Emotrasfusione: emoglobina o emogasanalisi?

30 set 2022
Quale è la concentrazione di emoglobina a cui è opportuno fare una trasfusione di emazie?

C’è un largo consenso, ripreso anche dalle linee guida (1), nell’identificare come soglia di trasfusione un valore di emoglobina di 7 g/dL. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che la trasfusione di emazie per concentrazioni di emoglobina più elevate rispetto a questa soglia non dà vantaggi in termini di mortalità a breve o lungo termine, durata della degenza o disfunzioni d'organo (2-6).

La risposta alla domanda iniziale sembra quindi chiara ... ma se riflettiamo bene questa risposta ci dice come risparmiare emoderivatinon quando la trasfusione di emazie apporta un beneficio al paziente.

Come sempre la qualità della risposta dipende dalla qualità della domanda: visto l'esito della risposta, probabilmente non è una buona domanda chiedersi quale sia il valore giusto di concentrazione dell’emoglobina per decidere una trasfusione.

La fisiologia ci aiuterà a capire quale possa essere la “domanda giusta” per trasfondere emazie con un beneficio clinico. Successivamente cercheremo la risposta a questa domanda nei dati che possiamo trovare nella ricerca clinica.

Guida fisiologica alla "domanda giusta".

Trasporto e consumo di ossigeno.

Fisiologicamente un soggetto a riposo consuma circa 250 ml di O2 ogni minuto ($\dot{V}O_2$). Il $\dot{V}O_2$ è garantito dal trasporto di ossigeno ai tessuti (oxygen delivery, DO2), un magnifico lavoro di squadra degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio: il primo ”carica” il sangue di ossigeno, il secondo lo fa arrivare ai tessuti. Il DO2 è il prodotto del contenuto di ossigeno del sangue arterioso (CaO2) e della portata cardiaca (cardiac output, CO): 
$$DO_2= CaO_2 \cdot CO~~~(eq.~1)$$ 
Per capire il ruolo dell'emoglobina in questo processo, calcoliamo ora quanto dovrebbe essere la portata cardiaca per garantire un trasporto di ossigeno esattamente uguale al consumo di ossigeno fisiologico, cioè 250 ml di O2/min, se non vi fosse l’emoglobina. E’ una condizione ovviamente paradossale, ma ci aiuta a ragionare in maniera quantitativa sui fenomeni su cui vogliamo riflettere. La quantità di ossigeno in soluzione nel sangue arterioso è direttamente proporzionale alla sua pressione parziale (PaO2). Il coefficiente di solubilità dell’ossigeno a 37°C è 0.0031 ml O2⋅dL-1∙ mmHg-1, cioè ogni mmHg di PaOincrementa il CaOdi 0.0031 ml in 100 ml di sangue. Con una normale funzione polmonare la PaOè circa 95 mmHg. Il CaO2 in assenza di emoglobina sarebbe (arrotondato al primo decimale): 
 $$ CaO_2 = 95~mmHg \cdot 0.0031 \frac{ml~O_2}{mmHg \cdot 100~ml} = \\ = 0.3~ml~O_2/100~ml~~~(eq.~2)$$
In assenza di emoglobina questo sarebbe il contenuto di O2 del sangue arterioso con normale ossigenazione: meno di 1/3 di ml di O2, davvero pochissimo. 
Dal CaO2 calcoliamo la portata cardiaca necessaria per trasportare esattamente 250 ml di O2 ogni minuto. Possiamo riscrivere l’equazione 1 come segue:
$$ CO = \frac{DO_2}{CaO_2} ~~~(eq.~3)$$
Se si vuole raggiungere un DO2 di 250 ml di O2/min, esattamente uguale al $\dot{V}O_2$, l’equazione diventa:
$$CO = \cfrac{250 \cfrac{ml~O_2}{min}}{0.3 \cfrac{ml~O2}{100~ ml}} = \\ = 833 \cdot 100~ml/min = \\ =83300~ ml/min = 83.3~l/min~~~(eq.~4)$$
In assenza di emoglobina servirebbe una portata cardiaca di almeno 83 l/min per garantire l’apporto fisiologico di 250 ml/min di O2 ai tessuti. In altre parole, in assenza di emoglobina un elevatissimo CO dovrebbe sopperire al bassissimo CaO2.

Per fortuna abbiamo l’emoglobina, che aumenta enormemente il CaO2 legando a sè moltissimo ossigeno, il quale si va ad aggiungere all'ossigeno disciolto nel sangue. Ogni grammo di emoglobina può legare un massimo di 1.39 ml di O2 se tutti i siti di legame per l’O2 sono occupati da una molecola di ossigeno. Questa è la condizione che conosciamo come saturazione 100%. Tanto più elevata è la PaO2, tanto maggiore è la saturazione dell’emoglobina, con una relazione espressa dalla ben nota curva di dissociazione dell’emoglobina.


Una PaO2 di 95 mmHg fisiologicamente si associa ad una saturazione del 97%, che significa che il 97% dei siti di legame dell’emoglobina per l’ossigeno sono legati ad una molecola di O2.
In questa condizione il CaO2 con una ipotetica concentrazione di emoglobina di 10 g/dL diventerebbe: 
$$CaO_2 = 95~mmHg \cdot 0.0031~ml~O_2/mmHg +\\ + 10~g/100~ml \cdot 1.39~ml~O_2/g \cdot SaO_2/100 = \\ = 0.3~ml~O_2 + 13.5~ml~O_2 = 13.8~ml~O_2~~~(eq.~5) $$ 
Grazie a questa quantità di emoglobina il CaO2 è aumentato di ben 46 volte (da 0.3 a 13.8 ml O2/100 ml). Ora la portata cardiaca necessaria per assicurare il trasporto dei 250 ml di O2/min si è ridotta di 46 volte: $$CO = \cfrac{250 \cfrac{ml~O_2}{min}}{13.8 \cfrac{ml~O_2}{100~ml}} = \\ = 18.12 \cdot 100~ml/min = 1812~ml/min = \\ = 1.81~l/min~~~(eq.~6)$$ 

Estrazione di ossigeno.

La portata cardiaca fisiologica è più del triplo di questo valore (circa 5.6 l/min), questo consente all’organismo di trasportare oltre il triplo dell’ossigeno necessario alle necessità del metabolismo cellulare. Riprendendo l'equazione 1: 
 $$DO2 = CO \cdot CaO_2 = 5.6~l/min \cdot 13.8~ml~O_2/100~ml = \\ = 5.6~l/min \cdot 138~ml~O_2/l = 773~ml~O_2/min~~~(eq.~7)$$ L'estrazione di ossigeno (O2 extraction ratio, O2ER) esprime la proporzione  dell'ossigeno trasportato che viene utilizzato dal metabolismo tissutale, cioè il rapporto tra $\dot{V}O_2$ e DO2: $$O_2ER = \dot{V}O_2/DO_2 = \cfrac{250~ml/min}{773~ml/min} = 0.32~~~(eq.~8)$$ 
Il O2ER può essere assimilato alla proporzione tra le nostre spese ed il nostro reddito. Se questo indicatore aumenta, ci avviciniamo alla condizione in cui avremo bisogno di fare debiti; se invece diminuisce ci dice che possiamo o risparmiare o aumentare le spese. Parimenti il O2ER che aumenta ci avvicina alla condizione del debito di ossigeno, che si ritiene si verifichi quando supera il valore di 0.5-0.6 (7, 8), mentre se si riduce al di sotto del fisiologico valore di 0.25-0.3 indica una disponibilità di ossigeno superiore al normale. 
Ipotizziamo ora che l’emoglobina scenda 7 g/dL, a parità di CO (5.6 l/min) e $\dot{V}O_2$ (250 mlO2/min). Ripetendo i calcoli precedenti, la O2ER aumenta a 0.46, un dato decisamente elevato, che si avvicina alla soglia del debito di ossigeno. In questo caso l’anemia produce una significativa riduzione del trasporto di ossigeno.

Ma se la riduzione dell’emoglobina a 7 g/dL fosse associata al contemporaneo aumento del CO da 5.6 a 6.7 l/min e riduzione del $\dot{V}O_2$ a 210 ml/min (dati ragionevoli per un paziente in Terapia Intensiva), la O2ER sarebbe 0.32, invariata rispetto alla condizione con 10 g/dL di emoglobina. In questo caso l’anemia non avrebbe prodotto una riduzione del trasporto di ossigeno.

Da questi due esempi possiamo capire l'importanza del O2ER nel contribuire in maniera fondamentale alla decisione di trasfondere o meno emazie. Nel primo caso potremmo trasfondere il paziente per aumentare il DO2 ed allontanarlo dalla soglia del debito di ossigeno, nel secondo caso invece la trasfusione apparirebbe inutile da questo punto di vista.

Vediamo infine un ultimo esempio in cui la valutazione del O2ER ci può suggerire di trasfondere emazie anche con un’emoglobina di 10 g/dL. Se un paziente avesse un aumento del $\dot{V}O_2$ a 300 ml/min ed una portata cardiaca ridotta a 4.5 l/min 
(anche questi dati ragionevoli per un paziente in Terapia Intensiva), la O2ER sarebbe 0.48 nonostante l’emoglobina a 10 g/dL: a questo valore di O2ER potrebbe avere un razionale la trasfusione di emazie (soprattutto se non fosse possibile ridurre il $\dot{V}O_2$ o aumentare il CO).

La risposta alla "domanda giusta": come misurare il O2ER con l'emogasanalisi.

La strada più lunga.

Finora abbiamo ragionato partendo dalla conoscenza dei valori di CO e $\dot{V}O_2$, dati spesso non sono disponibili nella pratica clinica. Per fortuna al letto del paziente possiamo calcolare la O2ER in maniera semplice, senza necessariamente avere a disposizione CO e $\dot{V}O_2$.

Il $\dot{V}O_2$ è uguale alla differenza tra l’ossigeno che viene trasportato dal sangue arterioso ai tessuti (cioè il buon DO2) e l’ossigeno che torna al cuore destro dopo aver ceduto ossigeno ai tessuti. Quest’ultimo, in analogia al DO2, è calcolabile come prodotto tra la portata cardiaca ed il contenuto venoso di O2 (CvO2). Per misurare il CvO2 si dovrebbe analizzare il venoso misto ottenuto dall’arteria polmonare, ma di fatto più spesso viene utilizzato un campione di sangue ottenuto da una vena centrale, più frequentemente disponibile:$$\dot{V}O_2 = CaO_2 \cdot CO - CvO_2 \cdot CO = \\ = (CaO_2 - CvO_2) \cdot CO ~~~(eq.~9)$$ La differenza CaO- CvO2 è conosciuta anche come differenza artero-venosa di O2 (Ca-vO2). Utilizzando il $\dot{V}O_2$ ricavato dall'equazione 9, abbiamo gli strumenti per capire come calcolare O2ER dai dati dell’emogasanalisi arteriosa e venosa: $$O_2ER = \dot{V}O_2/DO_2 = \\ = \cfrac{(CaO_2 - CvO_2) \cdot CO}{CaO_2 \cdot CO} = \\ = \cfrac{CaO_2 - CvO_2}{CaO2}~~~(eq.~10)$$ Ipotizziamo di avere un paziente con 10 g/dL di emoglobina, PaO2 95 mmHg, SaO2 97%, SvO2 67% e PvO2 di 36 mmHg e calcoliamo il suo O2ER: $$O_2ER= (CaO_2 - CvO_2)/CaO_2 = \\ = \cfrac{(Hgb \cdot 1,39 \cdot SaO_2 + 0.0031 \cdot PaO_2) - (Hgb \cdot 1,39 \cdot SvO_2 + 0.0031 \cdot PvO_2)}{Hgb \cdot 1,39 \cdot SaO_2 + 0.0031 \cdot PaO_2} = \\ = (13.8 - 9.4)/13.8 = 0.32~~~(eq.~11)$$ 
Lo stesso risultato dell’equazione 8: niente di sorprendente perché stiamo analizzando lo stesso paziente utilizzando le sue emogasanalisi anziché il suo DO2 e  $\dot{V}O_2$.

La strada più breve.

Dal momento che la quota di O2 disciolto nel sangue è trascurabile, possiamo efficacemente semplificare l’equazione 11 ed ottenere un O2ER in maniera molto facile:
$$O_2ER = \cfrac{(Hgb \cdot 1,39 \cdot SaO_2) - (Hgb \cdot 1,39 \cdot SvO_2)}{Hgb \cdot 1,39 \cdot SaO_2} = \\ = \cfrac{(SaO_2 -SvO_2) \cdot 1,39 \cdot Hgb}{Hgb \cdot 1,39 \cdot SaO_2} = \\ = \cfrac{SaO_2 - SvO_2}{SaO_2} = 0.32~~~(eq.~12)$$ 
Semplificando ulteriormente, l’equazione 12 mostra che, se la SaO2 è 100%, la SvO2  è inversamente proporzionale al O2ER. Infatti:
$$O_2ER = \cfrac{SaO_2 - SvO_2}{SaO_2} = \\ = \cfrac{SaO_2}{SaO_2} - \cfrac{SvO_2}{SaO_2} = \\ = \cfrac{100}{100} - \cfrac{SvO_2}{100} = \\ = 1 - SvO_2/100~~~(eq.~13)$$ 
Con SaO2 di 100%, una ridotta SvO2 significa una elevata estrazione di ossigeno. Se la SaO2 non è proprio 100% ma è molto vicina a questo valore ci si sbaglia di poco. Tanto più la SaO2 diminuisce, tanto meno la SvO2 è un buon surrogato del O2ER.

Gli studi clinici.

La fisiologia ci fa capire che la trasfusione di emazie dovrebbe avere l'obiettivo di adeguare la DO2 al $\dot{V}O_2$, ed il O2ER è l'indicatore più appropriato. La concentrazione dell’emoglobina, quella che solitamente si guarda per decidere se trasfondere emazie, dovrebbe essere invece un elemento secondario alla valutazione del O2ER.

Uno studio clinico fornisce una indiretta conferma a questo ragionamento fisiologico (9). Lo studio ha analizzato 177 pazienti in Terapia Intensiva con emoglobina tra 7 e 10 g/dL. Questi pazienti anemici potevano essere trasfusi o non trasfusi a giudizio del medico curante. In tutti i pazienti, indipendentemente dalla decisione di trasfondere emazie, furono calcolati sia il Ca-vO2 (la differenza artero-venosa di contenuto di ossigeno) sia il O2ER
Successivamente è stata classificata l'appropriatezza della scelta di trasfondere o di non trasfondere i pazienti sulla base del O2ER. I pazienti sono stati definiti attribuiti al gruppo con "appropriata strategia trasfusionale" se o è stata fatta una trasfusione in presenza di O2ER ≥ 30 o se non è stata fatta la trasfusione con O2ER < 30
Il gruppo con "inappropriata strategia trasfusionale" invece era costituito dai soggetti che o avevano ricevuto una trasfusione di emazie con O2ER < 30 o non erano stati trasfusi nonostante una O2ER ≥ 30
Il risultato è stato che una così definita "appropriata strategia trasfusionale" era indipendentemente associata ad una riduzione della mortalità a 90 giorni. L’analisi principale dello studio non era fatta sulla O2ER ma sulla Ca-vO2 (che è il numeratore della O2ER e quindi considerato un suo surrogato). Anche utilizzando la Ca-vO2 per definire la strategia trasfusionale appropriata (con un cut-off di 3.7 ml O2/100 ml), il risultato non cambiava: la "appropriata strategia trasfusionale" si confermava indipendentemente associata ad una minor mortalità a 90 giorni. 
Inoltre la "appropriata strategia trasfusionale" si associava anche una più rapida riduzione del SOFA score rispetto a quanto accadeva nei pazienti con "inappropriata strategia trasfusionale".

Altre due studi osservazionali hanno rilevato che il O2ER si riduce dopo trasfusione nei pazienti con O2ER pre-trasfusione > 30 (nessuna variazione nei pazienti con O2ER pre-trasfusione ≤ 30)  (10) e che la SvO2 aumenta dopo trasfusione nei pazienti con SvO2 pre-trasfusione < 70% (nessuna variazione nei pazienti con SvO2 pre-trasfusione ≥ 70) (11).

Conclusioni.

Concludiamo questo lungo post sintetizzando in pochi punti quello che potrebbe essere un approccio ragionevole alla trasfusione di emazie:
  • l'emotrasfusione dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti anemici. La soglia dell'anemia è arbitraria ma possiamo porla orientativamente a 10 g/dL di emoglobina;
  • nei pazienti anemici si dovrebbe valutare il O2ER, calcolato facilmente come (SaO2-SvO2)/SaO2;
  • un O2ER < 0.3 dovrebbe avvalorare la decisione di non trasfondere, anche se l'emoglobina fosse un po' inferiore a 7 g/dL;
  • un O2ER > 0.3:
    • supporterebbe l'indicazione alla trasfusione come primo intervento terapeutico in caso di anemia grave (arbitrariamente definita con un valore di emoglobina inferiore a 7 g/dL);
    • nei pazienti con anemia moderata (emoglobina superiore a 7 g/dL) la trasfusione di emazie sarebbe comunque indicata dopo una ragionevole ottimizzazione di portata cardiaca e consumo di ossigeno.
Anche se la soglia del O2ER sembra più appropriata di quella dell'emoglobina, la decisione di trasfondere emazie non dovrebbe essere limitata ad essa ma dovrebbe tenere conto di tutti i dati clinici, laboratoristici e strumentali a disposizione, come sempre dovrebbe essere nella buona pratica medica. Speriamo che la mania dei numeri magici abbia vita breve (anche se temo il contrario...).

Grazie per l'attenzione e, come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab


Bibliografia

1.     Mueller MM, Van Remoortel H, Meybohm P, et al.: Patient Blood Management: Recommendations From the 2018 Frankfurt Consensus Conference. JAMA 2019; 321:983–997
2.     Carson JL, Stanworth SJ, Dennis JA, et al.: Transfusion thresholds for guiding red blood cell transfusion. Cochrane Database Syst Rev 2021; 12:CD002042
3.     Zhang Y, Xu Z, Huang Y, et al.: Restrictive vs. liberal red blood cell transfusion strategy in patients with acute myocardial infarction and anemia: a systematic review and meta-analysis. Front Cardiovasc Med 2021; 8:736163
4.     Yao R, Ren C, Zhang Z, et al.: Is haemoglobin below 7.0 g/dL an optimal trigger for allogenic red blood cell transfusion in patients admitted to intensive care units? A meta-analysis and systematic review. BMJ Open 2020; 10:e030854
5.     Kranenburg FJ, Arbous SM, Caram‐Deelder C, et al.: Predicting organ functioning with and without blood transfusion in critically ill patients with anemia. Transfusion (Paris) 2022; 62:1527–1536
6.     Bosch NA, Law AC, Bor J, et al.: Red Blood Cell Transfusion at a Hemoglobin Threshold of 7 g/dl in Critically Ill Patients: A Regression Discontinuity Study. Ann Am Thorac Soc 2022; 19:8
7.     Leach RM: The pulmonary physician in critical care 2: Oxygen delivery and consumption in the critically ill. Thorax 2002; 57:170–177
8.     Walley KR: Use of central venous oxygen saturation to guide therapy. Am J Respir Crit Care Med 2011; 184:514–520
9.     Fogagnolo A, Taccone FS, Vincent JL, et al.: Using arterial-venous oxygen difference to guide red blood cell transfusion strategy. Crit Care 2020; 24:160
10.     Orlov D, O’Farrell R, McCluskey SA, et al.: The clinical utility of an index of global oxygenation for guiding red blood cell transfusion in cardiac surgery. Transfusion (Paris) 2009; 49:682–688
11.     Themelin N, Biston P, Massart J, et al.: Effects of red blood cell transfusion on global oxygenation in anemic critically ill patients. Transfusion (Paris) 2021; 61:1071–1079

5 commenti:

  1. eccezionale come sempre! grazie Beppe. Dicendo "tenendo conto di tutti i dati clinici..." ti riferisci al fatto di considerare anamnesi per cardiopatia ischemica, vasculopatia cerebrale.... come classicamente si fa per decidere di tenere un paziente sui 10 di Hb anche se il suo O2ER fosse < di 0,3?

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    1. Caro fraber (questo nome mi dice qualcosa... ;-) ), molti pensano che nei pazienti con cardiopatia ischemica un più elevato livello di emoglobina possa essere più utile che negli altri soggetti. Questa visione non è però mai stata confermata dalla letteratura, che addirittura ci mette in guardia da trasfusioni generose nei cardiopatici ischemici (vedi ad esempio la reference 3 del post). Questo a mio modo di vedere è un ulteriore prova che la valutazione del solo valore di emoglobina è infondata come criterio decisionale per valutare l'indicazione alla trasfusione. Allo stato attuale delle conoscenze guarderei il O2ER anche nei cardiopatici ischemici. In caso di portata cardiaca ridotta sarà più elevato, a parità di emoglobina, rispetto a quello dei pazienti con portata cardiaca conservata. Questa condizione probabilmente ci suggerirà di trasfondere più oculatamente i paziente che si giovano dell'incremento potere ossiforetico del sangue.
      A presto!

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  2. E' una visione veramente interessante che potrebbe aiutarci a trasfondere meno tenendo presente anche tutti gli effetti collaterali delle trasfusioni. Mi chiedevo ancora come si potesse ragionare invece per la situazione "distrettuale" dei pazienti con cardiopatia ischemica o vasculopatie. Un tessuto in cui il sangue fatica ad arrivare per banale ostruzione dei vasi, può avere un O2ER "locale" più alto che non si vede ovviamente dall'ega ma che possa necessitare di livelli di emoglobina più alti per apportare sufficiente O2?
    Un caro saluto.
    Francesco!

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    1. Caro Francesco, in linea di principio la risposta alla tua domanda potrebbe essere: sì, in caso di ipossia regionale, può essere ragionevole un incremento della concentrazione dell'emoglobina al di là delle richieste globali. Penso che in questo caso si possa imparare molto andando a verificare, in caso di trasfusione, come variano i segni di ipossia distrettuale. Bisogna però stare attenti ail luoghi comuni: ad esempio nei pazienti genericamente "cardiopatici" una politica di trasfusione "di manica larga" sembra dia più danni che benefici, anche se nei pazienti con infarto miocardico acuto potrebbe essere forse preferibile (vedi reference 3).

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