Mario e Pippo hanno un'infezione che ha determinato anche ipotensione. Dopo una prima somministrazione di fluidi, si presentano così:- Mario, 45 anni, senza malattie croniche. Pressione arteriosa: 78/48 mmHg (pressione arteriosa media 58 mmHg).
- Pippo, 75 anni, in terapia per ipertensione arteriosa. Pressione arteriosa: 95/50 mmHg (pressione arteriosa media 67 mmHg).
Alla luce di queste pochissime informazioni, proviamo comunque a farci due domande:
1) Questi dati sono sufficienti per decidere se intervenire per aumentare, ed eventualmente di quanto, la pressione arteriosa di Mario e/o Pippo?
2) Ritieni ci siano altri dati da valutare per poter rispondere alla domanda?
Prima di tentare di rispondere a queste domande, consideriamo sia i dati degli studi clinici sulla pressione arteriosa nello shock settico che le basi fisiologiche della pressione arteriosa.
Cosa dicono gli studi clinici.
L’ultima edizione delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign raccomanda che, negli adulti con shock settico, la pressione arteriosa media sia inizialmente mirata a raggiungere 65 mmHg (rispetto a target più elevati) (1).
Gli studi clinici nei pazienti con shock settico però, se valutati nel loro complesso, non supportano l’idea che ci sia un valore soglia di pressione arteriosa media da raggiungere.
Preliminarmente dobbiamo considerare che non è stato studiato l’impatto clinico e fisiologico di valori di pressione arteriosa media inferiore a 60-65 mmHg: pertanto il valore di 65 mmHg deve essere considerato come il minore tra quelli studiati.
Quando i 65 mmHg di pressione arteriosa media sono confrontati con valori più elevati (per lo più tra 75 e 85 mmHg), gli studi raggiungono conclusioni contrastanti: in alcuni casi non vi sono differenze, in altri casi probabilmente può essere più favorevole mantenersi su valori più bassi, in altri ancora sembra più favorevole avere più elevati livelli di pressione (2-8).
Se consideriamo nel loro complesso questi risultati discordanti, si dovrebbe far strada l’idea che probabilmente la pressione arteriosa media sia un obiettivo poco importante nel supporto cardiovascolare dei pazienti con sepsi.
La pressione arteriosa, note fisiologiche.
La pressione arteriosa durante il ciclo cardiaco.
Una premessa: nel nostro ragionamento ignoreremo completamente la riflessione retrograda dell’onda pressoria, un aspetto molto importante nella formazione dell'onda di pressione arteriosa ma la cui omissione non modifica il senso del ragionamento che faremo.
La pressione arteriosa è il risultato dello stiramento delle fibre elastiche della parete arteriosa da parte del volume di sangue in essa contenuto.
Il volume di sangue contenuto in un’arteria in un determinato istante è dato dall’equilibrio dinamico tra due flussi, uno in arrivo dal cuore ed uno in uscita verso il circolo più periferico.
In sistole questi due flussi sono contemporaneamente presenti, cioè nello stesso istante arriva sangue dal cuore ed esce sangue verso il circolo periferico. Nella fase iniziale della sistole (area rossa nella fig. 1), la pressione aumenta perché il volume di sangue nell’arteria aumenta, cioè il flusso in arrivo è maggiore del flusso in uscita.
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Figura 1 |
Questo aumento di volume viene accolto dalla espansione sistolica dell’arteria che raggiunge il suo massimo al picco sistolico (figura 2). |
Figura 2 |
Con il proseguire della sistole oltre il picco sistolico, il calo di pressione significa che il volume ematico dell’arteria diminuisce: continua il flusso in arrivo, ma ora il flusso in uscita lo supera (area grigia nella figura 1).L’incisura dicrota segna il passaggio dalla sistole alla diastole (area lilla nella figura 1): la chiusura della valvola aortica fa cessare il flusso in arrivo all’arteria e rimane solo il flusso in uscita. La pressione arteriosa in diastole pertanto esprime l’interazione tra vaso arterioso e circolo periferico, a differenza della pressione arteriosa in sistole che include anche l’accoppiamento con la pompa cardiaca.
Il flusso diastolico dall’arteria verso il circolo periferico è spinto dal ritorno elastico della parete arteriosa contro il volume di sangue in essa contenuto (figura 3) ed ostacolato dalla pressione a valle.
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Figura 3 |
Cerchiamo ora di capire il significato di questa pressione a valle, elemento fondamentale anche per la corretta interpretazione della pressione arteriosa media.
Di solito la diastole dura meno di 1 secondo ed è interrotta dalla nuova sistole. Ipotizziamo di poter prolungare la diastole per parecchi secondi in modo tale da completare il deflusso del sangue arterioso verso il circolo capillare ed arrivare ad azzerare il flusso arterioso. A quanto pensiamo possa scendere la pressione arteriosa durante questa ipotetica maxi-diastole? E’ stato dimostrato teoricamente e sperimentalmente che la riduzione della pressione arteriosa diastolica si ferma a valori ben superiori a quelli delle pressioni venose, dell’ordine dei 25-50 mmHg (9-11). Si ritiene che questa sia una pressione critica di chiusura, al di sotto della quale il flusso cessa e di conseguenza la perfusione tissutale si arresta.
A questo punto appare chiaro che tutta la quota di pressione arteriosa diastolica al di sotto della pressione critica di chiusura non dovrebbe essere considerata come pressione di perfusione.
Inoltre la pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche, principalmente localizzate a livello arteriolare precapillare. Ne consegue che la pressione arteriosa diastolica può ridursi lentamente (e quindi rimanere elevata) perché c’è vasocostrizione arteriolare che ostacola il deflusso (e la perfusione tissutale) oppure può ridursi rapidamente (e quindi diventare subito bassa) se c’è vasodilatazione, con flusso e perfusione verso i tessuti facilitati.
E' quindi evidente che solo una parte della pressione arteriosa diastolica (quella al di sopra della pressione critica di chiusura) genera flusso, e che questa parte di pressione arteriosa diastolica può addirittura avere una relazione inversa con il flusso.
Diversamente dalla pressione diastolica, la pressione pulsatoria (cioè l’incremento sistolico della pressione) è direttamente correlata alla gittata sistolica e quindi alla portata cardiaca ed alla perfusione. Ovviamente l’entità della correlazione tra pressione pulsatoria e stroke volume dipende dalla compliance arteriosa, generando ad esempio lo stesso stroke volume una pressione pulsatoria che aumenta parallelamente con l’età.
La pressione arteriosa media
Nella figura 4 vediamo riprodotta una curva di pressione arteriosa “normale”, con pressione sistolica (PAS) 122 mmHg, diastolica (PAD) 80 mmHg. La pressione pulsatoria (PP) è 42 mmHg.
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Figura 4 |
La pressione arteriosa media è la media della pressione arteriosa durante un intero ciclo cardiaco (sistole e diastole), ed è misurata dividendo l’area sotto curva di pressione durante un ciclo cardiaco per la durata del ciclo (area rossa che equivale all’area grigia della figura 4). Quando la rilevazione della pressione è molto frequente (ad esempio durante il monitoraggio invasivo che ha almeno 100 campionamenti al secondo), la pressione arteriosa media è molto ben approssimata dalla media aritmetica di tutti i valori pressori rilevati durante il ciclo cardiaco.La pressione arteriosa media (PAM) può anche essere stimata (approssimativamente) utilizzando l’equazione
$$ PAM = PAD + \cfrac{1}{3} \cdot PP ~~~(eq.~1) $$
Nell’esempio in figura 1 si calcola una PAM di 94 mmHg.
Si può ben vedere sia dalla valutazione grafica nella figura 4 che dalla equazione 1, che la pressione arteriosa media è principalmente determinata dalla pressione arteriosa diastolica e molto meno da quella pulsatoria. Nel nostro esempio, dei 94 mmHg di pressione media, ben l'85% è dovuto alla diastolica (80 mmHg) e solo il 15% alla pressione di pulsazione (gli altri 14 mmHg).
La pressione arteriosa media mette insieme pressione diastolica e pulsatoria, che però dal punto di vista fisiopatologico ed emodinamico hanno significati molto diversi ed in essa è preponderante il peso della diastolica, la parte di pressione arteriosa meno correlata con la perfusione tissutale.
Anche alla luce di queste considerazioni non stupisce che gli studi clinici non abbiano portato a trovare un chiaro obiettivo di pressione arteriosa media nel trattamento dei pazienti con shock.
Torniamo a Mario e Pippo...
Ora possiamo rispondere alla prima domanda delle due domande iniziali, quella che chiede se e quanto dobbiamo modificare la pressione arteriosa a Mario (quarantacinquenne sano con 58 mmHg di pressione arteriosa media) e/o a Pippo (settantacinquenne iperteso con 67 mmHg di pressione arteriosa media). La risposta è sconfortantemente semplice: non abbiamo dati sufficienti per prendere una decisione. La pressione arteriosa è un dato semplice da rilevare ma di poca utilità clinica nel paziente con shock. La pressione arteriosa sia di Mario che di Pippo potrebbe essere sufficiente alla perfusione di organi e tessuti come potrebbe essere insufficiente.
Dobbiamo necessariamente avere altre informazioni per decidere se e cosa fare. Questa sarebbe la seconda domanda a cui rispondere, ma questo post è già diventato molto corposo: vale la pena fare una pausa e continuare nel prossimo.
Conclusioni
Per ora riassumiamo i concetti principali del post di oggi:
- Il raggiungimento di una pressione arteriosa media di 65 mmHg è indicato come obiettivo di trattamento nel paziente con ipotensione secondaria ad infezione ma la letteratura porta a conclusioni contrastanti;
- La pressione pulsatoria è funzione anche dello stroke volume, che è la base della portata cardiaca ed è quindi un elemento importante per la perfusione periferica;
- La pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche e dalla pressione critica di chiusura, elementi che limitano il flusso verso i tessuti;
- Nel calcolo della pressione arteriosa media è preponderante il peso della pressione diastolica rispetto a quello della pressione pulsatoria. Poiché la perfusione (portata cardiaca) è funzione della pressione pulsatoria e non della diastolica, è ragionevole pensare che la pressione arteriosa media sia un indice di perfusione poco affidabile. Alla luce di queste considerazioni si comprende bene l'inconcludenza degli studi clinici alla ricerca della “giusta” pressione arteriosa media.
- Per valutare l’adeguatezza dell'emodinamica nei pazienti con shock è indispensabile considerare sempre altri indici di perfusione accanto alla misurazione della pressione arteriosa.
Come sempre, un caro saluto ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
Bibliografia.
1) Evans L, Rhodes A, Alhazzani W, et al.: Surviving sepsis campaign: international guidelines for management of sepsis and septic shock 2021. Intensive Care Med 2021; 47:1181–1247
2) LeDoux D, Astiz ME, Carpati CM, et al.: Effects of perfusion pressure on tissue perfusion in septic shock: Crit Care Med 2000; 28:2729–2732
3) Bourgoin A, Leone M, Delmas A, et al.: Increasing mean arterial pressure in patients with septic shock: Effects on oxygen variables and renal function: Crit Care Med 2005; 33:780–786
4) Thooft A, Favory R, Salgado D, et al.: Effects of changes in arterial pressure on organ perfusion during septic shock. Crit Care 2011; 15:R222
5) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus Low Blood-Pressure Target in Patients with Septic Shock. N Eng J Med 2014; 370:1583–1593
6) Lamontagne F, Meade MO, Hébert PC, et al.: Higher versus lower blood pressure targets for vasopressor therapy in shock: a multicentre pilot randomized controlled trial. Intensive Care Medicine 2016; 42:542–550
7) Lamontagne F, Richards-Belle A, Thomas K, et al.: Effect of reduced exposure to vasopressors on 90-day mortality in older critically ill patients with vasodilatory hypotension: a randomized clinical trial. JAMA 2020; 323:938
8) Maheshwari K, Nathanson BH, Munson SH, et al.: The relationship between ICU hypotension and in-hospital mortality and morbidity in septic patients. Intensive Care Med 2018; 44:857–867
9) Permutt S, Riley RL: Hemodynamics of collapsible vessels with tone: the vascular waterfall. J Appl Physiol 1963; 18:924–932
10) Kottenberg-Assenmacher E, Aleksic I, Eckholt M, et al.: Critical closing pressure as the arterial downstream pressure with the heart beating and during circulatory arrest: Anesthesiology 2009; 110:370–379
11) Maas JJ, de Wilde RB, Aarts LP, et al.: Determination of vascular waterfall phenomenon by bedside measurement of mean systemic filling pressure and critical closing pressure in the intensive care unit: Anesth Analg 2012; 114:803–810