Visualizzazione post con etichetta ipocapnia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ipocapnia. Mostra tutti i post

Alcalosi respiratoria e acidosi respiratoria nei pazienti con ventilazione meccanica: quando trattarle e quando accettarle.

31 lug 2021

La ventilazione meccanica deve evitare acidosi respiratoria o alcalosi respiratoria?

Come spesso avviene in medicina (e nella vita…), la risposta a questa domanda non può esaurirsi con un semplice “sì” o “no” ma richiede un approccio un po’ più articolato. La risposta è infatti diversa in caso di acidosi o alcalosi e se la ventilazione meccanica è controllata o assistita.

Anticipo le conclusioni nella figura 1, che poi cercherò di motivare.


Figura 1


In questo post per acidosi ed alcalosi intendiamo disturbi non compensati dell'equilibrio acido base, quindi di condizioni con pH < 7.35 (acidemia) o pH > 7.45 (alcalemia).

Ricordiamo che la ventilazione meccanica si definisce controllata quando il paziente non contribuisce in alcun modo alla ventilazione: la frequenza respiratoria rilevata è uguale a quella impostata, non vi sono segni di trigger inspiratorio né di attività inspiratoria durante l'inspirazione. La ventilazione si definisce invece assistita quando invece almeno la frequenza respiratoria dipende dal paziente: in questo caso si vede l’attivazione del trigger inspiratorio e la frequenza respiratoria è superiore a quella impostata.

Iniziamo ad esaminare i 4 casi sintetizzati nella tabella in figura 1.

ALCALOSI RESPIRATORIA CON VENTILAZIONE CONTROLLATA

E’ in assoluto il caso più semplice da capire e risolvere. L'ipocapnia alla base dell'alcalosi respiratoria è conseguenza unicamente della ventilazione meccanica ed il paziente ne subisce passivamente gli effetti deleteri: vasocostrizione nella circolazione sistemica e riduzione della cessione di ossigeno ai tessuti per spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell'emoglobina (figura 2).


Figura 2

La conseguenza può essere ischemia ed ipossia tissutale, particolarmente temibile a livello cerebrale e miocardico.

Questa alcalosi respiratoria deve essere evitata ed è facile farlo: è sufficiente limitare il volume corrente a 6-8 ml/kg di peso ideale e, se nonostante ciò persiste l’ipocapnia, ridurre la frequenza respiratoria quanto basta per rientrare in un range accettabile di pH e PaCO2 accettabile (ad esempio PaCO2 > 30 mmHg e pH < 7.5).

ALCALOSI RESPIRATORIA CON VENTILAZIONE ASSISTITA

In questa condizione l'ipocapnia è una conseguenza dell'aumentata attività dei centri respiratori (figura 3).

Figura 3

L'eventuale modificazione della ventilazione meccanica non potrà risolvere il problema: la riduzione del supporto inspiratorio (o, peggio ancora, la riduzione della sensibilità del trigger inspiratorio) non fa altro che aumentare lo sforzo inspiratorio che il paziente deve generare per mantenere il livello di ventilazione che i centri respiratori comandano. Se la riduzione dell'assistenza inspiratoria dovesse diminuire la ventilazione ed aumentare la
PaCO2, sarebbe segno che i muscoli respiratori, non più adeguatamente assistiti, si sono affaticati ed arresi. In altre parole, la PaCO2 aumenterà solo quando il paziente sarà stremato dallo sforzo di respirare.
L’unica arma sensata per aumentare la
PaCO2 in un paziente con alcalosi respiratoria in ventilazione assistita è ridurre farmacologicamente l’attività dei centri del respiro con la sedazione.

Ma vale la pena farlo? Spesso no, e cerchiamo di capire il perchè.

Uno dei più temibili effetti negativi dell’ipocapnia è la vasocostrizione cerebrale, che però non dovrebbe essere un problema in ventilazione assistita.

L'acidità del pH liquorale è il principale stimolante dei centri del respiro, e quindi la causa prima di iperventilazione ed ipocapnia.  Esistono anche altri stimoli dei centri del respiro, sia corticali che periferici, ma di norma sono secondari rispetto all’importanza che ha la concentrazione di liquorale H+

Possiamo ragionevolmente pensare che un soggetto ipocapnico in ventilazione assistita abbia acidosi liquorale (quindi una elevata concentrazione di H+) che stimola i centri respiratori e l'ipocapnia del sangue arterioso sia la conseguenza dell'iperventilazione. La presenza di acidosi liquorale è un ottimo antidoto contro la vasocostrizione cerebrale che invece è indotta da una condizione opposta, cioè l'alcalosi liquorale (bassa concentrazione di H+ liquorale).

L’acidosi liquorale è frequente nella patologie cerebrali infiammatorie, emorragiche ed ischemiche, che sono proprio quelle condizioni in cui di solito si osserva l’alcalosi respiratoria in ventilazione assistita. 

L'assenza di vasocostrizione cerebrale può essere confermata da una semplice valutazione neurologica: la presenza di una buona vigilanza o addirittura di contenuti di coscienza dovrebbero escludere una significativa ipoperfusione cerebrale.

Dobbiamo però essere consapevoli che l'alcalosi respiratoria nel sangue arterioso, pur probabilmente senza effetti deleteri a livello cerebrale, mantiene i propri effetti indesiderati sistemici extracerebrali, indipendentemente dal pH liquorale. Potrebbe essere una condizione sfavorevole in pazienti a rischio di ipoperfusione coronarica oppure in caso di segni di ipossia tissutale. Possiamo pertanto tollerare l’ipocapnia e l'alcalosi respiratoria nei pazienti in ventilazione assistita se sono assenti rischi di ipoperfusione del miocardio o di altri organi o tessuti.


ACIDOSI RESPIRATORIA CON VENTILAZIONE CONTROLLATA

Nei casi di acidosi respiratoria con ventilazione controllata possiamo aumentare la ventilazione minuto a patto che non esponga al rischio di ventilator-induced lung injury, ad esempio mantenendo la driving pressure inferiore a 15 cmH2O e lo stress index attorno a 1 (vedi post del 28/02/2015).

Se questo non fosse possibile possiamo accettare l'ipercapnia, che ha molti effetti fisiologici favorevoli, come ad esempio l'aumento della portata cardiaca, del trasporto di ossigeno e della cessione di ossigeno ai tessuti (spostamento a destra della curva di dissociazione dell’emoglobina). 

Per questi effetti l'acidosi respiratoria è solitamente ben tollerata dal punto di vista fisiopatologico, sicuramente molto meglio dell’ipocapnia.


ACIDOSI RESPIRATORIA CON VENTILAZIONE ASSISTITA

L'acidosi respiratoria con ventilazione assistita deve sempre essere evitata, perchè segno di un insufficiente supporto inspiratorio per muscoli respiratori deboli o affaticati

Questo è vero anche quando è presente una PaCO2 fisiologica (intorno a 40 mmHg) in presenza di acidosi: non è normale avere una PaCO2 normale quando vi è un’acidosi e quindi anche questa condizione va vista come segno di fatica o debolezza dei muscoli respiratori.

In questi casi la soluzione è semplice: aumentare il supporto inspiratorio e, se questo non risolvesse l'acidosi respiratoria, iniziare una ventilazione controllata per mettere temporaneamente a riposo i muscoli respiratori.

Conclusione.

Acidosi respiratoria ed alcalosi respiratoria possono essere tollerabili o meno in funzione del fatto che si manifestino durante ventilazione controllata o assistita.

In corso di ventilazione controllata non è accettabile l’alcalosi respiratoria mentre in corso di ventilazione assistita non è accettabile l'acidosi respiratoria.

Al contrario l’ipocapnia in ventilazione assistita e l’ipercapnia in ventilazione controllata possono essere accettabili dopo averne valutato l’impatto su altri organi e parenchimi.

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab e buona vacanza!





Read more ...

Iperventilazione, ipocapnia e perfusione cerebrale.

13 gen 2013

L'iperventilazione e l'ipocapnia spesso ci preoccupano nei pazienti con trauma cranico. Condivido con gli amici di ventilab un caso che alcune settimane fa si è presentato nella mia Terapia Intensiva.

Marino è un settantenne ricoverato in Terapia Intensiva per trauma cranico. Durante i primi 8-10 giorni ha ipertensione endocranica, è mantenuto sedato con ventilazione controllata. La frequenza respiratoria viene regolata per mantenere una PaCO2 di circa 35 mmHgAl termine di questo periodo, rimuove il monitoraggio della pressione intracranica ed inizia la ventilazione assistita (tramite tracheotomia) con pressione di supporto 8-12 cmH2O e PEEP 8 cmH2O.  Il GCS è 2+4+1(T), con la risposta motoria appena accennata. Fin qui tutto regolare, un paziente impegnativo ma che non pone dubbi rilevanti sulla scelta del miglior trattamento.

In pressione di supporto Marino ha un volume corrente di circa 550-650 ml (più alti di quelli che piacerebbero a me), indifferente alle variazioni di pressione di supporto e la frequenza respiratoria di 20-25/min. La PaO2 è di 100 mmHg con FIO2 0.4. Un caso come tanti, se non avessimo la PaCO2 a 25 mmHg con pH 7.53. Il dubbio che alcuni colleghi pongono è: in un trauma cranico recente, l'ipocapnia può determinare delle riduzioni della perfusione cerebrale e favorire l'insorgere di lesioni ischemiche?

Non possiamo dare risposte assolutamente certe a questa domanda (vedi post del 12/11/2010, 21/11/2010 e 12/01/2011), è possibile però farsi guidare da fisiologia e buon senso.

Se non costasse nulla mantenere un paziente normocapnico, lo faremmo volentieri. Il prezzo per mantenere Marino normocapnico invece è abbastanza pesante. La variazione del livello di pressione di supporto non modifica il volume corrente: ciò significa che il livello di ventilazione di Marino dipende dal suo drive respiratorio e non è indotto dalla nostra ventilazione. Alla riduzione della pressione di supporto si associa infatti un aumento dell'attività dei muscoli respiratori per mantenere proprio questo livello di ventilazione. L'unica misura efficace per ridurre la ventilazione in questi casi è la sedazione. Ma vogliamo sedare proprio ora un paziente che può avviarsi verso lo svezzamento dalla ventilazione meccanica?

La risposta può essere data se riusciamo a distinguere le cause dalle conseguenze.

L'aumento della concentrazione degli ioni idrogeno Hdetermina (con meccanismi tra loro indipendenti) sia iperventilazione che vasodilatazione cerebrale. Viceversa la riduzione della concentrazione degli  H+ causa bradipnea e vasocostrizione cerebrale (1-4).

Se l'iperventilazione viene imposta ad un paziente in ventilazione meccanica controllata, questa determinerà riduzione della PaCO2 e di conseguenza riduzione dalla PCO2 liquorale. A quest'ultima conseguirà una riduzione della concentrazione degli H+ e la conseguente vasocostrizione cerebrale.

Molto diverso è il caso dell'iperventilazione spontanea. In questa condizione dobbiamo quindi chiederci: perchè il paziente iperventila? Tra le cause più frequenti possono essere l'acidosi liquorale o l'ipossiemia (1). Marino non ha ipossiemia, quindi possiamo sospettare una elevata concentrazione liquorale di H+ (ricordiamo che ha avuto un recente trauma cranico). In questi casi il pericolo dell'iperventilazione non è la vasocostrizione ma le eventuali conseguenze sistemiche dell'alcalosi respiratoria (ad esempio sull'apparato cardiovascolare).

Marino è stato lasciato in ventilazione assistita senza sedazione, in circa due giorni si è portato stabilmente ad una PaCO2 di 35 mmHg. Dopo un altro paio di giorni è stato svezzato dalla ventilazione meccanica e nella settimana successiva è stato dimesso in riabilitazione con un GCS di 4+5+1(T) e senza la comparsa di lesioni ischemiche all'ultima  TC encefalo prima della dimissione dall'ospedale. Un caso? Fortuna? 


Guardiamo allora questa emogasanalisi arteriosa, appartiene ad una giovane donna con chetoacidosi diabetica accettata dal nostro Pronto Soccorso qualche tempo fa. Non ci sono dubbi che vi sia una acidosi metabolica grave. La paziente ha eseguito numerose emogasanalisi e nella prima ora ha sempre avuto una PaCO2 tra 9 e 12 mmHg.

In questo caso ti aspetteresti una grave vasocostrizione cerebrale? Se siamo coerenti con il ragionamento fatto fino ad ora, dovremmo dire di no: l'iperventilazione è secondaria alla stimolazione del chemocettore centrale del midollo allungato (e dei copri aortici) da parte di un eccesso di  H+.  La clinica ci conferma questa interpretazione: questa giovane signora aveva uno stato di coscienza quasi normale, mostrandosi solo un po' confusa. Nell'arco di qualche ora è poi tornata ad essere anche ben orientata, un elemento che supporta tutto il ragionamento che abbiamo fatto fino ad ora.

Sicuramente le interazioni tra ventilazione e perfusione cerebrale non si esauriscono con queste considerazioni, ed ogni caso deve essere valutato con prudenza e considerando tutte le ipotesi plausibili. Bisogna però evitare di credere la sedazione sia sempre indispensabile in caso di iperventilazione con ipocapnia.

Possiamo concludere dicendo che, di norma, l'iperventilazione con ipocapnia:

- determina acutamente ipoperfusione cerebrale se è indotta dalla ventilazione controllata;

- può coesistere una sufficiente perfusione cerebrale quando il paziente è in respiro spontaneo o ventilazione assistita (correttamente impostata!).

Un saluto a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia. 

1) Williams K et al. Control of breathing during mechanical ventilation: who is the boss? Respir Care 2011; 2-127-36

2) Raichle ME, Stone HL. Cerebral blood flow autoregulation and graded hypercapnia. Eur Neurol 1971-1972; 6:1-5.

3) Lumb AB. Nunn’s Applied Respiratory Physiology. Chapter 5: Control of breathing, pp. 61-82. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

4) Froman C et al. Hyperventilation associated with low pH of cerebrospinal fluid after intracranial haemorrhage. Lancet. 1966; 1(7441):780-2.
Read more ...