Visualizzazione post con etichetta sforzo inefficace. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sforzo inefficace. Mostra tutti i post

Reverse triggering e sforzo inefficace: un esempio molto particolare

28 nov 2021

Ho ricevuto questo contributo dal dott. Cristiano Stefanello, un amico medico veterinario che lavora nella Clinica Veterinaria San Marco a Veggiano (PD). 

Cristiano da anni si dedica con passione e competenza alla ventilazione meccanica nel proprio ambito professionale. Propongo molto volentieri il suo post, integralmente e volutamente senza alcun commento. 

I commenti, vostri e miei, saranno ben accetti nell'apposito spazio al termine del post.

##########################

In questo post discuteremo di un paziente veterinario, cane setter inglese maschio  adulto di 14 kg. Il volume tidalico stimato è di circa 15 ml/kg.  Il paziente viene ricoverato per un’infezione tetanica: si presenta in decubito laterale con ipertono estensorio diffuso, scialorrea con difficoltà alla deglutizione e progressiva riduzione della capacità ventilatoria. All’esame radiografico i campi polmonari suggeriscono la presenza di una polmonite da aspirazione.  

Il cane viene intubato e  ventilato al fine di consentire l’uso di miorilassanti e sedativi per controllare le crisi tetaniche, garantendo allo stesso tempo il supporto della funzione respiratoria.
Dopo le prime 72 ore di intubazione e ventilazione controllata in sedazione profonda,  si decide di superficializzare il paziente, riducendo i livelli di sedazione al solo uso delle benzodiazepine. Si imposta una ventilazione pressumetrica a target di volume garantendo  una frequenza minima obbligata di 15 atti/minuto. Inizialmente data l’assenza di un drive respiratorio del paziente la nostra ventilazione si mostra di fatto una pressumetrica totalmente controllata. 

Il giorno seguente compaiono delle profonde incisure sulla  curva di pressione e flusso nel pieno della fase inspiratoria (freccia blu in Figura 1). A  queste incisure si accompagna un aumento del volume erogato. Nel secondo atto l’incisura si manifesta più tardivamente nella fase inspiratoria ( freccia verde), si accompagna ad un arrotondamento del profilo della curva di pressione (lo si apprezza meglio se confrontato con il profilo più squadrato dei respiri 3 e 6) e ad un minor aumento del volume erogato rispetto al precedente atto.

Figura 1

  

Torniamo ad analizzare il respiro 1 di cui ritagliamo un ingrandimento in Figura 2 e disegniamo con la linea arancio l’ipotesi di decadimento del flusso se l’inspirio fosse passivo: notiamo un rallentamento del decadimento esponenziale previsto nella curva di flusso (freccia blu) proprio in corrispondenza di un’ incisura nella curva pressoria, espressione dell’ attivazione dei muscoli inspiratori che tolgono flusso al sistema (in direzione inspiratoria) e riducono la pressione in questa fase. Il ventilatore in presenza di una riduzione di pressione continua ad erogare flusso per almeno tutta la durata del tempo inspiratorio; più tempo inspiratorio rimane più flusso verrà erogato in questa fase. Questo rappresenta il guadagno in volume dell’attivazione del paziente.  Nel respiro numero 2 in Figura 1 avviene la stessa cosa ma il tempo inspiratorio che resta è minore e quindi il contributo dato dall’attivazione inspiratoria del paziente incontra rapidamente il ciclaggio del ventilatore che passa alla fase espiratoria impedendo un ulteriore guadagno in volume. 

Figura 2
 

Al fine di comprendere meglio questi fenomeni viene inserita una sonda per la misurazione della pressione esofagea.

Figura 3

La pressione esofagea rappresenta la miglior stima della pressione pleurica. Durante il respiro spontaneo ci aspettiamo si riduca a seguito dell’attivazione dei muscoli inspiratori; a questo seguirà la caduta della pressione intrapolmonare con la formazione del gradente pressorio che crea il flusso dalla bocca al polmone.  Durante la ventilazione a pressione positiva un  aumento della pressione esofagea  è da interpretare come un segnale di passività del paziente.
Il ventilatore disegna l’atto triggerato colorando lo spazio sotto la curva; in questo caso nessun atto respiratorio è segnalato come triggerato.  L’assenza di un’incisura negativa sulla curva esofagea e sulla curva di pressione all’inizio dell’atto respiratorio (freccia blu, figura 3) lo confermano

La curva esofagea prosegue aumentando il suo valore  (passività del paziente) fino ad un determinato punto in cui inverte la tendenza (segno di attivazione dei muscoli inspiratori), si riporta al valore iniziale per proseguire negativamente (rettangolo blu trasparente).  L’attivazione che inizia a circa due terzi del tempo inspiratorio prosegue oltre il ciclaggio del ventilatore entrando nel tempo espiratorio. Questa attività inspiratoria  inverte il flusso portandolo vicino alla linea dello zero  (freccia rossa) per poi terminare rilassando i muscoli inspiratori, riportando ai livelli basali la pressione esofagea e consentendo di espirare nuovamente il volume come mostra la ripresa del flusso espiratorio  (freccia gialla, Figura 3). Questo fenomeno lo vediamo ripetersi sistematicamente su tutti gli atti respiratori.

Il reverse triggering è definito come un’attivazione dei muscoli inspiratori poco dopo l’inizio dell’insufflazione da parte del ventilatoreE’ dunque il ventilatore che innesca il  trigger del paziente che si troverà in ritardo rispetto alla fase inspiratoria impostata nel ventilatore stesso. L’attivazione neurale del paziente prosegue nella fase espiratoria creando uno sforzo inefficace che non supera la soglia di attivazione del ventilatore e si esaurisce subito dopo. La causa a mio avviso è da imputare ad un profondo livello di sedazione ancora presente.

La soluzione in questo caso è stata la riduzione dei livelli di  assistenza e di anestesia, eventi che hanno consentito al paziente di emergere con un proprio drive respiratorio e dettare la frequenza del supporto impostato

Si ringrazia per le immagini ed il caso clinico lo staff di Terapia intensiva della Clinica veterinaria Privata San Marco.
Dr. Stefanello Cristiano 


##########################

Ringrazio ancora Cristiano per il contributo.

Ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab


Read more ...

Sforzo inefficace, doppio trigger, ciclaggio anticipato: capire le asincronie per scegliere il trattamento corretto.

30 apr 2019


Lo sforzo inefficace è determinato da un’attivazione dei muscoli inspiratori che non è sufficiente ad attivare il trigger inspiratorio (vedi anche il post del 08/05/2012 e quello del 24/09/2017).

 

Vi è consenso nel ritenere che i criteri diagnostici dello sforzo inefficace sulle curve di pressione e flusso sia la contemporanea presenza di due segni: 1) riduzione della pressione delle vie aeree (figura 1, traccia in alto); 2) riduzione del flusso espiratorio (che si avvicina alla linea dello zero) (figura 1, traccia in basso), a cui non segue un’inspirazione assistita (1,2).

Figura 1

Una piccola precisazione, prima di affrontare il caso di oggi. A mio parere questi criteri diagnostici “ufficiali” sarebbero da rivedere: il primo dei due criteri (la riduzione di pressione delle vie aeree) non è infatti indispensabile per identificare uno sforzo inefficace. L’unico segno necessario è la riduzione del flusso espiratorio, in assenza di un concomitante aumento della pressione delle vie aeree.

Figura 2

Vediamo ad esempio la figura 2: c’è sicuramente uno sforzo inefficace, come dimostrato dalla depolarizzazione del diaframma in fase espiratoria (traccia in basso), a cui non segue l’attivazione del trigger inspiratorio. Durante la contrazione diaframmatica (tra le due righe azzurre tratteggiate verticali), il flusso (traccia verde) si riduce durante l’espirazione (rispetto al decadimento esponenziale passivo che potremmo ipotizzare, curva bianca tratteggiata), fino a toccare la linea dello zero. La pressione delle vie aeree non si riduce, rimanendo stabile sul valore della PEEP (linea orizzontale tratteggiata bianca, traccia in alto). Questo esempio dimostra che uno sforzo inefficace può verificarsi anche  quando la pressione delle vie aeree rimane costante.

Nel mondo ideale, con ventilatori meccanici “perfetti”, la pressione delle vie aeree non dovrebbe ridursi mai durante uno sforzo inefficace. Infatti il compito del ventilatore meccanico durante l’espirazione dovrebbe essere quello di mantenere il livello di PEEP, indipendentemente dall’attività del paziente. Però viviamo in un mondo reale, con ventilari meccanici “imperfetti”, che riescono a mantenere la PEEP stabile solo se l’attività dei muscoli respiratori è di modesta entità. Per questo motivo spesso (ma non sempre!) la pressione delle vie aeree si riduce nello sforzo inefficace, per l’incapacità del ventilatore meccanico di adeguarsi in maniera istantanea, uguale e contraria, alle pertubazioni pressorie indotte dal paziente.

Un’ultima considerazione sulla figura 2: avrai visto sicuramente le altre due asincronie…

Ed ora entriamo nel merito del problema di questo post. Esaminiamo il monitoraggio in figura 3: sono tre sforzi inefficaci quelli che vediamo?


Figura 3


Nella figura 4 ti propongo l’esercizio di analizzare la figura 3 con il metodo RESPIRE (vedi post del 20/08/2017 e del 24/09/2017), applicato alla sola fase espiratoria (se hai fretta o non ti interessa, puoi passare direttamente alla visione della figura 5). Dopo aver riconosciuto (R) le curve di pressione e flusso, è stata identificata l’espirazione E. Bisogna quindi supporre (S) come dovrebbero essere le curve se il paziente fosse passivo in espirazione: la pressione delle vie aeree dovrebbe essere sul valore di PEEP (riga tratteggiata orizzontale sulla curva di pressione) ed il flusso espiratorio dovrebbe essere decrescente. Nella figura si vede che la parte finale del flusso è decrescente come nei pazienti passivi. Quindi prolungo fino all’inizio dell’espirazione questa curva di flusso espiratorio (curva tratteggiata bianca). Metto il paziente (P) tra le curve di pressione e flusso e guardo se queste gli si avvicinano (I, attività inspiratoria) o allontanano (E, attività espiratoria) rispetto alle tracce teoriche. Vediamo indiscutibilmente che quando il flusso espiratorio si avvicina allo zero, la pressione delle vie aeree scende (frecce rosse). Quindi concludiamo che c’è un’attività inspiratoria nella fase espiratoria, non seguita dall’attivazione del trigger. E’ uno sforzo inefficace.


Figura 4

Guardiamo ora la figura 5: si nota la ripetuta attivazione di due trigger inspiratori ravvicinati, separati da una brevissima fase espiratoria. Questa asincronia è definita doppio trigger (vedi post del 26/12/2014), ed il suo criterio diagnostico sulla curva di flusso è dato dalla presenza di due trigger inspiratori separati da una espirazione di durata inferiore alla metà del tempo inspiratorio medio (1,2).

Figura 5

Nella figura 3 abbiamo 3 sforzi inefficaci, nella figura 5 invece vi sono 3 doppi trigger. Due asincronie che possono richiedere trattamenti opposti: nel paziente con sforzo inefficace può essere indicata la riduzione del supporto inspiratorio (3), mentre l’aumento del supporto inspiratorio può essere appropriato in quello con doppio trigger (4).

Le figure 3 e 5 sono state prese dal medesimo paziente, ad un solo minuto di distanza l’una dall’altra e con la stessa, identica impostazione del ventilatore. A questo paziente aumentiamo o riduciamo il supporto inspiratorio?

Risolveremo facilmente il problema se ragioniamo per capire l’interazione paziente-ventilatore piuttosto che per classificare le asincronie.

Nel caso proposto, le due asincronie sono la manifestazione di un identico problema: il ciclaggio anticipato secondario ad un supporto inspiratorio insufficiente per entità e durata. Analizziamo il significato di questa affermazione mettendo a confronto il monitoraggio della figura 3 (a destra) e della figura 5 (a sinistra) (figura 6).

Figura 6


Rispetto alle precedenti immagini, compare in aggiunta una curva bianca sovrapposta alla traccia della pressione delle vie aeree: è una traccia generata dall’attività elettrica diaframmatica. La contrazione del diaframma (e quindi l’inspirazione del paziente) avviene durante la salita della curva bianca, cioè l’intervallo compreso tra le due linee tratteggiate verticali azzurre. Sia nello sforzo inefficace che nel doppio trigger vediamo che il flusso inspiratorio erogato dal ventilatore termina (la linea tratteggiata verticale rossa) prima che sia finita l’attività inspiratoria del paziente: questo è il ciclaggio anticipato, cioè il passaggio dall’inspirazione all’espirazione (definito ciclaggio) che avviene in anticipo rispetto alla conclusione dell’inspirazione del paziente. In altre parole, il paziente continua ad inspirare anche quando il ventilatore ha terminato la propria fase inspiratoria.

La persistente attività inspiratoria nella prima fase della espirazione determina il richiamo del flusso verso la linea dello zero. Nello sforzo inefficace l’intensità della inspirazione del paziente non è sufficiente a triggerare nuovamente il ventilatore, mentre nel doppio trigger sì. Nella figura 6 la maggior intensità dell’inspirazione del paziente nel doppio trigger è confermata dalla maggior ampiezza della curva di depolarizzazione diaframmatica rispetto allo sforzo inefficace.

Per risolvere entrambe le asincronie viste in precedenza dobbiamo quindi eliminare il ciclaggio anticipato, che ne è la causa, prolungando la durata della fase inspiratoria del ventilatore. In questo caso la soluzione migliore è l’aumento del supporto inspiratorio. Questo determinerebbe infatti un maggior picco di flusso inspiratorio e quindi un più tardivo raggiungimento del trigger espiratorio (vedi post del 27/12/2017). La riduzione del trigger espiratorio (un’altra possibilità) non sarebbe sufficiente in questo caso, visto che il prolungamento del decadimento del flusso inspiratorio (le linee tratteggiate arancioni indicate dalle frecce) incrocia la linea di zero flusso comunque prima della fine della inspirazione neurale.

Il doppio trigger è una tipica espressione del ciclaggio anticipato, mentre il “classico” sforzo inefficace è espressione di un carico soglia eccessivo per la forza del paziente. E’ importante riconoscere i casi in cui sforzo inefficace è causato dal ciclaggio anticipato e non dal carico soglia,  per evitare di attuare un trattamento opposto a quello corretto.

Lo sforzo inefficace è dovuto al ciclaggio anticipato, e quindi va trattato come doppio trigger, se, qualora efficace, determinasse un doppio trigger. In questo caso infatti lo sforzo inefficace è in realtà un doppio trigger inefficace. Quando lo sforzo inefficace fa parte di un doppio trigger, il problema alla radice è il doppio trigger; se non ci fosse il doppio trigger non ci sarebbe nemmeno lo sforzo inefficace.

Un’immagine finale per sintetizzare il concetto. Lascio a te il commento:

Figura 7
 

 

Riassumiamo il contenuto del post in tre punti:
1) da un punto di vista clinico, è più utile capire l’interazione paziente-ventilatore che classificare le asincronie;
2) il doppio trigger può camuffarsi da sforzo inefficace se il secondo trigger è inefficace; il problema principale è però il doppio trigger;
3) in questi casi il trattamento deve essere diretto alla causa di entrambe le asincronie: il ciclaggio anticipato. Risolto quello, scompariranno sia lo sforzo inefficace che il doppio trigger.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia.

1. Colombo D, Cammarota G, Alemani M, et al.: Efficacy of ventilator waveforms observation in detecting patient–ventilator asynchrony: Critical Care Medicine 2011; 39:2452–2457
2. Thille AW, Rodriguez P, Cabello B, et al.: Patient-ventilator asynchrony during assisted mechanical ventilation. Intensive Care Medicine 2006; 32:1515–1522
3. Thille AW, Cabello B, Galia F, et al.: Reduction of patient-ventilator asynchrony by reducing tidal volume during pressure-support ventilation. Intensive Care Med 2008; 34:1477–1486
4. Gilstrap D, MacIntyre N: Patient–Ventilator Interactions. Implications for Clinical Management. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine 2013; 188:1058–1068



Read more ...

Sforzo inefficace

24 set 2017


Ricapitoliamo brevemente l’approccio sistematico all’analisi del monitoraggio grafico proposto più dettagliatamente nel post del 20/08/2017, che abbiamo definito come metodo RESPIRE: R: riconosci le curve importanti (pressione e flusso); E: espirazione del ventilatore (identifica le fasi tra l’inizio del flusso negativo e l’inizio del successivo flusso positivo); S: supponi che il paziente sia passivo (immagina le curve come potrebbero essere molto approssimativamente durante una ventilazione controllata); P: punto di vista del paziente, tra la curva di pressione e quella di flusso; I: inspirazione del paziente (le curve gli si avvicinano rispetto a come hai supposto fossero in condizioni di passività); R: rilasciamento ed equilibrio (fasi di pressione costante a flusso zero in cui si va verso un equilibrio tra pressione delle vie aeree ed alveolare); E: espirazione del paziente (le curve gli si allontanano rispetto a come hai supposto fossero in condizioni di passività).

Ora utilizziamo questo metodo per capire cosa sono quelle oscillazioni di flusso e pressione all’inizio dell’espirazione che avevamo visto nel post precedente e di cui abbiamo rimandato la spiegazione ad oggi (figura 1).


Figura 1

Siamo abituati a considerare la variazioni di flusso durante l’espirazione come un tentativo, non riuscito, di inspirazione del paziente durante la fase espiratoria. Lo definiamo sforzo inefficace. Ciò che vediamo nei cerchi bianchi della figura 1 potrebbe essere quindi una asicronia paziente-ventilatore riconducibile a qualcosa di simile allo sforzo inefficace.

Iniziamo il ragionamento analizzando con il RESPIRE un caso di sforzo inefficaceclassico“.


Dopo aver riconosciuto le tracce di pressione e flusso (R), individuiamo le fasi espiratorie (E), che nella figura 2 abbiamo identificato con le sigle E(1), E(2), E(3) ed E(4). Occupiamoci esclusivamente della terza espirazione della figura, cioè di E(3), che vediamo riprodotta in dettaglio nella figura 3.

Figura 3

Supponiamo (S) come potrebbe essere il flusso espiratorio passivo, che immaginiamo esponenzialmente decrescente (linea tratteggiata rossa).

Pensiamo al punto di vista del paziente (P), che, semplificando rispetto al post del 20/08/2017, abbiamo rappresentato come un individuo che respira posizionato tra le due curve (pressione sopra e flusso sotto). Le alterazioni delle curve rispetto a quanto abbiamo supposto, sono spiegabili dall’attività respiratoria del paziente sovrapposta a quella del ventilatore meccanico? Ricordiamo che l’attività inspiratoria spontanea del paziente aumenta il flusso e tende a ridurre la pressione (se il ventilatore non compensa perfettamente) o la lascia costante (se il ventilatore è efficientissimo).

E’ presente inspirazione del paziente (I)? Abbiamo cioè aumenti del flusso (movimenti verso il punto di vista del paziente P) rispetto a quanto abbiamo supposto (S)? Nel punto 1 della figura 3 vediamo in effetti che la curva di flusso si avvicina al paziente rispetto a quella ipotetica, come se il paziente “la inspirasse”. Questo è compatibile con un’attività inspiratoria del paziente (pur essendo il ventilatore in fase espiratoria). Vediamo ora che succede alla traccia di pressione: ha un andamento compatibile con l’inspirazione del paziente? La pressione resta sostanzialmente costante (forse si riduce lievemente) nel punto della presunta inspirazione del paziente rilevata sulla traccia di flusso.  Anche questo è compatibile con l’eventuale attività inspiratoria del paziente: il compito del ventilatore durante l’espirazione è infatti quello di mantenere costante la PEEP impostata. Se il ventilatore non riuscisse ad adempiere perfettamente il proprio compito, potrebbe esserci in questa fase un piccolo calo di pressione dovuto al fatto che il paziente sottrae dal circuito respiratorio più aria di quanta il ventilatore riesca a metterne. Un aumento di pressione in questo momento sarebbe l’unico reperto inconciliabile con un tentativo di inspirazione del paziente nella fase di espirazione del ventilatore: se il paziente tenta di inspirare (sottraende aria al circuito), la pressione nel circuito del ventilatore non può certo salire. Concludiamo quindi che quanto stiamo osservando è attribuibile all’attività inspiratoria del paziente.

Esistono punti di rilassamento dei muscoli respiratori e conseguente equilibrio delle pressioni tra paziente e ventilatore (R)? Nel punto 3 possiamo certamente affermare di sì: il flusso è 0 e la pressione è quella impostata come PEEP. In assenza di flusso a pressione costante, la pressione nel ventilatore è uguale a quella polmonare. Se siamo a fine espirazione concludiamo che non esiste autoPEEP.

Figura 4


Esiste espirazione attiva del paziente (E)? Sembra di no: concluso l’effetto del tentativo inefficace di inspirazione visto al punto 1, dal punto 2 riprende un flusso espiratorio esponenzialmente decrescente, come evidenziato dalla nuova riga di flusso rossa tratteggiata in figura 4.

 

Potrebbe rimanere da interpretare quel piccolo aumento di pressione che vediamo immediatamente prima del punto 2, ma volutamente lo tralascio perchè sarebbe una spiegazione forse lunga e complessa per un evento clinicamente insignificante.

Applicando il metodo RESPIRE abbiamo così accertato che quello che abbiamo visto è un tentativo di inspirazione durante l’espirazione, cioè uno sforzo inefficace. Certamente per asincronie così evidenti come questo sforzo inefficace, i lettori di ventilab non avevano certo bisogno di un approccio così metodico. Vediamo però se questo può essere utile quando le cose sono meno chiare ed analizziamo ciò che è stato evidenziato nella figura 1, di cui riproduciamo un dettaglio in figura 5.

Figura 5

Come sempre riconosciamo (R) pressione e flusso ed identifichiamo le espirazioni (E), in questo caso indicate con E(1) ed E(2). Analizziamo E(2) e supponiamo (S) come potrebbe essere l’espirazione passiva, identificata con la linea rossa tratteggiata. Quindi poniamo il punto di vista del paziente (P) tra le due curve. Un’analisi di questa espirazione è stata fatta nel post del 20/08/2017, oggi ci occupiamo esclusivamente della sua parte iniziale. Quello che vediamo possono essere sforzi inefficaci?

Concentriamo la nostra attenzione sul momento identificato dalla linea azzurra tratteggiata. Ci sono segni compatibili con l’inspirazione del paziente (I)? Il flusso di avvicina verso il paziente, evento compatibile con una sua attività inspiratoria. Ma nello stesso istante la pressione nelle vie aeree si allontana dal paziente, cioè aumenta. L’incoerenza tra la variazione di flusso e di pressione esclude che ciò che vediamo sia dovuto ad attività inspiratoria del paziente.

Nella figura non vediamo momenti di riposo e rilasciamento (R). Cerchiamo quindi eventuale attività espiratoria del paziente (E), quindi flusso che si allontana dal suo punto di vista o che tende ad aumentare rispetto a quello immediamente precedente. Una simile variazione di flusso si verifica subito dopo il punto appena analizzato in figura 5, e lo vediamo rappresentato in figura 6.

Figura 6

Se riflettiamo sul momento identificato dalla linea tratteggiata azzurra, vediamo che il flusso si allontana dal paziente rispetto al flusso precedente (il precedente flusso diventa sempre il nuovo punto di partenza di una espirazione passiva con andamente decrescentemente esponenziale). Questo potrebbe essere quindi segno di una espirazione attiva. Ma se vediamo cosa succede alla pressione delle vie aeree, questa spiegazione diventa inaccetabile: in quello stesso momento la pressione delle vie aeree infatti si riduce, evento incompatibile con l’espirazione attiva del paziente.

Escludiamo quindi che queste variazioni di flusso e pressioni siano associate ad attività del paziente. Ne consegue che devono essere associate a variazioni dell’attività del ventilatore. Infatti tutto trova una semplice spiegazione se si adotta questo punto di vista: la riduzione del flusso espiratorio in figura 5 è dovuta all’aumento della pressione delle vie aeree. Quindi il ventilatore aumenta la pressione delle vie aeree, questo riduce la differenza di pressione tra polmoni e ventilatore e quindi il flusso espiratorio. Chiaramente il contrario di quanto avviene in figura 6: il ventilatore riduce la pressione e questo porta ad un aumento del flusso espiratorio. Se ci fossero dubbi o curiosità su questo aspetto, li affronterò in risposta a qualche commento (ad esempio, perchè il ventilatore si mette a fare tutta questa “confusione”?).

Il metodo RESPIRE è un neonato in fase di sviluppo. Mi farà certamente piacere ricevere critiche e suggerimenti per migliorarlo (come si può notare, si può trovare già qualche piccola evoluzione in  questo post rispetto al precedente). Tra qualche mese magari potremo raggiungere una proposta più matura (comunque mai definitiva, dal momento che la conoscenza, anche scientifica, non può mai essere definitiva). Che sarà condivisa come sempre liberamente e gratuitamente con tutti coloro che riterranno possa essere utile.

Al momento comunque il RESPIRE si sta dimostrando efficace per affrontare anche asincronie ed artefatti complessi.

Il messaggio principale di oggi mi sembra posso essere riassunto in questi punti:

  • quando si vede una curva ventilatoria “strana“, bisogna resistere alla tentazione di dare al volo diagnosi e soluzione;
  • per capire cosa accade è necessario analizzare sistematicamente la curva di flusso ed in maniera sincrona quella di pressione;
  • se le variazioni, rispetto alla ipotetica passività, delle tracce di flusso e pressione sono coerenti con la presenza di attività respiratoria del paziente, possiamo attribuirle ad esso;
  • qualora non sia soddisfatta la condizione del punto precedente, nascono da anomalie o caratteristiche del sistema ventilatore-circuito ventilatorio (più frequenti di quanto si possa pensare).

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.



Read more ...