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Non sedated mechanical ventilation patients: it could work!

21 ott 2019


NONSEDA trial.

All’ ESICM 2019 di Berlino conclusosi recentemente, il dr. Toft, un collega danese, ha presentato i risultati preliminari di un lavoro multicentrico il cui protocollo di studio è stato pubblicato nel 2014 “Non-sedation versus sedation with a daily wake-up trial in critically ill patients receiving mechanical ventilation (NONSEDA Trial): study protocol for a randomised controlled trial” (1). I risultati di questo e di sottostudi a questo collegato non sono ancora stati pubblicati e dovremo quindi accontentarci, per ora, di quanto anticipato a Berlino.

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Interazione ventilatore-paziente in ventilazione non invasiva

4 giu 2013


Durante la ventilazione meccanica la sincronia tra l'eventuale attività spontanea del paziente e l'azione prodotta dal ventilatore rappresenta un fattore importante nel determinare il successo del trattamento. Nell'ambito della ventilazione non invasiva (NIV) ciò è particolarmente vero, dal momento che la sincronia può condizionare, oltre che l'efficacia, anche la tollerabilità della tecnica da parte del paziente[1].


Per di più nel trattamento dell'insufficienza respiratoria acuta mediante NIV dovremmo essere in grado di ottimizzare rapidamente la sincronia e sfruttare al massimo le potenzialità della metodica, perché sappiamo che in caso di inefficacia il ritardo nel passaggio alla ventilazione invasiva peggiora la mortalità (vedi post del 16/07/2011 e del 07/10/2012).


Rispetto alla ventilazione invasiva, l'interazione ventilatore-paziente in NIV è complicata da:

  1. tipo di interfaccia paziente;


  2. presenza di perdite aeree (intenzionali e non intenzionali) che si verificano a livello dell'interfaccia paziente.

a) A proposito del tipo di interfaccia, limitando il discorso alle soluzioni più utilizzate nei reparti intensivi e sub-intensivi (maschere e caschi), va detto che in generale l'utilizzo del casco in NIV è gravato rispetto alla maschera oro-nasale da un maggior tasso di asincronie, perchè la parete compliante e l'elevato volume interno di gas comprimibile attutiscono le variazioni di pressione e di flusso all'interno del circuito. Ne risultano prevalentemente ritardi nel triggering e fenomeni di auto-triggering dell'atto assistito dalla macchina[2].


b) Se il casco o la maschera non aderiscono bene alla superficie del collo o del viso, le perdite aeree non intenzionali possono determinare marcate asincronie. In particolare, le perdite aeree in fase espiratoria possono essere interpretate dal ventilatore come sforzi inspiratori da parte del paziente e causare auto-triggering dell'atto assistito; d'altra parte l'algoritmo di compensazione delle perdite può far sì che la macchina non riesca a differenziare gli sforzi inspiratori del paziente dalle perdite aeree e si producano quindi sforzi inspiratori inefficaci. In fase inspiratoria invece la perdita aerea può simulare una inspirazione protratta nel tempo e causare un ritardo nel ciclaggio dall'inspirazione all'espirazione[3].


La quantità di asincronia indotta dipende in tutti questi casi sia dall'entità delle perdite, sia dalla capacità del ventilatore di compensarle; di converso un elevato livello di supporto pressorio incrementa l'entità delle perdite[3].


Ricordiamoci poi che l'inadeguatezza delle impostazioni dei parametri ventilatori da parte di noi operatori può sia essere l'unico motivo dell'asincronia riscontrata (analogamente a quanto osservabile in ventilazione invasiva), sia sommarsi alle problematiche specifiche della NIV. In casi limite il paziente può ritrovarsi a respirare in totale controfase rispetto all'assistenza ventilatoria!




Le principali asincronie osservate durante NIV applicata mediante maschera facciale[4] sono:

  • sforzi inspiratori inefficaci (figura 1): come visto in precedenza sono associati all'entità delle perdite e, analogamente a quanto accade in ventilazione invasiva, sono stati riportati più frequentemente in pazienti affetti da patologia polmonare ostruttiva, probabilmente in relazione alla presenza di auto-PEEP (vedi post del 08/05/2012);


  • auto-triggering: associati anch'essi all'entità delle perdite ma certamente correlati anche alla sensibilità e al tipo di trigger oltre che alle caratteristiche specifiche del ventilatore in uso (vedi post del 27/01/2013);


  • doppio triggering (figura 2): fenomeno potenzialmente legato a un insufficiente livello di pressione di supporto associata o meno a una insufficiente durata del tempo inspiratorio, in presenza di uno sforzo inspiratorio vigoroso o sostenuto;


  • ciclaggi espiratori ritardati (figura 1 e 3): sono correlati, come detto, all'entità delle perdite aeree e forse favoriti dalla presenza di patologia polmonare ostruttiva.





Lo spazio disponibile per questo post è quasi esaurito. Per una descrizione più dettagliata e per il trattamento specifico di ciascun tipo di asincronia rimando gli amici di ventilab ai contributi precedentemente pubblicati e ai prossimi che certamente compariranno sul nostro sito.


Vengo dunque alle conclusioni.


1) Anche in corso di NIV poniamo grande attenzione all'interazione ventilatore-paziente:

  • guardiamo e tocchiamo il paziente: rivalutiamo di frequente i movimenti del torace e dell'addome, accertiamoci che si espandano entrambi in concomitanza con l'insufflazione meccanica, controlliamo che i segni di distress respiratorio si riducano rapidamente entro limiti accettabili (se indispensabile, una minima e temporanea sedazione può a mio giudizio essere considerata);

  • guardiamo e tocchiamo il ventilatore: controlliamo che non compaiano sul monitoraggio grafico i segni dell'asincronia descritti in precedenza né segni di elevate perdite aeree, ottimizziamo le impostazioni del ventilatore in modo da ottenere una adeguata riduzione del lavoro respiratorio del paziente e un adeguato ripristino dei volumi polmonari;

  • guardiamo e tocchiamo l'interfaccia: scegliamo il giusto tipo di presidio (può essere una buona regola di partenza riservare l'uso del casco alla CPAP e preferire la maschera per fare NIV) e verifichiamone frequentemente il corretto posizionamento al fine di minimizzare le perdite aeree, pur cercando di limitare i possibili danni da decubito.


2) Consideriamo precocemente il passaggio alla ventilazione invasiva tutte le volte che non riusciamo a ottenere una sincronia soddisfacente e il miglioramento delle condizioni del paziente in termini di riduzione della fatica, di adeguatezza del pattern di ventilazione (frequenza respiratoria e volume corrente), di efficienza degli scambi gassosi.

Grazie per l'attenzione e a presto.


P.S. Il post su MIP e NIF promesso da Beppe è in corso di preparazione, per leggerlo dovremo  pazientare ancora un paio di settimane.


Riferimenti bibliografici




  1. Carlucci A, Richard J, Wysocki M, Lepage E, Brochard L. Noninvasive versus conventional mechanical ventilation. An epidemiologic survey. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163:874–880


  2. Pisani L, Carlucci A, Nava S. Interfaces for noninvasive mechanical ventilation: technical aspects and efficiency. Minerva Anestesiol 2012; 78:1154-61


  3. Schettino P, Tucci R, Sousa R, Barbas V, Amato P, Carvalho R. Mask mechanics and leak dynamics during noninvasive pressure support ventilation: a bench study. Intensive Care Med 2001; 27:1887-91


  4. Vignaux L, Vargas F, Roeseler J, Tassaux D, Thille AW, Kossowsky MP, Brochard L, Jolliet P. Patient-ventilator asynchrony during non-invasive ventilation for acute respiratory failure: a multicenter study. Intensive Care Med 2009; 35:840-6


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Iperventilazione, ipocapnia e perfusione cerebrale.

13 gen 2013

L'iperventilazione e l'ipocapnia spesso ci preoccupano nei pazienti con trauma cranico. Condivido con gli amici di ventilab un caso che alcune settimane fa si è presentato nella mia Terapia Intensiva.

Marino è un settantenne ricoverato in Terapia Intensiva per trauma cranico. Durante i primi 8-10 giorni ha ipertensione endocranica, è mantenuto sedato con ventilazione controllata. La frequenza respiratoria viene regolata per mantenere una PaCO2 di circa 35 mmHgAl termine di questo periodo, rimuove il monitoraggio della pressione intracranica ed inizia la ventilazione assistita (tramite tracheotomia) con pressione di supporto 8-12 cmH2O e PEEP 8 cmH2O.  Il GCS è 2+4+1(T), con la risposta motoria appena accennata. Fin qui tutto regolare, un paziente impegnativo ma che non pone dubbi rilevanti sulla scelta del miglior trattamento.

In pressione di supporto Marino ha un volume corrente di circa 550-650 ml (più alti di quelli che piacerebbero a me), indifferente alle variazioni di pressione di supporto e la frequenza respiratoria di 20-25/min. La PaO2 è di 100 mmHg con FIO2 0.4. Un caso come tanti, se non avessimo la PaCO2 a 25 mmHg con pH 7.53. Il dubbio che alcuni colleghi pongono è: in un trauma cranico recente, l'ipocapnia può determinare delle riduzioni della perfusione cerebrale e favorire l'insorgere di lesioni ischemiche?

Non possiamo dare risposte assolutamente certe a questa domanda (vedi post del 12/11/2010, 21/11/2010 e 12/01/2011), è possibile però farsi guidare da fisiologia e buon senso.

Se non costasse nulla mantenere un paziente normocapnico, lo faremmo volentieri. Il prezzo per mantenere Marino normocapnico invece è abbastanza pesante. La variazione del livello di pressione di supporto non modifica il volume corrente: ciò significa che il livello di ventilazione di Marino dipende dal suo drive respiratorio e non è indotto dalla nostra ventilazione. Alla riduzione della pressione di supporto si associa infatti un aumento dell'attività dei muscoli respiratori per mantenere proprio questo livello di ventilazione. L'unica misura efficace per ridurre la ventilazione in questi casi è la sedazione. Ma vogliamo sedare proprio ora un paziente che può avviarsi verso lo svezzamento dalla ventilazione meccanica?

La risposta può essere data se riusciamo a distinguere le cause dalle conseguenze.

L'aumento della concentrazione degli ioni idrogeno Hdetermina (con meccanismi tra loro indipendenti) sia iperventilazione che vasodilatazione cerebrale. Viceversa la riduzione della concentrazione degli  H+ causa bradipnea e vasocostrizione cerebrale (1-4).

Se l'iperventilazione viene imposta ad un paziente in ventilazione meccanica controllata, questa determinerà riduzione della PaCO2 e di conseguenza riduzione dalla PCO2 liquorale. A quest'ultima conseguirà una riduzione della concentrazione degli H+ e la conseguente vasocostrizione cerebrale.

Molto diverso è il caso dell'iperventilazione spontanea. In questa condizione dobbiamo quindi chiederci: perchè il paziente iperventila? Tra le cause più frequenti possono essere l'acidosi liquorale o l'ipossiemia (1). Marino non ha ipossiemia, quindi possiamo sospettare una elevata concentrazione liquorale di H+ (ricordiamo che ha avuto un recente trauma cranico). In questi casi il pericolo dell'iperventilazione non è la vasocostrizione ma le eventuali conseguenze sistemiche dell'alcalosi respiratoria (ad esempio sull'apparato cardiovascolare).

Marino è stato lasciato in ventilazione assistita senza sedazione, in circa due giorni si è portato stabilmente ad una PaCO2 di 35 mmHg. Dopo un altro paio di giorni è stato svezzato dalla ventilazione meccanica e nella settimana successiva è stato dimesso in riabilitazione con un GCS di 4+5+1(T) e senza la comparsa di lesioni ischemiche all'ultima  TC encefalo prima della dimissione dall'ospedale. Un caso? Fortuna? 


Guardiamo allora questa emogasanalisi arteriosa, appartiene ad una giovane donna con chetoacidosi diabetica accettata dal nostro Pronto Soccorso qualche tempo fa. Non ci sono dubbi che vi sia una acidosi metabolica grave. La paziente ha eseguito numerose emogasanalisi e nella prima ora ha sempre avuto una PaCO2 tra 9 e 12 mmHg.

In questo caso ti aspetteresti una grave vasocostrizione cerebrale? Se siamo coerenti con il ragionamento fatto fino ad ora, dovremmo dire di no: l'iperventilazione è secondaria alla stimolazione del chemocettore centrale del midollo allungato (e dei copri aortici) da parte di un eccesso di  H+.  La clinica ci conferma questa interpretazione: questa giovane signora aveva uno stato di coscienza quasi normale, mostrandosi solo un po' confusa. Nell'arco di qualche ora è poi tornata ad essere anche ben orientata, un elemento che supporta tutto il ragionamento che abbiamo fatto fino ad ora.

Sicuramente le interazioni tra ventilazione e perfusione cerebrale non si esauriscono con queste considerazioni, ed ogni caso deve essere valutato con prudenza e considerando tutte le ipotesi plausibili. Bisogna però evitare di credere la sedazione sia sempre indispensabile in caso di iperventilazione con ipocapnia.

Possiamo concludere dicendo che, di norma, l'iperventilazione con ipocapnia:

- determina acutamente ipoperfusione cerebrale se è indotta dalla ventilazione controllata;

- può coesistere una sufficiente perfusione cerebrale quando il paziente è in respiro spontaneo o ventilazione assistita (correttamente impostata!).

Un saluto a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia. 

1) Williams K et al. Control of breathing during mechanical ventilation: who is the boss? Respir Care 2011; 2-127-36

2) Raichle ME, Stone HL. Cerebral blood flow autoregulation and graded hypercapnia. Eur Neurol 1971-1972; 6:1-5.

3) Lumb AB. Nunn’s Applied Respiratory Physiology. Chapter 5: Control of breathing, pp. 61-82. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

4) Froman C et al. Hyperventilation associated with low pH of cerebrospinal fluid after intracranial haemorrhage. Lancet. 1966; 1(7441):780-2.
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ARDS e volume corrente: basso è meglio. Sempre?

17 giu 2011

Oggi facciamo i conti con una interessante provocazione di Francesco di Pinerolo, che ci scrive:

"Mi è capitato alcune volte di ventilare pazienti con ipossia grave e di scontrarmi con le loro esigenze. Ricordo il caso di un paziente con polmonite bilaterale con una vistosa ipossia che avrebbe tanto avuto il piacere di respirare con un tidal di 10-12 ml/kg per 10 di frequenza. Impossibile schiodarlo di lì pena un terribile disadattamento nonostante sedazione e controsedazione con propofol e oppioidi.

Altro caso questa sera con un paziente in ARDS di 1 e 70 di altezza sedato con propofol e sufentanil a dosaggio generoso che se ne stava tranquillo ventilato in pressione controllata con dei valori anche modesti 15 di pressione inspiratoria e 16 di PEEP FiO2 1 facendo i suoi 800-1000 ml per 16 con un PaO2/FIO2 di 75. Perfettamente adattato sottolineo. Arrivo io bello bello e dico: non si può ventilare uno in ARDS così e allora diminuisco la pressione inspiratoria e aumento la PEEP a 20 e aumento la frequenza a 24. Risultato: il paziente si rivolta contro il ventilatore con tanto di goccioloni di sudore sulla fronte e desaturazione allegata. E io caparbio lo curarizzo e gli impongo una ventilazione in volume controllato 480 x 26 con PEEP di 16 (trovata con il metodo delle PEEP decrescenti), pressione di plateau di 26.

Ma come sempre mi coglie un dubbio: penso che il nostro corpo, la natura cerchi da sola di trovare dei rimedi ai problemi che incontra. E allora in questi pazienti "mantice" che amano i tidal generosi e i tempi espiratori lunghi non sarebbe meglio assecondarli piuttosto che voler imporre loro una ventilazione protettiva? Non sarebbe possibile ventilarli in assistita e tollerare qualunque cosa succeda piuttosto che sedarli pesantemente o curarizzarli?"

Tutti abbiamo avuto a che fare con pazienti simili a quelli che ci descrive Francesco. Penso che la risposta al suo dubbio sia necessariamente molto articolata.

Oggi esaminiamo solo un aspetto del problema: perchè questi pazienti sembrano desiderare alti volumi correnti e basse frequenze respiratorie? E' proprio madre natura che glielo consiglia?

Nella ARDS lo spazio morto è molto elevato, mediamente il 60% del volume corrente. Lo spazio morto è tanto più grande quanto più grave è il paziente, tanto è vero che è la variabile che più si associa al rischio di morte dei pazienti con ARDS (1). Spazio morto elevato significa che per mantenere costante la PaCO2 bisogna aumentare la ventilazione.

Il grafico riportato di seguito ci mostra come varia la PaCO2 al variare del rapporto tra spazio morto (Vd) e volume corrente (Vt) in un soggetto con normale produzione di CO2 (200 ml/min), Vt di 0.5 l e frequenza respiratoria di 16/min.


Possiamo vedere che se il Vd/Vt è 0.3, come in fisiologia, si avrà una PaCO2 di 40. Se il Vd/Vt diventa 0.65 (come spesso si vede nella ARDS), a parità di ventilazione la PaCO2 diventa circa 80 mmHg. E' evidente che questo aumento della PaCO2 sarà evitato o limitato da un aumento della ventilazione/minuto conseguente alla stimolazione dei centri respiratori secondaria alle variazioni di PaCO2 e pH plasmatici e liquorali (vedi anche post del 21/11/2010).


Ma come fa normalmente un paziente ad aumentare la ventilazione/minuto? E' esperienza quotidiana che ciò avviene aumentando la frequenza respiratoria e non il volume corrente. E perchè i pazienti di cui ci parla Francesco non aumentano la frequenza respiratoria?


A mio parere c'è una ragionevole spiegazione: stanno ricevendo oppioidi. Sappiamo infatti che gli oppioidi riducono la frequenza respiratoria nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta, mantenendo costante o aumentando il volume corrente (2,3).

In sintesi: necessità di elevata ventilazione alveolare + bassa frequenza respiratoria grazie agli oppioidi = elevati volumi correnti.

Non è quindi la natura che porta il nostro paziente alti volumi correnti, ma questo pattern respiratorio è il frutto di un paradiso artificiale. Probabilmente la natura l'avrebbe portato verso un respiro rapido e superficiale (cioè con bassi volumi correnti). Gli alti volumi correnti non dovrebbero quindi essere interpretati come un meccanismo naturalmente protettivo messo in atto dal nostro organismo.

Detto questo, ma i 1000 ml di volume corrente fanno proprio male al nostro paziente con ARDS se questo sembra l'unico modo per tenerlo adattato alla ventilazione meccanica?

La risposta a questa domanda è un po' complessa e richiede tempo. Quindi risolveremo il caso alla prossima puntata.

Nel frattempo aspetto qualche commento degli amici di ventilab che amano mettersi in gioco.

 

Bibliografia.

1) Nuckton TJ et al. Pulmonary dead-space fraction as a risk factor for death in the acute respiratory distress syndrome. N Eng J Med 2002; 346:1281-6

2) Leino K et al. Time course of changes in breathing pattern in morphine- and oxycodone-induced respiratory depression. Anaesthesia 1999; 54:835-40

3) Natalini G et al. Remifentanil improves breathing pattern and reduces inspiratory workload in tachypneic patients. Respir Care 2011; 56:827-33

 

PS: per Francesco: grazie, come sempre, per il contributo. E soprattutto: FORZA ELENA!!!
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Impatto dell'iperventilazione sulla fisiologia cerebrale: implicazioni, diagnosi e prognosi.

12 gen 2011

A completamento dei post del 12 e 21 novembre, ho chiesto il parere ad un esperto di neurorianimazione sugli effetti acuti e cronici delle variazioni di pH/PaCO2 sul flusso ematico cerebrale. E' quindi con piacere che pubblico il commento del prof. Nicola Latronico dell'Università degli Studi di Brescia. Come sua abitudine, Nicola Latronico non si è limitato a rispondere alla domandina, ma ci offre una prospettiva originale sul tema, ricca di molti spunti di riflessione. Il commento è stato tempestivamente scritto ed inviato a ventilab, ma si è subito perso nei meandri delle spam e viene pubblicato con un mese di ritardo. Mi scuso per l'incoveniente con il prof. Latronico e gli amici di ventilab.it .

"Concordo circa il fatto che l'iperventilazione acuta, spontanea o meno, determini variazioni del flusso ematico cerebrale (FEC) limitati nel tempo. Il FEC si riduce, mentre aumentano l'estrazione cerebrale di ossigeno ed il volume di tessuto cerebrale ischemico. Il consumo di ossigeno cerebrale dovrebbe ridursi, ma ciò accade solo in una piccola percentuale di casi, aumentando ulteriormente il rischio di eventi ischemici (1). La sequenza di eventi descritta é vera sia per l’iperventilazione indotta che spontanea (2). Il paziente con trauma cranico grave o moderato che iperventila va quindi sedato, cosa che é stata opportunamente sottolineata nella discussione.

Il FEC non é l'unica variabile in gioco; un'importante conseguenza dell’iperventilazione é la deplezione di bicarbonato nel liquido cerebro-spinale (LCS), che riduce la capacità buffer del sistema. In termini generali, l'iperventilazione cronica va vista come uno stimolo persistente alla deplezione delle riserve fisiologiche cerebrali (ma anche sistemiche). Ciò potrebbe spiegare l’aumento di mortalità e morbilità nei pazienti iperventilati in modo profilattico (in assenza cioé di ipertensione intracranica) rispetto ai pazienti con ventilazione normale o iperventilazione più THAM (quest'ultimo per controbilanciare la diminuzione della capacità buffer del  LCS) (3). Non vi é indicazione all'iperventilazione profilattica; questa va usata solo in caso di ipertensione intracranica, misurata (meglio) o documentata clinicamente (per es. dilatazione pupillare improvvisa).

L’iperventilazione spontanea di nuova insorgenza nel paziente con trauma cranico o nel paziente con altre patologie encefaliche acute é un segno clinico importante.  Devono essere escluse complicanze emorragiche, ischemiche ed infettive. Le meningiti e le ventriculiti associate all’uso di cateteri intra-ventricolari sono una complicanza temibile, che spesso si manifesta con iperventilazione spontanea.

Un altra possibile causa é lo stato di male epilettico non convulsivo, che, per il fatto di essere non convulsivo, è difficile da diagnosticare. Bisogna considerare tale possibilità, perché evidenze recenti suggeriscono che possa essere un fattore di danno cerebrale secondario (4, 5). Dato poi che il diavolo é nei dettagli, la febbre, una causa importante di iperventilazione, va accertata e trattata in modo prioritario.

Infine l’iperventilazione neurogena centrale può essere documentata anche in pazienti coscienti. In tali casi l’iperventilazione, che tipicamente persiste anche durante il sonno, molto spesso si associa a tumori cerebrali (linfomi, astrocitomi, medulloblastomi, carcinoma della laringe) con localizzazioni a livello soprattutto del ponte. I casi descritti sono importanti soprattutto per il fatto che consentono la diagnosi eziologica; inoltre, la localizzazione pontina o più raramente bulbare indica l’area del tronco cerebrale che dovrebbe essere oggetto d’indagini neuroradiologiche accurate.

Spero che le mie osservazioni aiutino ulteriormente una discussione veramente interessante.

Buon Natale a tutti.

Nicola

1) Coles JP, Fryer TD, Coleman MR, Smielewski P, Gupta AK, Minhas PS, Aigbirhio F, Chatfield DA, Williams GB, Boniface S, Carpenter TA, Clark JC, Pickard JD, Menon DK. Hyperventilation following head injury: Effect on ischemic burden and cerebral oxidative metabolism. Crit Care Med. 2007 Feb;35(2):568-78.

2) Carrera E, Schmidt JM, Fernandez L, Kurtz P, Merkow M, Stuart M, Lee K, Claassen J, Sander Connolly E, Mayer SA, Badjatia N. Spontaneous hyperventilation and brain tissue hypoxia in patients with severe brain injury. J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2010 Jul;81(7):793-7

3) Muizelaar JP, Marmarou A, Ward JD, Kontos HA, Choi SC, Becker DP, Gruemer H, Young HF.  Adverse effects of prolonged hyperventilation in patients with severe head injury: a randomized clinical trial. J Neurosurg 1991; 75:731-739

4) Vespa PM, McArthur DL, Xu Y, Eliseo M, Etchepare M, Dinov I, Alger J, Glenn TP, Hovda D. Nonconvulsive seizures after traumatic brain injury are associated with hippocampal atrophy. Neurology 2010; 75:792–798

5) Latronico N.  Evaluation of: Vespa PM et al. Nonconvulsive seizures after traumatic brain injury are associated with hippocampal atrophy. Neurology. 2010 Aug 31; 75(9):792-8; doi: 10.1212/WNL.0b013e3181f07334. Faculty of 1000, 09 Sep 2010. F1000.com/5034965 http://f1000.com/5034965

6) Plum F, Swanson AG. Central neurogenic hyperventilation in man. AMA Arch Neurol Psychiatry 1959;81:535-549."

Ancora un vivo ringraziamento a Nicola da parte mia e di tutti gli amici di ventilab.it .
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Ventilazione del paziente asmatico grave: i tre passaggi

31 dic 2010

Il trattamento ventilatorio nel paziente con grave crisi asmatica intubato è un argomento ancora oggi poco supportato dalle evidenze scientifiche, tuttavia gli esperti concordano nel ritenere valida una strategia basata su criteri fisiopatologici. Eccone, in sintesi, gli aspetti salienti.

Il problema cruciale nell’asmatico è la lentezza del flusso espiratorio dovuta all’ostruzione bronchiale: i pazienti iniziano l'inspirazione prima che l'espirazione abbia temine e così sviluppano iperinflazione polmonare con auto-PEEP (PEEPi).

Una ventilazione inappropriata può rapidamente peggiorare l’iperinflazione, indurre danno polmonare, pneumotorace o collasso cardiovascolare, aumentando quindi la morbilità e la mortalità di questi pazienti.

Per minimizzare l'iperinflazione ed evitare eccessive pressioni polmonari spesso è necessario ipoventilare i pazienti, cioè scegliere bassi volumi correnti (TV) e piccole frequenze respiratorie (RR). L’ipoventilazione genera un certo grado di ipercapnia che, in assenza di ipertensione endocranica o ischemia miocardica severa, è generalmente ben tollerata, purchè il pH arterioso rimanga al di sopra di 7.15-7.20.

Ecco un procedimento schematico in tre passaggi recentemente proposto nella ventilazione del paziente con asma grave[1]:

1) Impostazioni iniziali del ventilatore:

  • Modalità controllata (volumetrica o volume garantito)

  • TV: 7-8 mL/kg (calcolato su peso corporeo ideale)

  • RR: 10-12 respiri/minuto

  • FiO2: 100%

  • PEEP: 0 cm H2O


La ventilazione controllata è la modalità di scelta iniziale: il paziente deve essere profondamente sedato ed eventualmente curarizzato per tollerare il setting di ventilazione necessario. Il volume controllato è preferito alla pressione controllata per evitare TV variabili in pazienti con elevate resistenze al flusso, alto grado di iperinflazione e acidosi respiratoria.

Dopo l'intubazione, la FiO2 può essere rapidamente ridotta in modo da mantenere la SaO2 > 88-90%.

In generale, la PEEP non apporta beneficio nei pazienti profondamente sedati in ventilazione controllata, mentre bassi livelli di PEEP possono essere utili nella fase di svezzamento.

2) Valutazione e monitoraggio dell'iperinflazione

Nel paziente asmatico ventilato occorre quantificare e monitorare il grado di iperinflazione. Per fare questo possiamo utilizzare in pratica la PEEPi o la pressione di plateau delle vie aeree (Pplat).

La PEEPi è misurabile con una occlusione a fine espirazione (valori > 15 cm H2O indicano un significativo livello di iperinflazione) anche se questa misura può sottostimare significativamente il livello di iperinflazione in caso di scarsa comunicazione tra gli alveoli e le vie aeree prossimali.

Il metodo raccomandato[2] per monitorare l'iperinflazione e proteggere il paziente da pressioni polmonari dannose è Pplat, che si misura con una occlusione a fine inspirazione. Valori > 30 cm H2O in questi pazienti indicano iperinflazione eccessiva. Una elevata pressione di picco delle vie aeere (Ppeak) invece non è indice di iperinflazione o di danno polmonare.

3) Aggiustamenti successivi del ventilatore


Se dopo le impostazioni iniziali Pplat supera 30 cm H2O bisogna facilitare l'espirazione. A tale scopo possiamo:

  • ridurre RR: è l'intervento più efficace e dovrebbe essere il primo aggiustamento da introdurre[3].

  • ridurre TV di 1 mL/kg fino a 6 mL/kg; ulteriori riduzioni sono limitate dall'aumento progressivo della frazione di spazio morto.

  • ridurre la durata dell'inspirazione a beneficio dell'espirazione, cioè si può aumentare il flusso inspiratorio (a parità di volume corrente), ad esempio da 60 L/minuto a 80-90 L/minuto, oppure ridurre il rapporto Ti/Ttot, ad esempio da 33% a 20% o meno. Aumentare il flusso inspiratorio causerà aumento di Ppeak, il che come detto non è pericoloso.


Bibliografia



  1. Winters ME. Ventilator’s management of the intubated patient with asthma. http://www.medscape.com/viewarticle/733666; 12/13/2010.

  2. Oddo M, Feihl F, Schaller MD, Perret C. Management of mechanical ventilation in acute severe asthma: practical aspects. Intensive Care Med. 2006;32:501-510.

  3. Brenner B, Corbridge T, Kazzi A. Intubation and mechanical ventilation of the asthmatic patient in respiratory failure. J Emerg Med. 2009;37:S23-S34.

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Ventilazione meccanica e trauma cranico. Il commento

21 nov 2010
Riprendiamo il caso proposto nell'ultimo post del 12 novembre. Il problema principale era quello di far aumentare la PaCO2 in una paziente con trauma cranico che ventila in pressure support.

Una prima riflessione:  l'ipocapnia di Marinella è davvero un problema? Nel suo caso dobbiamo veramente temere il rischio di favorire lo sviluppo di aree ischemiche? Diversamente da quanto rappresentato nel grafico del precedente post,  il flusso ematico cerebrale è regolato dal pH liquorale piuttosto che dalla PCO2 arteriosa (1). E il pH del liquor è determinato da CO2 e bicarbonati liquorali. La PCO2 liquorale è in equilibrio con quella arteriosa (normalmente è circa 10 mmHg più alta). Se varia la PaCO2 si osserva acutamente una parallela variazione della PCO2 del liquor e quindi del pH liquorale. Quest'ultima è in prima linea responsabile della modifica del flusso ematico cerebrale. Ma entro poche ore il pH del liquor tende a riportarsi comunque verso il suo valore di equilibrio (nel liquor circa 7.33) per la variazione dei bicarbonati liquorali. E il flusso ematico cerebrale torna nella norma. E' stato documentato che il pH liquorale è costante a fronte di ampie variazioni croniche (cioè della durata di qualche ora) della PaCO2. Quindi ci possiamo aspettare un flusso ematico cerebrale normale in un paziente con PaCO2 stabilizzata (1).

Nonostante queste considerazioni, accettiamo comunque che un aumento dell PaCO2 potesse essere favorevole per Marinella. Come ottenerlo?




Iniziamo a chiederci perchè Marinella aveva una PaCO2 bassa. E' assai improbabile che ciò possa essere imputato alla ventilazione con un pressure support troppo alto. Infatti sappiamo bene che con questa modalità di ventilazione solo il paziente può iniziare l'inspirazione. Ed il paziente inizierà l'inspirazione solo quando i  neuroni respiratori bulbari la attiveranno. Ed i neuroni bulbari sono sottoposti a numerose afferenze, ma lo stimolo piu' efficace nel modularne l'attività è il pH liquorale (2). E' quindi probabile che Marinella abbia un basso pH liquorale. E questo basso pH liquorale attiva il centro del respiro e l'iperventilazione di Marinella ne è la conseguenza.

Questo avviene frequentemente quando sono presenti lesioni emorragiche cerebrali (3). Oppure potrebbe esserci stata una lesione traumatica del tronco con una disregolazione del generatore centrale del pattern respiratorio (GCP). In entrambi i casi, modificare il livello di pressione di supporto cambia ma solo il lavoro respiratorio necessario per mantenere la ventilazione generata dal livello di attivazione del GCP.

Quando un paziente ha quindi un'iperentilazione centrale, non dobbiamo cercare di risolvere il problema aumentando il suo lavoro respiratorio. Ho visto a volte non solo ridurre il PSV ma addirittura rendere meno sensibile il trigger inspiratorio, portando il trigger a pressione a - 5-6 cmH2O. In questo modo otteniamo solo lavoro respiratorio e stress maggiori per il paziente, che ridurrà la sua ventilazione solo quando lo si porterà alla fatica dei muscoli respiratori. Cosa che noi non vogliamo certamente.

Quale la soluzione? O accettare l'iperventilazione o agire su GCP. Come? Deprimendone l'attivita'. Ed in questo gli oppioidi sono fantastici (2).




Noi abbiamo scelto per Marinella di accettare l'ipocapnia. Dopo poche ore abbiamo avuto un peggioramento del GCS (fino a 1+4+1), abbiamo eseguito una TC encefalo che evidenziava edema e ed alcune petecchie cerebrali. Abbiamo subito iniziato il monitoraggio della pressione intracranica che evidenziava una moderata ipertensione endocranica, trattata con sedazione ed osmotici. Ovviamente siamo passati ad una ventilazione controllata. Dopo circa una settimana siamo riusciti a sospendere sedativi ed osmotici, Marinella si è svegliata ed è stata trasferita ieri dalla Terapia Intensiva con un GCS di 15 e svezzata dalla tracheotomia.

I messaggi di questa esperienza sono:

1) le variazioni di PaCO2 si associano a variazioni del flusso ematico cerebrale solo acutamente. Già dopo alcune ore il flusso ematico cerebrale tende a tornare verso la normalità se  la PaCO2 si stabilizza sui nuovi valori.

2) le variazioni del livello di pressione di supporto (e di trigger!) non modificano la PaCO2 se il paziente non ha esaurito la forza dei muscoli respiratori. Se vogliamo aumentare la PaCO2 possiamo ridurre l'attività dei neuroni respiratori bulbari con la sedazione. Ma non dobbiamo ridurre il livello di pressione di supporto o la sensibilità del trigger.

Come sempre, infine, esiste sempre la specificità del singolo paziente. Quindi dobbiamo cercare di verificare sempre le nostre ipotesi su ciascuna delle tante nostre Marinelle.

I commenti ricevuti al post precedente contengono anche altri spunti interessanti su cui discutere ed imparare tutti insieme. Ma per oggi mi sembra basti così. Ne riparleremo certamente in futuro.

Un saluto a tutti.

References.

1) Raichle ME, Stone HL. Cerebral blood flow autoregulation and graded hypercapnia. Eur Neurol 1971-1972; 6:1-5.

2) Lumb AB. Nunn's Applied Respiratory Physiology. Chapter 5: Control of breathing, pp. 61-82. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

3) Froman C et al. Hyperventilation associated with low pH of cerebrospinal fluid after intracranial haemorrhage. Lancet. 1966; 1(7441):780-2.




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