Utilità dell'emogasanalisi arteriosa e venosa nello shock

31 ott 2021
Un anno e mezzo fa ebbi tra i miei pazienti una persona a me cara (B.) con un gravissimo e prolungato shock emorragico. 

Ricordo vividamente il caso innanzitutto perchè B. è un amico ed anche perchè fu l’ultimo “bel caso” (scusa B. se ti definisco così...) prima che la tempesta COVID-19 travolgesse le nostre terre a fine febbraio 2020.

Presento in estrema sintesi il caso, tralasciando tutti i dettagli clinico-anamnestici non strettamente funzionali al post di oggi. 

Fin dall'arrivo in Terapia Intensiva B. ha necessità di vasocostrittore ad alto dosaggio, nonostante generose trasfusioni di emoderivati,  per mantenere la pressione arteriosa media tra 60 e 70 mmHg. L'indice cardiaco (alla termodiluizione transpolmonare) si mantiene tra 3-3,5 l⋅min⁻¹m⁻², l'emoglobina tra 9 e 10 g/dL, la saturazione venosa centrale (SvO₂) tra 67 e 80%.

In figura 1 puoi vedere l’andamento della concentrazione di lattato arterioso nelle prime ore di ricovero in Terapia Intensiva. 

Figura 1
Figura 1

 

Dopo un iniziale incremento, il lattato arterioso inizia a diminuire passando da 13 mmol/L alle 21:08 a 6.9 mmol/L alle 11:17 del giorno successivo. Questa continua discesa fa pensare che la perfusione tissutale stia migliorando e che quindi il supporto di circolo stia procedendo in maniera appropriata. 

Ma dopo questa iniziale fase di discesa, il lattato arterioso ricomincia a salire alle 15:19, come si vede nel grafico 2, che ripropone i dati del grafico 1 con l'aggiunta di due misurazioni successive.

Figura 2


Il lattato arterioso è un marker di ipoperfusione tissutale, ma nelle situazione di instabilità cardiocircolatoria acuta ha un importante limite: ha bisogno di qualche ora per modificarsi significativamente, rischiando di mandare
in ritardo segnali preziosi per adeguare il supporto cardiocircolatorio all'evoluzione dello shock.

Possiamo affiancare alla valutazione del lattato un altro indicatore che abbia la caratteristica di modificarsi più tempestivamente in risposta alle variazioni di perfusione e metabolismo tissutale

Shock, consumo di O₂ e produzione di CO₂

Fisiologicamente il consumo di ossigeno (V’O₂) da parte dei tessuti è circa 250 ml/min e la produzione di anidride carbonica (V’CO) circa 200 ml/min. Il rapporto tra V’CO/V’O (quoziente respiratorio) in condizioni di aerobiosi può teoricamente variare tra tra 0.7 e 1 in funzione del tipo di substrati energetici metabolizzati.

Quando l'ossigeno è insufficiente rispetto alle necessità metaboliche, come può accadere durante uno shock, la produzione di energia da parte dell'organismo prosegue (anche se a ritmo ridotto) attivando la glicolisi anaerobica, che ha come prodotti finali lattato (che ritroviamo in circolo) e H⁺ (figura 3). Il tamponamento degli H⁺ determina la formazione di CO pur in assenza di consumo di O

 

Figura 3
 

L'attivazione del metabolismo anaerobico determina quindi una riduzione del V’O è maggiore di quella del V’CO. In queste condizioni il V’CO/V’O aumenta e può divenire anche > 1.

La modificazione del V’CO/V’O segue le variazioni di ipoperfusione tissutale in maniera più tempestiva della variazione del lattato e per questo potrebbe essere quell'indicatore che ci consente di seguire quasi in tempo reale l'evoluzione dello shock.

Come misurare il V’CO/V’O

V’CO e V’O possono essere misurati (in condizioni ideali) dalla calorimetria indiretta, ma non parleremo oggi di questa tecnica.

In alternativa V’CO e V’O possono essere calcolati dall’emogasanalisi arteriosa e venosa mista.

Il consumo di ossigeno può essere ricavato come la differenza tra la quantità O che il sangue trasporta ai tessuti (quella cioè presente nel sangue arterioso) e la quantità di O che è presente nel sangue che ha abbandonato i tessuti (cioè il sangue in atrio destro o, meglio ancora, in arteria polmonare).

Analogamente la produzione di COpuò essere calcolata come la differenza di quantità di CO₂ tra il sangue in atrio destro (che contiene tutta la anidride carbonica prodotta nei tessuti) ed il sangue arterioso (con la CO₂ prima del passaggio nei tessuti).

Per "quantità" di O e CO₂ si deve intendere il loro flusso, cioè il prodotto tra il contenuto di questi gas in un dato volume di sangue (di solito si considerano 100 ml) e la portata cardiaca.

Sintetizziamo in formula i concetti sopra espressi. Iniziamo con il consumo di O:

V’O = (CaO ⋅ CO) - (CvO CO)

La formula si legge così: il V'O è la differenza tra il contenuto (C) del sangue arterioso (a) di O moltiplicato la portata cardiaca (CO, cardiac output) ed il contenuto di venoso (v) moltiplicato per CO

Il che equivale a dire, con un piccolissimo passaggio matematico, che il V'O è uguale alla differenza di contenuto artero-venoso di O₂ moltiplicata per CO.

 V’O = (CaO - CvO) CO

Applichiamo lo stesso approccio al V'CO₂, ricordando che è la differenza tra la CO₂ venosa e quella arteriosa:

V’CO = (CvCO ⋅ CO) - (CaCO CO)

cioè

V’CO = (CvcO - CaCO) CO.

Da queste formule, ne deriva che il V’CO/V’O può essere calcolato come segue, senza conoscere la portata cardiaca (che si semplifica nella divisione):

V’CO/V’O = (CvCO - CaCO) / (CaO - CvO).


Cioè il V’CO
/V’O è uguale al rapporto tra la differenza veno-arteriosa di contenuto di CO (CvCO - CaCO) e la differenza artero-venosa di contenuto di O (CaO - CvO).

La variazione di questo rapporto potrebbe quindi darci informazioni tempestive quando trattiamo un paziente con shock, avendo a disposizione semplicemente una emogasanalisi arteriosa ed una venosa

A questo proposito, una precisazione: idealmente il sangue venoso dovrebbe essere quello venoso misto, prelevato dall'arteria polmonare (con catetere di Swan-Ganz). Tuttavia alcuni studi mostrano una accettabile accuratezza anche utilizzando il sangue venoso centrale. Quando parliamo quindi di sangue venoso, possiamo intendere quindi sia venoso misto che centrale (anche se, quando disponibile, è sicuramente preferibile il primo).

Resta ora da vedere come si calcolano la differenza veno-arteriosa di CO e la differenza artero-venosa di O.

Come calcolare la (CaO - CvO)

Per semplicità da questo momento ΔOsarà il nome della (CaO - CvO).

Il contenuto di un gas nel sangue è la misura di quanti ml di quel gas (a pressione atmosferica) sono presenti in 100 ml di sangue.

L’ossigeno è principalmente contenuto nel sangue nella forma legata all’emoglobina. Il CaO₂, quando tutti i gruppi eme legano una molecola di O (cioè la saturazione è il 100%), è calcolato moltiplicando la concentrazione di emoglobina (in g/dL) per la sua capacità di legame, che corrisponde approssimativamente a 1.36 ml di O per grammo di emoglobina. Ciò significa che se un individuo ha una concentrazione di emoglobina di 10 g/dL ed una saturazione del 100%, il suo contenuto di ossigeno è 10 g/dL⋅1.36 ml di O per grammo di emoglobina, cioè 13.6 ml di O per dL. Se la saturazione diminuisce, la riduzione del CaO sarà proporzionale. Ad esempio se questo ipotetico soggetto passasse da 100% a 90% di saturazione, il suo CaO diventerebbe 10 g/dL1.36 ml di O per grammo di emoglobina(90%/100%), cioè 12.2 ml di O per dL.

La quantità di O
fisicamente disciolta nel sangue è molto bassa ed è data dal prodotto della PaO per il coefficiente di solubilità dell’ossigeno (0.003 mlO/dL per ogni mm Hg di PO). Quindi un soggetto con PaO di 90 mmHg ha un contenuto di O disciolto nel sangue arterioso pari a  90 mmHg0.003 mlO/dL per mmHg di PO = 0.3 ml di O per 100 ml.

Sintetizzando tutte le precedenti formule,
il ΔO può essere calcolato come segue:

ΔO = Hgb1.36(SaO - SvO)/100 + (PaO - PvO)0.003


Facciamo l’esempio di un soggetto con 10 g/dL di emoglobina, SaO
95 %, SvO 65 %, PaO 75 mmHg, PvO 34 mmHg. Nella formula che segue sono scritti in grassetto i dati rilevati dall'emogasanalisi:

ΔO = 10 g/dL1.36 mlO/g(95 - 65)/100 + (75 mmHg - 34 mmHg)0.003 mlO/dL per mmHg = 4.2 mlO/dL.

Come calcolare la (CvCO - CaCO)

Analogamente a quanto fatto nel paragrafo precedente, per semplicità il (CvCO - CaCO) sarà definito come ΔCO.

Il calcolo del contenuto di CO è molto (ma molto) più complesso di quello del contenuto di O (ti risparmio spiegazioni più dettagliate). Ma c’è una buona notizia. Il contenuto di CO è direttamente e linearmente proporzionale alla pressione di CO (cosa che non è vera per l'ossigeno e non ci consente di utilizzare la PaO come indicatore del CaO).

Per questo motivo possiamo utilizzare il più semplice (PvCO - PaCO) invece del più complesso (CvCO - CaCO₂) per la valutazione del ΔCO.

V'CO₂/V'O₂ e ΔCO₂/O₂

Per brevità ho definito ΔCO₂/O₂ quello che in forma estesa sarebbe il (PvCO - PaCO)/(CaO - CvO₂).

Se il V'CO/V'O è un elemento da tenere in considerazione per valutare l'ipossia tissutale e metabolismo anaerobico durante lo shock, questo dovrebbe essere vero anche per il ΔCO₂/O₂.

Quali dati clinici ci sono a sostegno dei ragionamenti fisopatologici finora proposti?

E' stato evidenziato che un ΔCO₂/O₂>1.4 predice una concentrazione di lattato > 2 mmol/L (1) (Figura 4) e lo fa meglio delle altre variabili derivate dai gas nel sangue. In particolare possiamo vedere dalla figura 4 che la saturazione venosa (SvO₂), un dato frequentemente utilizzato in clinica, non ha valore predittivo della condizione di iperlattacidemia

Figura 4

Inoltre avere un V'CO/V'O > 1 aumenta il rischio di morte tra i pazienti con iperlattacidemia (2), confermando la sua importanza durante gli stati di ipoperfusione tissutale.

Questi dati sembrano confermare che il ΔCO₂/O₂ può essere realmente un'utile aggiunta nella valutazione del trattamento rianimatorio del paziente con shock, da integrare alla comune valutazione del lattato arterioso (3). 

La medicina non è fatta di singoli numeri magici che portano alla verità, ma dalla capacità di integrare e dare un senso ai tanti segnali che l'organismo ci offre: il ΔCO₂/O₂ è uno di questi segnali e può essere aggiunto alla valutazione clinica ragionata dei pazienti con shock.

Torniamo a B.

Nella figura 5 ti propongo l’andamento del ΔCO₂/O₂ di B. durante il saliscendi del lattato già presentato in figura 2. In rosso è riproposto il trend del lattato, in blu quello del ΔCO₂/O₂. Alle 21:08 del 17/02 entrambi iniziano una discesa consensuale, facendo pensare che la perfusione tissutale probabilmente stia iniziando a soddisfare meglio le necessità metaboliche dei tessuti. Mentre però il lattato continua a diminuire tra le 5:27 e le 11:17, in questo intervallo temporale il ΔCO₂/O₂ aumenta, anticipando di qualche ora una simile variazione di lattato. Da questo momento il ΔCO₂/O₂ anticiperà regolarmente l’andamento del lattato.

Figura 5

Questa aneddotica esperienza clinica, unitamente al razionale fisiopatologico e la sua conferma in un paio di studi clinici, supporta l'idea che quando si osserva un trend diverso tra lattato arterioso e ΔCO₂/O₂, si deve prendere in considerazione che quest’ultimo possa essere un segnale anticipatore della successiva variazione del lattato. 


Riassumendo brevemente quanto detto finora:

  • il V’CO/V’O aumenta in presenza di metabolismo anaerobico, segno di ipossia tissutale critica
  • il V’CO/V’O riflette più tempestivamente del lattato arterioso l'evoluzione dell’ipossia tissutale
  • il V’CO/V’O è uguale al (CvCO - CaCO)/ (CaO - CvO) 
  • le variazioni di (CvCO - CaCO) sono direttamente proporzionali a quelle del (PvCO - PaCO)
  • il ΔCO₂/O₂ può contribuire al tempestivo rilevamento di ipossia tissutale critica nel paziente con shock.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
 

PS: dal 2021 riprenderemo regolarmente l’attività di formazione. Dai ogni tanto un’occhiata a www.ventilab.it per essere aggiornato sulle date di ripresa dei corsi (conto di ufficializzare il calendario a fine novembre).

Bibliografia
1. Mekontso-Dessap A, Castelain V, Anguel N, et al.: Combination of venoarterial PCO₂ difference with arteriovenous O
content difference to detect anaerobic metabolism in patients. Intensive Care Med 2002; 28:272–277
2.
Ospina-Tascón GA, Umaña M, Bermúdez W, et al.: Combination of arterial lactate levels and venous-arterial CO to arterial-venous O content difference ratio as markers of resuscitation in patients with septic shock. Intensive Care Med 2015; 41:796–805
3.
Ospina-Tascón GA, Hernández G, Cecconi M: Understanding the venous–arterial CO to arterial–venous O content difference ratio. Intensive Care Med 2016; 42:1801–1804

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