Proseguiamo l'analisi del caso presentato e discusso nei post precedenti (29/12/2021
e
08/01/2022).
Molti lettori di ventilab si sono soffermati sulle oscillazioni
visibili sulla curva pressione (ed in misura minore su quella di flusso). Le
interpretazioni sono state sostanzialmente due: 1) sono il segno di attività
respiratoria del paziente non sincrona con il ventilatore; 2) sono artefatti
cardiaci.
Per cercare di capire quale delle due interpretazioni sia corretta (o se lo
sono entrambe) analizziamo sistematicamente il tracciato (che ripropongo in
figura 1) con il metodo RESPIRE
(vedi post del
24/09/2017
e
30/04/2019).
I passaggi R (Riconosci le curve importanti ) ed E (Espirazione
del ventilatore) sono di fatto già proposti nelle figure 1 e 2 del post del 08/01/2022.
|
Figura 1
|
Ora procediamo con la S (Supponi che il paziente sia
passivo). Con la ventilazione pressometrica ci si aspetta
pressione inspiratoria costante e flusso decrescente.
L'espirazione, in qualsiasi modalità di ventilazione, dovrebbe
avere pressione costante sul livello di PEEP e
flusso decrescente. Nella figura 2 la linea tratteggiata bianca
identifica come potrebbero essere le curve se il paziente non avesse
attività respiratoria.
|
Figura 2
|
Ora vediamo il dove mettere il paziente (P), cioè tra la
curva di pressione in alto e quella di flusso in basso (figura 3),
|
Figura 3
|
e iniziamo a pensare come una sua
eventuale attività Inspiratoria (I) modificherebbe le curve
(figura 4).
|
Figura 4
|
Con il metodo RESPIRE
(che ha una base fisiologica che per semplicità non affrontiamo)
l'attività inspiratoria del paziente "attira" le curve verso la sua posizione: "alza" la curva di flusso ed "abbassa" quella di pressione rispetto all'atteso.
In caso di attività del paziente le variazioni di flusso e pressione devono essere concordi, cioè entrambe si devono "allontanare" o "avvicinare" al paziente. L'attività del paziente potrebbe manifestarsi anche solamente su una sola delle due tracce: solo sul flusso durante il tempo espiratorio del ventilatore, sul flusso o sulla pressione (a seconda del ventilatore meccanico in uso) durante il tempo inspiratorio del ventilatore. Non si possono però mai attribuire al paziente variazioni di flusso e pressione non concordi, cioè se una curva si "avvicina" e l'altra si "allontana" dal paziente.
Esaminando il flusso inspiratorio nell'area evidenziata in figura 4, si vede
un piccolo incremento rispetto all'atteso (si avvicina al paziente). Per poter ipotizzare che questo
sia una conseguenza dell'attività inspiratoria del paziente, la pressione
delle vie aeree dovrebbe o diminuire (avvicinarsi al paziente) o rimanere immodificata. In questo caso
vediamo che, nell'area evidenziata, la pressione è leggermente più alta
rispetto alle altre parti dell'inspirazione (si allontana dal paziente), condizione che nel RESPIRE attribuiamo all'attività espiratoria. Quando i
segnali di flusso e pressione suggeriscono attività respiratorie antitetiche
(inspirazione sul flusso, espirazione sulla pressione) escludiamo che questi
segni siano attribuibili all'attività del paziente: possiamo quindi concludere che in questo monitoraggio non vi è attività inspiratoria del paziente.
Il passo successivo è ricercare momenti in cui la pressione è costante e il flusso è assente
(R: fase di Rilasciamento ed equilibrio): questa è l'unica condizione in cui la
pressione misurata dal ventilatore diventa
uguale alla pressione all'interno dei polmoni.
|
Figura 5
|
La fase senza flusso a pressione costante (seppur con piccole oscillazioni)
è presente alla fine del flusso inspiratorio. Il valore è di 23
cmH2O nel ventilatore meccanico, che se ottenuto in assenza di
attività espiratoria del paziente (quella inspiratoria l'abbiamo già esclusa
nel punto precedente) è anche la pressione nei polmoni a
fine inspirazione (figura 5).
Terminiamo con la ricerca dell'attività espiratoria (E) del paziente.
Nelle figure 6 e 7 vediamo sul flusso due brevi, minimi ma evidenti
abbassamenti del flusso, uno in inspirazione ed uno in espirazione.
|
Figura 6
|
|
Figura 7
|
In entrambi i casi si osserva contemporaneamente un aumento della
pressione. Si propongono quindi coerentemente come segni di espirazione del
paziente. Le oscillazioni nella pressione delle vie aeree sono molto frequenti e regolari, ne vediamo 13 nei poco più di 7 secondi di registrazione (figura 8), che corrisponde a circa 110 al
minuto.
|
Figura 8
|
Questa frequenza era molto simile alla frequenza cardiaca del paziente. Dobbiamo quindi concludere che le alterazioni di pressione delle vie aeree (e le minime alterazioni di flusso) sono oscillazioni cardiogeniche, cioè indotte dal battito cardiaco.
Questo ci porta a due interessanti riflessioni:
1) le oscillazioni cardiogeniche sono a tutti gli effetti un'attività respiratoria del paziente, originata dal battito cardiaco invece che dall'attività dei muscoli respiratori.
Le oscillazioni cardiogeniche inducono le variazioni di pressione intrapolmonare che sono alla base delle variazioni di pressione e flusso. Esattamente come i muscoli respiratori, che generano variazioni di pressione alveolare, anche se di entità ben maggiore, per dare origine al flusso nelle vie aeree. Per questo motivo il metodo RESPIRE identifica le oscillazioni cardiogeniche come un'attività respiratoria del paziente, non distinguendone l'origine cardiaca o respiratoria perché dal punto di vista meccanico hanno lo stesso impatto.
2) Il meccanismo delle oscillazioni cardiogeniche è tutt'altro che banale. Se le
osserviamo nella figura 8, i picchi positivi delle oscillazioni cardiogeniche sulla pressione delle vie
aeree (in corrispondenza delle linee tratteggiate bianche) ci ricordano i picchi
delle pressioni vascolari durante la sistole. Oltre alla morfologia, la
loro durata è più in accordo con la minor durata della sistole rispetto
alla diastole.
Se riflettiamo bene, far corrispondere i picchi delle oscillazioni
cardiogeniche con la sistole è in contraddizione con la variazione di volume del
cuore: durante la sistole infatti il cuore si riduce di volume, pertanto
la sua impronta sui polmoni dovrebbe diminuire, generando una piccola espansione polmonare ed una conseguente riduzione di pressione intrapolmonare: proprio il contrario di quanto osserviamo nel nostro caso.
Durante la sistole però aumenta il volume vascolare intratoracico e si ha la trasmissione dell'onda pulsatile dell'arteria polmonare al gas contenuto nelle vie
aeree, meccanismi che entrambi incrementano l'impronta vascolare sugli spazi aerei e di conseguenza aumentano la pressione intrapolmonare in sistole.
Contrazione cardiaca e pulsazione arteriosa polmonare inducono quindi variazioni di volume e pressione di segno opposto sugli alveoli.
L'effetto diretto del battito cardiaco è si manifesta chiaramente nelle zone polmonari iuxtacardiache (in particolare il lobo inferiore sinistro), mentre nelle altre porzioni del polmone si rilevano variazioni in opposizione di fase rispetto a quelle del lobo inferiore sinistro (1, 2).
Questi dati possono essere coerentemente interpretati in questo modo: nel lobo inferiore sinistro prevale il meccanismo diretto di compressione-decompressione del cuore verso il polmone, cioè in sistole il volume del cuore si riduce e si espande il parenchima polmonare circostante e viceversa in diastole. Negli altri lobi polmonari la trasmissione diretta del battito cardiaco non è rilevante ma lo diventa l'incremento sistolico della volume ematico intrapolmonare e la trasmissione diretta dell'onda pulsatoria dei vasi arteriosi polmonari, con incremento della compressione degli spazi aerei polmonari in sistole e decompressione in diastole. L'effetto netto totale vede prevalere l'impatto della pulsazione arteriosa polmonare rispetto alla contrazione cardiaca, come abbiamo anche intuito nel nostro caso-studio osservando un "picco sistolico" nella pressione delle vie aeree.
Questa interpretazione è confermata anche dall'osservazione che le oscillazioni cardiogeniche persistono anche a torace aperto quando il cuore non è a contatto con i polmoni e sono invece eliminate dal clampaggio dell'arteria
polmonare a cuore battente (3).
Finiamo l'analisi dell'attività espiratoria del paziente ponendo attenzione all'ultima evidentissima
differenza tra le curve ipotizzate se il paziente fosse passivo e quelle
realmente rilevate. Nella fase espiratoria si vede la pressione che rimane
a lungo decisamente più alta del livello di PEEP applicato, che viene
raggiunto solo al termine dell'espirazione (figura 9).
|
Figura 9
|
Questo comportamento, decisamente anomalo, potrebbe essere ascrivibile
all'espirazione attiva del paziente solo se fosse concordemente associato
ad un aumento del flusso espiratorio, che però in realtà non vediamo. Il flusso
decresce esponenzialmente per tutta l'espirazione come avviene nei pazienti passivi. Inoltre notiamo che il valore
assoluto del picco di flusso espiratorio è decisamente più basso di quello
inspiratorio, un dato che conferma che non è logico pensare ad una
attività espiratoria del paziente, che eventualmente aumenterebbe il picco del flusso espiratorio.
In assenza di attività espiratoria
dobbiamo concludere che la pressione espiratoria delle vie aeree più alta
dell'atteso sia un problema del ventilatore.
Tratteremo ampiamente questo aspetto in un altro post.
La conclusione dell'analisi dell'interazione paziente-ventilatore ci consente di dire che è assente qualsiasi attività dei muscoli respiratori per tutto il ciclo
respiratorio: il paziente è completamene passivo alla ventilazione.
Esiste un'attività
del paziente rilevabile sul monitoraggio che però è dovuta al battito
cardiaco (le oscillazioni cardiogeniche). Le oscillazioni cardiogeniche
non sono distinguibili con il RESPIRE dall'attività del paziente perché sono di movimenti respiratori generati dalle variazioni di pressione intratoracica: solo il piccolo impatto, frequente e
regolare, su flusso e pressione delle vie aeree in tutte le fasi del ciclo respiratorio ci consente di distinguere oscillazioni cardiogeniche dall'attività dei muscoli respiratori.
Nell'attesa di arrivare a discutere quello che ha veramente attirato la mia attenzione in questo caso, come sempre un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
Bibliografia
- Collier GJ, Marshall H, Rao M, Stewart NJ, Capener D, Wild JM. Observation of cardiogenic flow oscillations in healthy subjects with hyperpolarized 3He MRI. J Appl Physiol 2015; 119:1007-1014
- Dubsky S, Thurgood J, Fouras A, R Thompson B, Sheard GJ. Cardiogenic airflow in the lung revealed using synchrotron-based dynamic lung imaging. Sci Rep 2018; 8:4930
- Suarez-Sipmann F, Santos A, Peces-Barba G, Bohm SH, Gracia JL, Calderón P,
Tusman G. Pulmonary artery pulsatility is the main cause of cardiogenic
oscillations. J Clin Monit Comput 2013; 27:47-53