il paziente al massimo sforzo di cui è capace durante l’inspirazione, con il conseguente rischio di fatica dei muscoli inspiratori.

Nella figura 5 vediamo invece un cospicuo aumento di volume corrente (circa 950 ml) quando si aumenta la pressione di supporto di 4 cmH2O rispetto ad una condizione di passività, come quella descritta in figura 3:


Figura 5

La traduzione clinica è: quando i muscoli inspiratori sono già passivi (come con pressione di supporto 21 cmH2O), ogni ulteriore aumento di pressione applicata si traduce in un incremento di volume corrente (come nelle ventilazioni controllate).

Una regola importante (e spessissimo trascurata) è che la pressione di supporto si dovrebbe regolare valutando anche (e soprattutto) lo sforzo inspiratorio del paziente e non solo (e non tanto) il valore del volume corrente/kg di peso ideale.

Torniamo al quesito iniziale: quando ci troviamo un paziente come in figura 1, che fare per ridurre un volume corrente eccessivo? Pensiamo solo ad una strategia ventilatoria che non contempli l’utilizzo di sedazione e paralisi (scelta raccomandabile solo in casi particolari).

La via di uscita  può essere nell’impostare una ventilazione controllata con un volume corrente accettabile, ad esempio 8 ml/kg di peso ideale. Nel caso del nostro paziente circa 530 ml. Ovviamente la frequenza respiratoria deve essere sufficientemente elevata da iperventilare (almeno inizialmente) il paziente, superando le sue necessità di ventilazione al fine di renderlo passivo.

In questo caso abbiamo iniziato una ventilazione pressometrica a target di volume  con 530 ml di volume corrente e 32 di frequenza respiratoria. Nel giro di 5 minuti il paziente diventa passivo alla ventilazione (dopo essersi un pochino “ribellato” per i primi minuti). A questo punto riduciamo la frequenza impostata fino ad avere la comparsa solo occasionale di atti respiratori triggerati. Ecco il risultato finale.



Figura 6

Il paziente è stato “catturato” da un volume corrente appropriato. Nelle modalità assistite-controllate ricordo che è fondamentale il controllo della duranta del tempo inspiratorio che deve essere normalmente tra 0.8″-1″ (da adeguare osservando il monitoraggio, come insistiamo nei corsi di Ventilazione Meccanica) (vedi anche post del 15/03/2014).

Valutiamo anche il risultato di questa ventilazione anche alla luce delle occlusioni a fine inspirazione e fine espirazione:



Figura 7

La pressione di plateau è 23 cmH2O con una PEEP totale di 10 cmH2O, ed una driving pressure di 13 cmH2O: i valori di pressione e volume, valutati congiuntamente, sono ampiamente accettabili.

Potremo poi ridare un maggior controllo della ventilazione (ed una maggior attività) al paziente riducendo ulteriormente la frequenza respiratoria impostata dopo un ragionevole periodo di riposo.

Non sempre l’approccio descritto in questo post è efficace, ma, quando lo è (e cioè spesso), risolve rapidamente situazioni imbarazzanti.

Ricordo infine che un po’ di autoPEEP in un paziente passivo è, il più delle volte, un evento assolutamente benigno, che non richiede alcuna contromisura.

Come ultima cosa, ti lascio un piccolo calcolo da fare da solo: come è variata la compliance dalla ventilazione iniziale (figura 1) a quella finale (figura 7)? Da questo punto di vista quale ventilazione preferisci?

Terminiamo il post, come sempre, riepilogando i punti essenziali:

  • la ventilazione con pressione di supporto può portare ad un volume corrente pericolosamente elevato;
  • spesso la riduzione della pressione di supporto non è una scelta saggia: affatica il paziente, spesso senza ridurre il volume corrente;
  • per ridurre il volume corrente in un ambito di normalità si può impostare una ventilazione a target di volume con elevata frequenza respiratoria;
  • dopo un breve periodo (5′-10′) ad elevata frequenza respiratoria, questa può essere progressivamente ridotta fino alla occasionale comparsa di atti respiratori triggerati;
  • è sempre determinante mantenere un tempo inspiratorio (e non il rapporto I:E) ragionevole, spesso compreso tra 0.8″-1″.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

* La pressione resistiva (vedi post del 5/12/2011) non è considerata in queste stime.

PS: segnalo che il 22 febbraio 2019 si terrà il convegno “EMERGENZE IN SALA PARTO – APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE” presso Fondazione Poliambulanza a Brescia (clicca qui per scaricare la locandina). Ci sarò anche io 🙂


Riproduciamo qui i commenti CON IMMAGINI originariamente pubblicati su ventilab.org (per i nuovi commenti, vedi la sezione al termine del post):
 


 

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ARDS grave nell'adulto: quando ricorrere all'ECMO?

14 gen 2015


L’ARDS è una sindrome caratterizzata da danno alveolare bilaterale acuto di varia gravità. La forma grave* resta tuttora associata a una mortalità del 20-40%, nonostante i progressi registrati negli ultimi quindici anni[1]. Dei pazienti che decedono per ARDS una minoranza (15%) muore per ipossiemia refrattaria alla ventilazione convenzionale[2].

In casi particolarmente gravi di ARDS deve essere considerata l’ossigenazione extracorporea (ECMO). Nell’ultimo decennio il supporto extracorporeo ha conosciuto una diffusione maggiore rispetto al passato, in seguito a miglioramenti tecnologici che hanno reso la tecnica più semplice, più sicura e meno costosa. In occasione della pandemia di influenza payday loans online da virus A H1N1 è stata creata una rete di terapie intensive specializzate nel trattamento avanzato, ECMO inclusa, della ARDS grave. Il trasferimento di pazienti con ipossiemia grave presso tali centri di riferimento sta diventando anche da noi una pratica diffusa[2].
Numerose serie di dati osservazionali recenti[3,4,5] e un singolo trial clinico randomizzato e controllato[6], pur criticabile sul piano metodologico, suggeriscono l’efficacia dell’ECMO nel migliorare la sopravvivenza nell’ARDS. Tuttavia non esistono a oggi evidenze scientifiche conclusive a favore di un utilizzo routinario per tale indicazione: il supporto extracorporeo va ancora considerato come terapia di salvataggio nelle forme gravi di ARDS caratterizzate da ipossiemia o ipercapnia refrattarie alla ventilazione convenzionale, associate a elevato rischio di danno polmonare indotto dalla ventilazione (VILI); quest’ultimo è stimato di solito con la misurazione della pressione delle vie aeree a fine inspirazione (Pplat).

Naturalmente esistono anche cause di gravissima insufficienza respiratoria diverse dall’ARDS per le quali l’ECMO è stata proposta, ad esempio asma grave, embolia polmonare massiva o malattie polmonari croniche in attesa di trapianto.



Le indicazioni specifiche all’ECMO pubblicate in letteratura differiscono leggermente tra le varie istituzioni[7]. Ne riporto alcune:

  • ELSO (Extracorporeal Life Support Organization): ECMO da considerare in caso di insufficienza respiratoria ipossica con PaO2/FiO2 <150 con FiO2 >90 e LIS* 2-3 (rischio di mortalità ≥50%); indicata in caso di PaO2/FiO2 <80 con FiO2 >90 e LIS* 3-4 o ipercapnia con PaCO2 >80 mmHg o impossibilità di ottenere Pplat <30 cmH2O (rischio di mortalità ≥80%)[8]

  • NSW Dipartimento della Salute (Australia): ipossiemia refrattaria (PaO2/FiO2 <60) o ipercapnia (PaCO2>100 mmHg, con PaO2/FiO2 <100)[9]

  • REVA (Francia): ipossiemia refrattaria con PaO2/FiO2 <50 nonostante alta PEEP (10–20 cmH2O) e FiO2>80% o Pplat >35 cmH2O nonostante riduzione del volume corrente a 4 ml/kg[10]

  • ECMO network (Italia): OI** >30 o PaO2/FiO2 <70 con PEEP15 cmH2O (in http://pharmacyincanadian-store.com/ pazienti già ammessi in un centro ECMOnet) o PaO2/FiO2 <100 con PEEP 10 cmH2O (in pazienti non ancora trasferiti in un centro ECMOnet) o ipercapnia con pH <7.25 per almeno 2 ore nonostante i trattamenti disponibili[4]

Anche sulle controindicazioni all’ECMO vi sono alcune differenze: secondo ELSO (Extracorporeal Life Support Organization) non vi sono controindicazioni assolute ma solo relative in caso di ventilazione con FiO2>0.9 e Pplat> 30 cmH2O per più di 7 giorni, di stato di grave immunosoppressione (conta assoluta di neutrofili <400/ml3) o di emorragia cerebrale recente[8]. Secondo le altre istituzioni citate sono controindicazioni all’ECMO: condizioni neurologiche scadenti e irreversibili, cirrosi epatica in presenza di ascite o encefalopatia o sanguinamento da varici, cancro in progressione, infezione da HIV, peso >120 kg, ipertensione polmonare e l’arresto cardiaco[9]; gravi comorbidità e SOFA >15[10]; sanguinamento intracranico o altre controindicazioni maggiori agli anticoagulanti, preesistente grave disabilità, malattia di base a prognosi infausta[4].

Ma non è tutto. Abbiamo accennato alla prevenzione del VILI come indicazione all’ECMO: valori di Pplat 30 cmH2O sono abitualmente considerati la soglia da non superare per scongiurare il rischio di VILI. In precedenti post su ventilab.it abbiamo però visto che la pressione di plateau delle vie aeree può nascondere delle insidie, sia perché un valore di Pplat 30 cmH2O non ci fa escludere sempre un VILI in atto[11,12] (vedi anche post del 21 febbraio 2013), sia perché in caso di elevata elastanza di parete toracica un valore di Pplat 30 cmH2O può associarsi a insufficienti valori di pressione transpolmonare: in casi simili la PEEP è spesso sottodosata e l’ipossiemia sovrastimata, per cui il ricorso all’ECMO può risultare inappropriato[13]. Per rivelare queste situazioni è dunque imprescindibile la misurazione della pressione transpolmonare, di cui è stato già detto in precedenza*** e sulla quale avremo certamente modo di tornare in futuro.

In conclusione, dobbiamo considerare il ricorso all’ECMO come una possibile terapia di salvataggio in casi di ARDS grave caratterizzati da:

  • grave ipossiemia refrattaria alla FiO2 e alla PEEP

  • ipercapnia associata ad acidosi grave

  • rischio di VILI non eliminabile

 

Un saluto e un augurio di buon anno ai frequentatori del nostro sito.

* vedi post del 24 giugno 2012

** OI (oxygenation index) è dato da FiO2 x 100 x pressione media delle vie aeree / PaO2

*** vedi post del 7 febbraio 2012

Bibliografia

  1. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional tidal volumes for acute lung injury and the acute respiratory distress syndrome. The Acute Respiratory Distress Syndrome Network. N Engl J Med 2000; 342:1301–1308
  2. Extracorporeal membrane oxygenation in adult patients with acute respiratory distress syndrome. Terragni P et al. Curr Op Crit Care 2014; 20:86-91

  3. The Australia and New Zealand Extracorporeal Membrane Oxygenation (ANZ ECMO) Influenza Investigators. Extracorporeal membrane oxygenation for 2009 influenza A(H1N1) acute respiratory distress syndrome. JAMA 2009; 302:1888–1895

  4. Patroniti N et al. The Italian ECMO network experience during the 2009 influenza A(H1N1) payday loans direct lender pandemic: preparation for severe respiratory emergency. Intensive Care Med 2011; 37:1447–1457

  5. Noah MA et al. Referral to an extracorporeal membrane oxygenation center and mortality among patients with severe 2009 influenza A(H1N1). JAMA 2011; 306:1659–1668

  6. Peek GJ et al. Efficacy and economic assessment of conventional ventilatory support versus extracorporeal membrane oxygenation for severe adult respiratory failure (CESAR): a multicentre randomised controlled trial. Lancet 2009;374:1351-63

  7. Combes A et al. What is the niche for extracorporeal membrane oxygenation in severe acute respiratory distress syndrome? Curr Op Crit Care 2012; 18:527-532

  8. ELSO guidelines, http://www.elso.med.umich.edu/Guidelines.html. [15 maggio 2012]

  9. NSW Indications for ECMO Referral, 2010. http://amwac.health.nsw.gov.au/policies/pd/2010/pdf/PD2010_028.pdf. [15 maggio 2012]
  10. REVA organization, SDRA lié à la grippe A (H1N1)-2009, Recommandations pour l’assistance respiratoire.

    http://www.srlf.org/Data/upload/file/Grippe%20A/reco%20REVA%20SDRA-H1N1.pdf. [15 maggio 2012]

  11. Hager DN et al. Tidal volume reduction in patients with payday loans direct lenders acute lung injury when plateau pressures are not high. Am J Resp Crit Care Med 2005; 172:1241-1245.

  12. Terragni PP et al. Tidal hyperinflation during low tidal volume ventilation in acute respiratory distress syndrome. Am J Resp Crit Care Med 2007; 175:160-166

  13. Grasso S et al. ECMO criteria for influenza A (H1N1)-associated ARDS: role of transpulmonary pressure. Intensive Care Med 2012; 38:395–403

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Ventilazione protettiva e anestesia?

5 dic 2013


La ventilazione meccanica in anestesia è un argomento di crescente interesse. Michele Bertelli,  un anestesista rianimatore che lavora assieme a me, ci ha preparato un post su questo argomento. Un grazie a Michele per questo spunto che sarà certamente capace di farci riflettere (e forse di cambiare alcune consuetudini consolidate sulla ventilazione in anestesia).

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Qualche giorno fa mi trovavo in sala operatoria di Chirurgia Generale, io e Roberta, un dottoressa al primo anno di specialità. Primo intervento della mattinata, un laparotomia per un intervento di resezione retto-colica.
La nostra paziente non prevede difficoltà pre-operatorie particolari: ipertesa, diabetica, buone condizioni generali. Posizioniamo un catetere peridurale ed iniziamo l’anestesia generale. Induzione, intubazione oro-tracheale senza problemi e Roberta mi chiede: “Come imposto il ventilatore?” “Fai come se io non ci fossi”.
La paziente pesa 74 kg ed è alta 158 cm. Il ventilatore viene impostato con ventilazione in volume controllato con un volume corrente di 500 ml per 14 atti /minuto, PEEP 0 cmH2O.
Abbiamo una buona saturazione periferica SpO2 99% con FIO2 60%, EtCO2 39-40 mmHg e pressioni di picco intorno a 30 cmH20.
L’intervento è cominciato, è prevista una durata superiore alle 2 ore, nessun problema di emodinamica, la paziente è in lieve Trendelenburg. Chiedo a Roberta il motivo delle impostazioni del ventilatore e iniziamo a discutere. Dal computer della sala operatoria apro la pagina di Ventilab e leggiamo insieme il post del 24 luglio 2010, commentiamo le opinioni PERSONALI di chi ha scritto e modifichiamo i parametri ventilatori:
Calcoliamo il peso ideale (post 18 dicembre 2011): donne = 45.5 + 0.91 x (altezza in cm – 152.4) = 45.5 + 0.91 x (158 – 152.4) = 50 kg. Impostiamo un volume corrente di 5-8 ml/kg di peso corporeo ideale, scegliamo arbitrariamente 7 ml/kg x 50 kg = 350 ml
La paziente non è obesa, quindi PEEP 5 cmH2O. Frequenza respiratoria iniziale di 18 atti/minuto con l’accortezza di non dimenticare EtCO2 e monitoraggio grafico del ventilatore.
Un rapporto inspirazione/espirazione (I:E) tale da garantire un tempo inspiratorio pari a 1 secondo.
Contenti? Io sì, Roberta un po’ meno (giustamente!!!) e ora lei chiede a me “Perché queste impostazioni ti piacciono?”. Esclusa la stima e la completa fiducia di chi ha scritto il post preso come esempio, non so dirle se effettivamente le impostazioni scelte (che sono valide per un paziente in ventilazione meccanica ricoverato in terapia intensiva) possano “far bene” anche alla nostra signora con l’addome aperto.

Oggi però posso tentare di dare una risposta: The New England Journal of Medicine (1) ha pubblicato in agosto un articolo che fa al caso nostro.

È uno studio multicentrico francese, condotto in doppio cieco, sono stati studiati 400 pazienti adulti sottoposti a intervento di chirurgia addominale (laparoscopica o no) della durata prevista maggiore di due ore.
I pazienti del gruppo di controllo sono stati ventilati in modalità volume controllato, con volume corrente di 10-12 ml/kg di peso corporeo ideale, con PEEP zero. I pazienti del gruppo di studio sono stati ventilati in modalità volume controllato, con volume corrente di 6-8 ml/kg di peso corporeo ideale, con PEEP 6-8 cmH2O e manovre di reclutamento (pressione continua di 30 cmH2O per 30 secondi applicata ogni 30 minuti).
In entrambi i gruppi si è stati attenti a non superare una pressione di plateau di 30 cmH2O (in media 15 cmH2O nel gruppo con basso volume corrente e PEEP e 16 cmH2O nel gruppo di controllo).
Nella valutazione dell’outcome primario, definito come insorgenza di complicanze polmonari maggiori (polmonite, insufficienza respiratoria con necessità di ventilazione artificiale) o extrapolmonari (sepsi, sepsi grave, shock settico, decesso) nella prima settimana postoperatoria, si è evidenziata una differenza significativa tra i due gruppi: 22 (10.5%) complicanze nel gruppo di pazienti ventilati con basso volume corrente e PEEP e 55 (27.5%) complicanze nel gruppo di controllo (rischio relativo 0.4, CI95% 0.24-0.68, p = 0.001). L’analisi degli outcome secondari ha mostrato una ridotta permanenza in ospedale nei pazienti ventilati con basso volume corrente e PEEP.

Lo studio dimostra come la ventilazione protettiva possa essere più vantaggiosa rispetto alla “ventilazione standard” anche in anestesia. Un’ipotesi (post 26 dicembre 2011) (2) è che questa modalità ventilatoria più “soft” riduca barotrauma (da elevate pressioni), volotrauma (da sovradistensione di aree), atelectrauma (da dereclutamento), biotrauma (danno strutturale da mediatori proinfiammatori locali) e forse anche microaspirazioni di contenuto gastrico (3).

Ogni anno nel mondo circa 230 milioni di pazienti vengono sottoposti a chirurgia addominale maggiore e ventilazione meccanica: le problematiche respiratorie sono seconde solo alla infezioni (4) tra le complicanze post-operatorie. L’anestesista può contribuire a ridurre le complicanze postoperatorie con una appropriata impostazione della ventilazione meccanica.

Conclusioni.

Possiamo concludere che in tutte le condizioni in cui impostiamo una ventilazione meccanica controllata in interventi di chirurgia addominale maggiore dovremmo:
1. stabilire un volume corrente di 6-8 ml/kg di peso corporeo ideale
2. impostare una PEEP di 6-8 cmH2O
3. valutare manovre di reclutamento (pressione continua di 30 cmH2O per 30 secondi applicata ogni 30 minuti).
4. regolare la frequenza respiratoria per mantenere una PaCO2 “ragionevole”
5. mantenere una pressione di plateau inferiore a 30 cmH2O
6. ricordarci che il ventilatore può essere un’arma molto potente, sia in positivo che in negativo.

Grazie per la pazienza.

Bibliografia
1. Futier E et al. A trial of intraoperative low-tidal-volume ventilation in abdominal surgery. N Engl J Med 2013; 369:428-37
2. Vidal Melo MF et al. Protect the lungs during abdominal surgery. Anesthesiology 2013; 118: 1254-7
3. Lam SM et al. Intraoperative low-tidal-volume ventilation (letter). N Engl J Med 2013; 369:1861-3
4. Weiser TG et al. An estimation of the global volume of surgery: a modelling strategy based on available data. Lancet 2008; 372:139-44


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