Corsi ventilab 2024 - Novità

22 gen 2024

Si sta completando il calendario dei corsi 2024, che ora troverai aggiornato (clicca qui). Segui la pagina "I prossimi corsi Ventilab" per sapere quando apriranno le iscrizioni dei singoli corsi o se si aggiungeranno nuove edizioni.

Troverai nel calendario un nuovo corso che proporremo in maggio a Brescia: “Capire (cosa dice veramente) la letteratura scientifica: un percorso tra insufficienza respiratoria e ventilazione meccanica”.

Mai come oggi è importante saper leggere in maniera critica e competente la letteratura scientifica. Bombardati da migliaia di pubblicazioni scientifiche, tra molteplici opinioni di esperti e con linee guida illusoriamente deresponsabilizzanti, rischiamo di essere disorientati o di costruirci false certezze. 

Ciascuno di noi ha la responsabilità, seppur nei limiti delle proprie forze, di ritrovare la strada verso una conoscenza solida e coerente, che si nutre dei progressi della sana ricerca scientifica, evitando trappole ed illusioni di professionisti della pubblicazione non sempre disinteressati.

E’ un percorso lungo, paziente, continuo, che affianca alla base insostituibile della pratica clinica una selezione attenta di articoli scientifici, che acquistano un senso solo se sono letti con la chiara comprensione della loro struttura e del reale significato dei risultati. Questo modus operandi può essere la vera chiave d’accesso ad una cura personalizzata, che fonde l’esperienza clinica personale con una conoscenza intellettuale critica, sempre aperta e disponibile al progresso.

La lettura critica e consapevole della letteratura scientifica si fonda su due pilastri: 1) capire senso e importanza della ricerca; per questo abbiamo bisogno di una preliminare conoscenza dell’argomento trattato; 2) interpretare correttamente numeri, grafici e tabelle che presentano i risultati per decifrare il vero messaggio.

Un lettore non si deve fidare delle conclusioni a cui arrivano gli autori degli studi perché per un ricercatore è molto difficile essere obiettivo. Si fa ricerca per amore della conoscenza o per ambizione personale (spesso entrambe le dimensioni coesistono): seppur per motivi diversi, innamorati ed ambiziosi sono persone poco obiettive, anche se in buona fede.

E’ pertanto importante che la capacità di leggere in modo competente la letteratura scientifica sia patrimonio comune sia dei ricercatori che dei fruitori dei risultati della ricerca.

Il corso “Capire (cosa dice veramente) la letteratura scientifica: un percorso tra insufficienza respiratoria e ventilazione meccanica” nasce per trasmettere a tutti esperienze e conoscenze accumulate su questi temi in oltre 30 anni di attività clinica, formazione e ricerca. E speriamo che per alcuni possa essere un aiuto ed uno stimolo per affiancare al ruolo di lettore anche quello di ricercatore.

Abbiamo deciso di proporre approfondimenti di lettura della letteratura scientifica seguendo un unico tema, quello del trattamento dell’insufficienza respiratoria con la ventilazione meccanica. Questa scelta consentirà di capire concretamente che il senso e l’importanza di una ricerca possono essere colti solo grazie alla preliminare conoscenza dell’argomento. 

Alla fine il risultato sarà duplice: l’arricchimento delle conoscenze sulla ventilazione meccanica e l’acquisizione di un approccio metodologico e statistico applicabile a qualsiasi altro argomento clinico-scientifico.

In attesa di ritrovarci, come sempre un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


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Ventilazione non invasiva e PS trial

19 gen 2024


In quest’ultimo periodo ho visto diversi pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica acuta dovuta a polmonite. Quando l’ossigenoterapia non è più sufficiente, restano due strade: la ventilazione non-invasiva o l’intubazione tracheale. Se la ventilazione non-invasiva è mantenuta a lungo prima di arrendersi al suo fallimento, purtroppo frequente in questa condizione, essa rischia di trasformarsi da opportunità a boomerang: tanto maggiore il tempo perso in ventilazione non-invasiva, tanto minore è la probabilità di sopravvivenza.

Seppur consapevoli di questo, comunque un tentativo di ventilazione non-invasiva può essere ragionevole prima di decidere di passare all’intubazione tracheale: a noi il compito, spesso difficile e complesso, di capire rapidamente chi potrà guarire solo con la ventilazione non-invasiva e chi invece dovrà passare all’intubazione tracheale.

Una breve fase con diversi livelli di pressione di supporto (PS trial) può fornire elementi per aiutarci a prendere una decisione rapida. Per capire come fare ed interpretare un PS trial, ci avvarremo di due ipotetici pazienti, i nostri soliti Mario e Pippo.

Il PS trial

Mario e Pippo hanno entrambi una polmonite con dispnea e PaO2/FIO2 < 150 mmHg nonostante ossigenoterapia con High-Flow Nasal Cannula. Iniziamo ad entrambi la ventilazione non-invasiva con maschera facciale. Quello che qui definiamo PS trial è semplicemente la valutazione del pattern respiratorio (volume corrente e frequenza respiratoria) col progressivo incremento di PS. Ogni livello di PS deve essere mantenuto fino alla stabilizzazione del pattern respiratorio, che di solito richiede pochi minuti. L'entità degli aumenti di PS può variare in relazione al contesto clinico, in questo esempio sono applicati incrementi di 4 cmH2O alla volta.

Nel post commenteremo il risultato del PS trial di Mario e Pippo per decidere se e come proseguire la ventilazione non-invasiva, ma esso può essere anche utilizzato per decidere il livello di assistenza inspiratoria nei pazienti già intubati.

Iniziamo il PS trial di Mario e Pippo impostando PEEP 8 cmH2O e PS 0 cmH2O (cioè una CPAP 8 cmH2O); successivamente aumentiamo il PS a 4, 8 e 12 cmH2O.  

Durante il PS trial la frequenza respiratoria si modifica in maniera simile in Mario e Pippo: in entrambi è 35-36/min con PS 0 cmH2O e si riduce a 30-32/min con PS 12 cmH2O.

Riassumiamo nella tabella 1 la variazione di volume corrente durante il PS trial.

Tabella 1

Nella prima parte della tabella vediamo il volume corrente in ml, nella seconda il volume corrente in ml/kg di peso corporeo predetto o ideale (Predicted Body Weight, PBW, o Ideal Body Weight, IBW), calcolato da sesso ed altezza (177 cm per Mario, 172 cm per Pippo, clicca qui per calcolare facilmente online il PBW). 

La prima cosa che balza all’occhio è che Mario aumenta notevolmente (più del 50%) il volume corrente con l’aumento del PS da 0 a 12 cmH2O, mentre la variazione di volume corrente di Pippo è trascurabile. Quando espresso in ml/kg PBW, il volume corrente di Mario rimane sotto i 10 ml/kg fino a PS 4 cmH2O, mentre per Pippo è inferiore a questo valore a tutti i livelli di PS.

Come pensi che questo breve PS trial possa aiutarti a decidere se proseguire o meno la NIV e con che livello di PS in Mario e Pippo?


Basi fisiopatologiche per interpretare il PS trial


Equazione di moto e PS trial

Il PS trial valuta l’effetto sul volume corrente di diversi livelli di supporto inspiratorio. Si può interpretare correttamente il PS trial analizzandone i risultati alla luce dell’equazione di moto dell’apparato respiratorio, che, come i lettori di ventilab ormai ben sanno, è una base ineludibile per capire la ventilazione meccanica.

Riassumiamo rapidamente l’equazione di moto ed il suo significato. A pressione atmosferica, l’apparato respiratorio rimane fermo al volume che raggiunge al termine di una espirazione passiva completa, definito come Capacità Funzionale Residua.

L'inspirazione è possibile se si applica una pressione superiore a quella atmosferica ($P_{appl}$), in parte utilizzata per aumentare il volume polmonare (pressione elastica, $P_{el}$) ed in parte spesa per far scorrere il flusso inspiratorio nelle vie aeree (pressione resistiva, $P_{res}$).

Questo concetto fondamentale può essere riassunto nella equazione 1:

$$ P_{appl} = P_{el} + P_{res}~~~~~~(1)$$

Questa forma semplificata dell'equazione di moto, che trascura la presenza di un eventuale carico soglia, è sufficiente per proseguire il nostro ragionamento.

A sua volta, la pressione elastica è direttamente proporzionale al volume da introdurre ($V$) ed inversamente proporzionale alla “distensibilità” dell’apparato respiratorio, misurata come compliance ($C$): 

$$ P_{el} = \cfrac{V}{C}~~~~~~(2) $$

mentre la pressione resistiva è direttamente proporzionale all’entità del flusso che scorre nelle vie aeree ($\dot{V}$) ed alla resistenza delle vie aeree ($ R $): 

$$ P_{res} = \dot{V} \cdot {R}~~~~~~(3) $$

L’equazione 1 può quindi essere scritta come:

$$ P_{appl} = \cfrac{V}{C} + \dot{V} \cdot {R}~~~~~~(4)$$

$P_{appl}$ è la somma della pressione generata dai muscoli respiratori ($P_{mus}$) e della pressione inspiratoria del ventilatore ($P_{vent}$): 

$$ P_{mus} + P_{vent} =  \cfrac{V}{C} + \dot{V} \cdot {R}~~~~~~(5)$$

Nei soggetti in respiro spontaneo avremo solo $ P_{mus} $, nei pazienti in ventilazione controllata solo $ P_{vent} $, saranno entrambe presenti durante ventilazione assistita.

Dalla equazione 5 si possono ricavare le variabili che determinano il volume corrente, portando nel membro di sinistra il volume e lasciando tutto il resto a destra :

$$ V = (P_{mus} + P_{vent} -  \dot{V} \cdot {R}) \cdot C~~~~~~(6) $$ 

A prima vista questa equazione potrebbe sembrarti astratta, ma in realtà diventa viva e facilmente comprensibile se impari a leggerla e ti aiuterà a capire bene il PS trial di Mario e Pippo. 

Esplicitata concettualmente, l’equazione 6 ci dice che il volume corrente aumenta se aumenta la somma tra la pressione generata dai muscoli respiratori e quella applicata dal ventilatore, se aumenta la compliance oppure se si riducono flusso e/o resistenza.

Alla luce dell’equazione di moto risolta per il volume (equazione 6), possiamo capire il diverso comportamento di Mario e Pippo all’aumento della pressione di supporto. 

Se il volume corrente aumenta all'aumentare della pressione di supporto, come in Mario, vuol dire che ciascun livello di PS (cioè di $P_{vent}$) si somma ad una $P_{mus}$ che rimane sostanzialmente costante, cioè la somma $P_{mus} + P_{vent}$ aumenta all’aumentare della PS.

Al contrario se il volume corrente rimane sostanzialmente costante, come in Pippo, dobbiamo pensare che all’aumento del PS si riduca parallelamente la pressione generata dai muscoli respiratori. In termini formali possiamo dire che all’aumento di $P_{vent}$, la somma $P_{mus} + P_{vent}$ rimane costante, cioè  $P_{mus}$ si riduce della stessa quantità dell’incremento di $P_{vent}$.

L’applicazione del supporto inspiratorio non modifica in maniera rilevante l’attività dei muscoli respiratori di Mario: il ventilatore si aggiunge ai muscoli respiratori. Al contrario, con l’aiuto del ventilatore i muscoli respiratori di Pippo sono indotti a lavorare di meno, il ventilatore si sostituisce ai muscoli respiratori.


Drive respiratorio e PS trial

Il drive respiratorio è l’intensità dell’output (efferenze) del centro del respiro, che raggiunge i muscoli respiratori attraverso le vie nervose. Il centro del respiro è composto da una rete neuronale situata nel tronco dell'encefalo, tra ponte e midollo allungato.

L’intensità della contrazione dei muscoli respiratori è proporzionale al drive respiratorio: ogni sforzo inspiratorio intenso, ogni condizione che definiamo “distress respiratorio” hanno alla base un drive respiratorio intenso. L’indicatore di drive respiratorio più utilizzato in clinica è la P0.1, a cui ho dedicato il post del 27/06/2021

Un elevato drive respiratorio, e l’intensa contrazione muscolare che ne consegue, è segno di malessere del centro respiro che riceve informazioni “negative” dalle sue afferenze, mentre un basso drive respiratorio è segno di benessere del centro del respiro.

Il drive respiratorio è aumentato da una serie di stimoli afferenti al centro del respiro (ipercapnia,  acidosi, ipossiemia, dolore, ansia, stati infiammatori sistemici, stimolazione di fibre nervose e recettori presenti nel parenchima polmonare) o dalla riduzione della inibizione che su di esso esercitano alcune aree corticali cerebrali (1).

La pressione sviluppata dai muscoli respiratori durante l’inspirazione non dipende unicamente dal drive respiratorio, ma anche dalla forza che riescono a generare i muscoli respiratori. Per questo motivo l'aumento del drive respiratorio può non essere accompagnato da un aumento del volume corrente se i muscoli respiratori sono deboli. In questo caso il volume corrente può essere addirittura inferiore al normale pur in presenza di un drive respiratorio molto aumentato. 

In altri casi, una meccanica respiratoria sfavorevole (bassa compliance, alte resistenze, un elevato carico soglia) può impedire ai muscoli respiratori di aumentare di volume corrente al di sopra dei valori fisiologici, pur in presenza di un drive respiratorio molto elevato, perchè per raggiungere questo risultato serviverebbe lo sviluppo di una $P_{mus}$ insostenibile anche per muscoli con normale forza. 


Interpretazione del PS trial di Mario e Pippo

In assenza di supporto inspiratorio (PS 0 cmH2O) Mario e Pippo hanno entrambi volume corrente 600 ml e una frequenza 36/min, che producono una ventilazione al minuto di 21.6 l/min: hanno per questo lo stesso drive respiratorio? In entrambi il drive respiratorio è soddisfatto da 21.6 l/min di ventilazione? Oppure la ventilazione si ferma a 21.6 l/min per il limite che incontra nei muscoli respiratori, che non riescono a produrne una più elevata?

Il PS trial ci suggerisce la risposta a queste domande.

Pippo all’aumento del supporto inspiratorio mantiene costante il volume corrente. Riguardiamo la equazione 6: se riteniamo che l’aumento di PS (cioè di $P_{vent}$) abbia poco impatto su flusso, resistenza e compliance, la stabilità del volume corrente è spiegabile da una riduzione di $P_{mus}$ uguale all'aumento di $P_{vent}$. Questo comportamento è il segno che la ventilazione di Pippo senza supporto inspiratorio soddisfa già il livello di attivazione del centro del respiro. Il centro del respiro di Pippo è già "sazio" anche senza supporto inspiratorio, e qualsiasi aiuto del ventilatore (=$P_{vent}$) viene utilizzato per ridurre lo sforzo inspiratorio ($P_{mus}$) e non per avere più ventilazione.

Al contrario, Mario all’aumento del supporto respiratorio aumenta il volume corrente. Ciò è interpretabile con il fatto che $P_{mus}$ non si riduce parallelamente all’aumento di $P_{vent}$. Possiamo pensare che la ventilazione di Mario senza supporto inspiratorio sia la massima che egli riesce a sostenere ma che non sia quella necessaria per soddisfare l’intensa attivazione del centro del respiro. Il drive respiratorio di Pippo è "insaziabile", per questo il volume corrente aumenta ad ogni incremento del PS: più $P_{appl}$ si può avere, più si aumenta la ventilazione, avvicinandola sempre più a quella realmente richiesta dal centro del respiro.

A dispetto di un pattern respiratorio simile senza supporto ventilatorio, il PS trial ci fa vedere che il drive respiratorio è maggiore in Mario rispetto a Pippo.


Il PS trial per decidere il supporto respiratorio


Quando proseguire la ventilazione non-invasiva e quando intubare subito

La risposta di Mario (escalation del volume corrente all’aumento del PS) è preoccupante. Ha già una grave insufficienza respiratoria ipossiemica (PaO2/FIO2 < 150) che mette seri dubbi sulla possibilità di successo della ventilazione non-invasiva. A questo si associa un drive respiratorio “insaziabile, cioè il mantenimento di $P_{mus}$ nonostante l’aggiunta di $P_{vent}$, un elemento prognosticamente negativo (2). Poiché il successo della ventilazione non-invasiva è legata anche alla riduzione del drive respiratorio, possiamo concordare che Mario potrebbe meritare l’intubazione già al termine del PS trial. Pippo, nonostante una uguale disfunzione polmonare, sta dimostrando un risultato positivo immediato, la riduzione del drive respiratorio e dello sforzo inspiratorio: per lui possiamo dare fiducia ancora per un po' di tempo alla ventilazione non-invasiva, rivalutandone periodicamente l'efficacia.

Come regolare il livello di PS

Spesso si legge che il PS debba essere incrementato fino al raggiungimento di un volume corrente di 6-8 ml/kg PBW (3). Ritengo che questo approccio non sia appropriato. Sono d'accordo che il PS debba essere aumentato se non si ottiene un volume di almeno 6 ml/kg PBW. Ma dovrebbe essere aumentato anche se, una volta raggiunto questo volume, ulteriori incrementi di PS non modificano in maniera rilevante la dimensione del volume corrente. L'aumento del PS diventa a questo punto efficace nel ridurre $P_{mus}$ senza generare un aumento della pressione transpolmonare e quindi della sovradistensione polmonare. 


Considerazioni finali

Alla luce di quanto abbiamo detto, dopo il PS trial si dovrebbe procedere all'intubazione di Mario ed invece continuare la ventilazione non-invasiva a Pippo con PS 12 cmH2O.

Abbiamo visto in Mario e Pippo due tra le possibili risposte al PEEP trial. Possono esserci anche altri pattern di variazione del volume corrente durante un PEEP trial, ma conoscere le basi fisiopatologiche del PS trial ci consente di interpretarne il risultato di volta in volta in ciascun paziente in ventilazione assistita. 

Concludo come al solito riassumendo i punti salienti del post:

  • il PS trial valuta il trend del volume corrente ottenuto inizialmente in CPAP (cioè senza supporto inspiratorio) e successivamente a livelli crescenti di PS;
  • il PS trial può aiutare a:
    • capire se intubare un paziente in ventilazione non-invasiva
      • volume corrente sempre ≥  6-8 ml/kg PBW che continua ad aumentare ad ogni incremento di PS: è segno che la ventilazione non-invasiva non riduce la pressione generata dai muscoli respiratori. Da prendere in forte considerazione il passaggio all'intubazione tracheale;
      • volume corrente approssimativamente stabile all'aumento del PS: la ventilazione non-invasiva probabilmente sta riducendo la pressione generata dai muscoli respiratori. E' una risposta da vedere positivamente nei pazienti con ventilazione non-invasiva, se il volume corrente non è chiaramente superiore a 10 ml/kg PBW. Con questo risultato nel PS trial è ragionevole proseguire con la ventilazione non-invasiva.
    • scegliere il livello di supporto inspiratorio (sia in ventilazione invasiva che non-invasiva):
      • volume corrente < 6 ml/kg PBW: il supporto inspiratorio dovrebbe essere aumentato finché non si raggiunge questo valore;
      • volume corrente 6-10 ml/kg PBW: il supporto inspiratorio dovrebbe essere aumentato finché non aumenta significativamente il volume corrente ad ogni successivo incremento di PS. Da valutare con attenzione ogni livello di PS > 20 cmH2O perchè potrebbe generare sovradistensione polmonare. In questi casi è utile la valutazione della driving pressure (con la misurazione della pressione di plateau durante un'occlusione di fine inspirazione) ed eventualmente della pressione transpolmonare.

Auguro un buon 2024 e, come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1.  Vaporidi K, Akoumianaki E, Telias I, et al.: Respiratory drive in critically ill patients. pathophysiology and clinical implications. Am J Respir Crit Care Med 2020; 201:20–32

2. Tonelli R, Fantini R, Tabbì L, et al.: Early inspiratory effort assessment by esophageal manometry predicts noninvasive ventilation outcome in de novo respiratory failure. a pilot study. Am J Respir Crit Care Med 2020; 202:558–567

3.  Carteaux G, Millán-Guilarte T, De Prost N, et al.: Failure of noninvasive ventilation for de novo acute hypoxemic respiratory failure: role of tidal volume. Crit Care Med 2016; 44:282–290

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Corsi Ventilab 2024

10 dic 2023

La preparazione dei corsi ventilab 2024 è ormai ultimata, puoi vedere la programmazione degli eventi già in calendario nella pagina "I prossimi corsi Ventilab", in cui troverai tutte le informazioni.

Finita questa fase di lavoro, riprenderanno, dopo una breve pausa, anche i post di ventilab. Come tutte le pause, mi auguro sia stata salutare per tutti: un po' di silenzio dona nuovo vigore.

Colgo l'occasione per augurare buon Natale a te e tutti i tuoi cari.

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Perfusione tissutale e shock

8 ago 2023

Abbiamo capito nel post precedente che la pressione arteriosa (in particolare il valore della pressione arteriosa media) è un dato semplice da rilevare ma, da solo, di scarsa utilità clinica nel paziente con shock perché non ha una diretta relazione con la perfusione tissutale, come evidente dalla fisiologia e dimostrato dagli studi clinici.

Pertanto dobbiamo sempre valutare l’adeguatezza della pressione arteriosa alla luce di indicatori di perfusione tissutale: se questi ultimi sono nella norma, possiamo essere soddisfatti del risultato raggiunto indipendentemente dal valore di pressione arteriosa media. Se invece esistono segni di ipoperfusione tissutale dobbiamo verificare se possono essere corretti da un miglioramento della funzione cardiovascolare, anche qualora i tradizionali obiettivi pressori (pressione arteriosa media > 65 mmHg) siano stati raggiunti.

L’ipoperfusione tissutale.

Riprendiamo la piccola storia di Mario e Pippo che abbiamo presentato nel post precedente. Per capire se il livello di pressione arteriosa è accettabile dobbiamo aggiungere qualche dato sulla perfusione tissutale. Ricordiamo che entrambi i pazienti sono nelle primissime fasi di trattamento dell’ipotensione, sono stati trattati solo con una prima espansione volemica e non abbiamo perciò ancora a disposizione un catetere venoso centrale:

  • Mario (45 anni, senza malattie croniche, pressione media 58 mmHg): cute rosea, calda e asciutta; diuresi dell’ultima ora 40 ml; lattato arterioso 1.2 mmol/L
  • Pippo (iperteso di 75 anni, pressione arteriosa media 67 mmHg): diuresi dell’ultima ora 10 ml; lattato arterioso 3.9 mmol/L; cute fredda al tatto, se la se si comprime con un dito sulla patella, al rilascio della compressione il colore iniziale viene recuperato dopo oltre 10”
Nei due pazienti abbiamo preso in considerazione tre semplici segni di perfusione tissutale, uno globale (il lattato arterioso) e due distrettuali (la diuresi come segno di perfusione renale ed il refill capillare per valutare la perfusione cutanea):

 -  Iperlattacidemia. Un’insufficiente trasporto di ossigeno o una disfunzione microcircolatoria regionale possono causare ipossia tissutale e iperlattacidemia. La mancata riduzione e/o un valore elevato del lattato arterioso (soprattutto entro le prime 24 ore di ricovero) si associano pertanto ad un rischio di morte aumentato (1,2), anche in assenza l’ipotensione (3-5).

- Oliguria. L’oliguria deve essere valutata in maniera differente nella fase precoce rispetto alle fase tardiva dello shock. 

Nella fase precoce la diuresi dipende principalmente dalla perfusione renale (nei pazienti con normale funzione renale) e pertanto l’oliguria è segno di ipoperfusione renale (la classica insufficienza renale da malattia pre-renale). Durante le prime sei ore di shock una riduzione della diuresi al di sotto di 0.5 ml.kg-1.h-1 si associa ad un aumentato rischio di morte (6,7). 

Nelle fasi più tardive il significato della diuresi può essere diverso. Una grave e/o prolungata ipoperfusione renale, la sepsi ed altre forme di infiammazione sistemica possono determinare una necrosi tubulare acuta (cioè una insufficienza renale da malattia renale), una condizione in cui l’oliguria può diventare il marker della malattia renale più che un segno di ipoperfusione renale. Terminata la fase precoce dello shock, la soglia di diuresi che si associa ad un incremento del rischio di morte si abbassa a 0.2-0.3 ml.kg-1.h-1 (8,9), l'oliguria non è necessariamente segno di ipoperfusione ed il suo trattamento, se opportuno, deve prendere in considerazione anche i diuretici.

- Tempo di refill capillare. Il tempo di refill capillare è un indice di perfusione cutanea. Si misura in maniera molto semplice al letto del paziente comprimendo con un dito la cute sopra la patella per 15” (anche il letto ungueale dell’esaminatore deve diventare pallido per assicurare una sufficiente compressione): dopo aver rilasciato la compressione si rileva il tempo necessario per tornare al normale colore della cute sopra la patella. Un tempo prolungato, superiore a 5”, denota una ipoperfusione della cute ed anch’esso si associa ad un aumentato rischio di morte (10). Esiste un altro indice clinico di perfusione cutanea, il mottling score, che valuta la presenza di marezzatura sugli arti inferiori (6,7). Nella mia personale esperienza clinica però ritengo che un mottling score > 2 (marezzatura che si estende oltre la patella) sia un segno di probabile prognosi infausta più che un'utile guida per capire se il livello di pressione arteriosa ottenuto con il supporto di circolo sia appropriato o meno.

Cosa fare in presenza di ipoperfusione tissutale.

Dopo l’iniziale idratazione Mario, non ha alcun segno clinico che lasci pensare ad un insufficiente flusso di sangue verso i tessuti, nonostante il mancato raggiungimento del target pressorio minimo raccomandato. Possiamo pensare che il supporto di circolo sia sufficiente e non ritenere indispensabile fare di tutto per arrivere a questi benedetti 65 mmHg di pressione arteriosa media.

Al contrario Pippo, nonostante il raggiungimento dell’obiettivo pressorio solitamente raccomandato, ha persistenti segni di ipoperfusione tissutale polidistrettuale (oliguria, iperlattacidemia, aumentato tempo di refill capillare) e merita sicuramente di proseguire con l'intervento terapeutico a sostegno del circolo

Possiamo sinteticamente articolare in due livelli la possibile strategia di escalation terapeutica: 
  1. per prima cosa si può aumentare il target pressorio (ad esempio raggiungere una pressione arteriosa media di almeno 75-80 mmHg), soprattutto considerando che Pippo è un iperteso. In caso di ipertensione arteriosa, la perfusione degli organi (in particolare del rene) ha probabilmente una soglia di autoregolazione aumentata e quindi una pressione arteriosa “normale” può essere insufficiente a garantire una buona perfusione renale e ridurre la probabilità di evoluzione verso la necrosi tubulare acuta (11). L’ulteriore incremento della pressione può essere ottenuto sia con altri fluidi e/o con vasocostrittori, in relazione all’anamnesi, all’obiettività clinica ed alla valutazione ecografica;
  2. se l'aumento di pressione arteriosa non ottenesse un miglioramento clinicamente rilevabile della perfusione tissutale, un monitoraggio emodinamico avanzato diventerebbe assolutamente raccomandato. In questo modo si può capire se l’ipoperfusione può essere trattata con un aumento di portata cardiaca e se è più corretto utilizzare (ed a quale dosaggio) fluidi, vasocostrittori, vasodilatatori o inotropi per la prosecuzione del supporto di circolo. Questo argomento è decisamente complesso per essere affrontato in coda a questo post.

Per finire, in un soggetto come Pippo, con fattori di rischio per malattia cardiovascolare, terrei sotto osservazione anche pressione arteriosa diastolica ed elettrocardiogramma. Infatti una ipotensione diastolica persistente potrebbe portare a fenomeni di ischemia miocardica rilevabili con il tracciato elettrocardiografico (12).

Conclusioni

Come di consueto, concludiamo il post con una breve sintesi dei punti salienti:

  • La valutazione della perfusione tissutale è fondamentale indipendentemente dal raggiungimento di una pressione arteriosa media > 65 mmHg
  • Ci sono semplici segni di ipoperfusione tissutale che possono essere rilevati facilmente anche senza monitoraggi sofisticati: iperlattacidemia, oliguria, allungamento del tempo di refill capillare;
  • L’oliguria è segno di ipoperfusione tissutale solo nelle fasi precoci dello shock, quando l’insufficienza renale è pre-renale, mentre nelle fasi tardive può diventare marker di insufficienza renale;
  • In caso di ipoperfusione tissutale in soggetti ipertesi con pressione arteriosa media > 65 mmHg è ragionevole aumentare il target pressorio a valori più altri (75-80 mmHg)
  • Se persiste l’ipoperfusione tissutale nonostante il raggiungimento di un obiettivo pressorio individualizzato, il supporto di circolo deve proseguire con monitoraggio avanzato che consenta di valutare l'appropriatezza della portata cardiaca e del trasporto di ossigeno.

Un sorriso e buon Ferragosto a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1) Vincent J-L, Quintairos e Silva A, Couto L, et al.: The value of blood lactate kinetics in critically ill patients: a systematic review. Crit Care 2016; 20:257
2) Hayashi Y, Endoh H, Kamimura N, et al.: Lactate indices as predictors of in-hospital mortality or 90-day survival after admission to an intensive care unit in unselected critically ill patients. PLoS ONE 2020; 15:e0229135
3) Shankar-Hari M, Phillips GS, Levy ML, et al.: Developing a new definition and assessing new clinical criteria for septic shock: for the third international consensus definitions for sepsis and septic shock (Sepsis-3). JAMA 2016; 315:775
4) Gotmaker R, Peake SL, Forbes A, et al.: Mortality is greater in septic patients with hyperlactatemia than with refractory hypotension. Shock 2017; 48:294–300; 
5) April MD, Donaldson C, Tannenbaum LI, et al.: Emergency department septic shock patient mortality with refractory hypotension vs hyperlactatemia: A retrospective cohort study. Am J Emerg Med 2017; 35:1474–1479
6) Ait-Oufella H, Lemoinne S, Boelle PY, et al.: Mottling score predicts survival in septic shock. Intensive Care Med 2011; 37:801–807
7) Dumas G, Lavillegrand J-R, Joffre J, et al.: Mottling score is a strong predictor of 14-day mortality in septic patients whatever vasopressor doses and other tissue perfusion parameters. Crit Care 2019; 23:211
8) Md Ralib A, Pickering JW, Shaw GM, et al.: The urine output definition of acute kidney injury is too liberal. Crit Care 2013; 17:R112
9) Bianchi NA, Altarelli M, Monard C, et al.: Identification of an optimal threshold to define oliguria in critically ill patients: an observational study. Crit Care 2023; 27:207
10) Ait-Oufella H, Bige N, Boelle PY, et al.: Capillary refill time exploration during septic shock. Intensive Care Med 2014; 40:958–964
11) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus low blood-pressure target in patients with septic shock. N Engl J Med 2014; 370:1583–1593
12) Owens P, O’Brien E: Hypotension in patients with coronary disease: can profound hypotensive events cause myocardial ischaemic events? Heart 1999; 82:477–481

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Corso "La pressione esofagea: come utilizzarla durante la ventilazione meccanica."

13 giu 2023
Alla pagina “I prossimi corsi Ventilab” troverai il calendario aggiornato dei corsi del secondo semestre 2023. 
Accogliendo la richiesta di un gruppo di colleghi, abbiamo aggiunto alla programmazione il corso "La pressione esofagea: come utilizzarla durante la ventilazione meccanica", che si terrà il 13-14 ottobre 2023 nell'ospedale di Verduno in provincia di Cuneo. 

La letteratura scientifica è ormai ricca di dati a supporto dell’utilità della pressione esofagea nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, cosa che trova peraltro conferma nella nostra pratica clinica dopo quasi 20 anni di utilizzo nei pazienti con ARDS o in quelli con weaning prolungato. Per questi motivi la pressione esofagea ha sempre avuto uno spazio fin dai primi eventi formativi proposti dal nostro gruppo. 
Ora i tempi sono maturi per dedicare alla pressione esofagea un corso monotematico. A Verduno affronteremo sia gli aspetti tecnici, fondamentali per una corretta rilevazione del segnale, che quelli clinici, con tutte le possibili applicazioni della pressione esofagea nei pazienti con insufficienza respiratoria. Se pensi di poter essere interessato all'argomento clicca qui per per avere tutte le informazioni, scaricare il programma ed eventualmente iscriverti.

A tutti gli amici di ventilab, come sempre un sorriso e buona estate!
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Pressione arteriosa media e shock

4 giu 2023

Mario e Pippo hanno un'infezione che ha determinato anche ipotensione. Dopo una prima somministrazione di fluidi, si presentano così:

- Mario, 45 anni, senza malattie croniche. Pressione arteriosa: 78/48 mmHg (pressione arteriosa media 58 mmHg). 

- Pippo, 75 anni, in terapia per ipertensione arteriosa. Pressione arteriosa: 95/50 mmHg (pressione arteriosa media 67 mmHg).

Alla luce di queste pochissime informazioni, proviamo comunque a farci due domande:

1) Questi dati sono sufficienti per decidere se intervenire per aumentare, ed eventualmente di quanto, la pressione arteriosa di Mario e/o Pippo?

2) Ritieni ci siano altri dati da valutare per poter rispondere alla domanda? 

Prima di tentare di rispondere a queste domande, consideriamo sia i dati degli studi clinici sulla pressione arteriosa nello shock settico che le basi fisiologiche della pressione arteriosa.

Cosa dicono gli studi clinici.

L’ultima edizione delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign raccomanda che, negli adulti con shock settico, la pressione arteriosa media sia inizialmente mirata a raggiungere 65 mmHg (rispetto a target più elevati) (1).

Gli studi clinici nei pazienti con shock settico però, se valutati nel loro complesso, non supportano l’idea che ci sia un valore soglia di pressione arteriosa media da raggiungere.

Preliminarmente dobbiamo considerare che non è stato studiato l’impatto clinico  e fisiologico di valori di pressione arteriosa media inferiore a 60-65 mmHg: pertanto il valore di 65 mmHg deve essere considerato come il minore tra quelli studiati. 

Quando i 65 mmHg di pressione arteriosa media sono confrontati con valori più elevati (per lo più tra 75 e 85 mmHg), gli studi raggiungono conclusioni contrastanti: in alcuni casi non vi sono differenze, in altri casi probabilmente può essere più favorevole mantenersi su valori più bassi, in altri ancora sembra più favorevole avere più elevati livelli di pressione (2-8).

Se consideriamo nel loro complesso questi risultati discordanti, si dovrebbe far strada l’idea che probabilmente la pressione arteriosa media sia un obiettivo poco importante nel supporto cardiovascolare dei pazienti con sepsi. 

La pressione arteriosa, note fisiologiche.

La pressione arteriosa durante il ciclo cardiaco.

Una premessa: nel nostro ragionamento ignoreremo completamente la riflessione retrograda dell’onda pressoria, un aspetto molto importante nella formazione dell'onda di pressione arteriosa ma la cui omissione non modifica il senso del ragionamento che faremo.

La pressione arteriosa è il risultato dello stiramento delle fibre elastiche della parete arteriosa da parte del volume di sangue in essa contenuto. 

Il volume di sangue contenuto in un’arteria in un determinato istante è dato dall’equilibrio dinamico tra due flussi, uno in arrivo dal cuore ed uno in uscita verso il circolo più periferico

In sistole questi due flussi sono contemporaneamente presenti, cioè nello stesso istante arriva sangue dal cuore ed esce sangue verso il circolo periferico. Nella fase iniziale della sistole (area rossa nella fig. 1), la pressione aumenta perché il volume di sangue nell’arteria aumenta, cioè il flusso in arrivo è maggiore del flusso in uscita

Figura 1
Questo aumento di volume viene accolto dalla espansione sistolica dell’arteria che raggiunge il suo massimo al picco sistolico (figura 2).

Figura 2
Con il proseguire della sistole oltre il picco sistolico, il calo di pressione significa che il volume ematico dell’arteria diminuisce: continua il flusso in arrivo, ma ora il flusso in uscita lo supera (area grigia nella figura 1).

L’incisura dicrota segna il passaggio dalla sistole alla diastole (area lilla nella figura 1): la chiusura della valvola aortica fa cessare il flusso in arrivo all’arteria e rimane solo il flusso in uscita. La pressione arteriosa in diastole pertanto esprime l’interazione tra vaso arterioso e circolo periferico, a differenza della pressione arteriosa in sistole che include anche l’accoppiamento con la pompa cardiaca.

Il flusso diastolico dall’arteria verso il circolo periferico è spinto dal ritorno elastico della parete arteriosa contro il volume di sangue in essa contenuto (figura 3) ed ostacolato dalla pressione a valle

Figura 3

Cerchiamo ora di capire il significato di questa pressione a valle, elemento fondamentale anche per la corretta interpretazione della pressione arteriosa media. 

Di solito la diastole dura meno di 1 secondo ed è interrotta dalla nuova sistole. Ipotizziamo di poter prolungare la diastole per parecchi secondi in modo tale da completare il deflusso del sangue arterioso verso il circolo capillare ed arrivare ad azzerare il flusso arterioso. A quanto pensiamo possa scendere la pressione arteriosa durante questa ipotetica maxi-diastole? E’ stato dimostrato teoricamente e sperimentalmente che la riduzione della pressione arteriosa diastolica si ferma a valori ben superiori a quelli delle pressioni venose, dell’ordine dei 25-50 mmHg (9-11). Si ritiene che questa sia una pressione critica di chiusura, al di sotto della quale il flusso cessa e di conseguenza la perfusione tissutale si arresta.

A questo punto appare chiaro che tutta la quota di pressione arteriosa diastolica al di sotto della pressione critica di chiusura non dovrebbe essere considerata come pressione di perfusione.

Inoltre la pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche, principalmente localizzate a livello arteriolare precapillare. Ne consegue che la pressione arteriosa diastolica può ridursi lentamente (e quindi rimanere elevata) perché c’è vasocostrizione arteriolare che ostacola il deflusso (e la perfusione tissutale) oppure può ridursi rapidamente (e quindi diventare subito bassa) se c’è vasodilatazione, con flusso e perfusione verso i tessuti facilitati.

E' quindi evidente che solo una parte della pressione arteriosa diastolica (quella al di sopra della pressione critica di chiusura) genera flusso, e che questa parte di pressione arteriosa diastolica può addirittura avere una relazione inversa con il flusso.

Diversamente dalla pressione diastolica, la pressione pulsatoria (cioè l’incremento sistolico della pressione) è direttamente correlata alla gittata sistolica e quindi alla portata cardiaca ed alla perfusione. Ovviamente l’entità della correlazione tra pressione pulsatoria e stroke volume dipende dalla compliance arteriosa, generando ad esempio lo stesso stroke volume una pressione pulsatoria che aumenta parallelamente con l’età. 

La pressione arteriosa media

Nella figura 4 vediamo riprodotta una curva di pressione arteriosa “normale”, con pressione sistolica (PAS) 122 mmHg, diastolica (PAD) 80 mmHg. La pressione pulsatoria (PP) è 42 mmHg. 

Figura 4
La pressione arteriosa media è la media della pressione arteriosa durante un intero ciclo cardiaco (sistole e diastole), ed è misurata dividendo l’area sotto curva di pressione durante un ciclo cardiaco per la durata del ciclo (area rossa che equivale all’area grigia della figura 4). Quando la rilevazione della pressione è molto frequente (ad esempio durante il monitoraggio invasivo che ha almeno 100 campionamenti al secondo), la pressione arteriosa media è molto ben approssimata dalla media aritmetica di tutti i valori pressori rilevati durante il ciclo cardiaco.

La pressione arteriosa media (PAM) può anche essere stimata (approssimativamente) utilizzando l’equazione

$$ PAM = PAD + \cfrac{1}{3} \cdot PP ~~~(eq.~1) $$ 

Nell’esempio in figura 1 si calcola una PAM di 94 mmHg.

Si può ben vedere sia dalla valutazione grafica nella figura 4 che dalla equazione 1, che la pressione arteriosa media è principalmente determinata dalla pressione arteriosa diastolica e molto meno da quella pulsatoria. Nel nostro esempio, dei 94 mmHg di pressione media, ben l'85% è dovuto alla diastolica (80 mmHg) e solo il 15% alla pressione di pulsazione (gli altri 14 mmHg).

La pressione arteriosa media mette insieme pressione diastolica e pulsatoria, che però dal punto di vista fisiopatologico ed emodinamico hanno significati molto diversi ed in essa è preponderante il peso della diastolica, la parte di pressione arteriosa meno correlata con la perfusione tissutale.

Anche alla luce di queste considerazioni non stupisce che gli studi clinici non abbiano portato a trovare un chiaro obiettivo di pressione arteriosa media nel trattamento dei pazienti con shock.

Torniamo a Mario e Pippo...

Ora possiamo rispondere alla prima domanda delle due domande iniziali, quella che chiede se e quanto dobbiamo modificare la pressione arteriosa a Mario (quarantacinquenne sano con 58 mmHg di pressione arteriosa media) e/o a Pippo (settantacinquenne iperteso con 67 mmHg di pressione arteriosa media). La risposta è sconfortantemente semplice: non abbiamo dati sufficienti per prendere una decisione. La pressione arteriosa è un dato semplice da rilevare ma di poca utilità clinica nel paziente con shock. La pressione arteriosa sia di Mario che di Pippo potrebbe essere sufficiente alla perfusione di organi e tessuti come potrebbe essere insufficiente.

Dobbiamo necessariamente avere altre informazioni per decidere se e cosa fare. Questa sarebbe la seconda domanda a cui rispondere, ma questo post è già diventato molto corposo: vale la pena fare una pausa e continuare nel prossimo.

Conclusioni

Per ora riassumiamo i concetti principali del post di oggi:

- Il raggiungimento di una pressione arteriosa media di 65 mmHg è indicato come obiettivo di trattamento nel paziente con ipotensione secondaria ad infezione ma la letteratura porta a conclusioni contrastanti;

- La pressione pulsatoria è funzione anche dello stroke volume, che è la base della portata cardiaca ed è quindi un elemento importante per la perfusione periferica;

- La pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche e dalla pressione critica di chiusura, elementi che limitano il flusso verso i tessuti;

- Nel calcolo della pressione arteriosa media è preponderante il peso della pressione diastolica rispetto a quello della pressione pulsatoria. Poiché la perfusione (portata cardiaca) è funzione della pressione pulsatoria e non della diastolica, è ragionevole pensare che la pressione arteriosa media sia un indice di perfusione poco affidabile. Alla luce di queste considerazioni si comprende bene l'inconcludenza degli studi clinici alla ricerca della “giusta” pressione arteriosa media.

- Per valutare l’adeguatezza dell'emodinamica nei pazienti con shock è indispensabile considerare sempre altri indici di perfusione accanto alla misurazione della pressione arteriosa.

Come sempre, un caro saluto ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia.

1) Evans L, Rhodes A, Alhazzani W, et al.: Surviving sepsis campaign: international guidelines for management of sepsis and septic shock 2021. Intensive Care Med 2021; 47:1181–1247

2) LeDoux D, Astiz ME, Carpati CM, et al.: Effects of perfusion pressure on tissue perfusion in septic shock: Crit Care Med 2000; 28:2729–2732

3) Bourgoin A, Leone M, Delmas A, et al.: Increasing mean arterial pressure in patients with septic shock: Effects on oxygen variables and renal function: Crit Care Med 2005; 33:780–786

4) Thooft A, Favory R, Salgado D, et al.: Effects of changes in arterial pressure on organ perfusion during septic shock. Crit Care 2011; 15:R222

5) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus Low Blood-Pressure Target in Patients with Septic Shock. N Eng J Med 2014; 370:1583–1593

6) Lamontagne F, Meade MO, Hébert PC, et al.: Higher versus lower blood pressure targets for vasopressor therapy in shock: a multicentre pilot randomized controlled trial. Intensive Care Medicine 2016; 42:542–550

7) Lamontagne F, Richards-Belle A, Thomas K, et al.: Effect of reduced exposure to vasopressors on 90-day mortality in older critically ill patients with vasodilatory hypotension: a randomized clinical trial. JAMA 2020; 323:938

8) Maheshwari K, Nathanson BH, Munson SH, et al.: The relationship between ICU hypotension and in-hospital mortality and morbidity in septic patients. Intensive Care Med 2018; 44:857–867

9) Permutt S, Riley RL: Hemodynamics of collapsible vessels with tone: the vascular waterfall. J Appl Physiol 1963; 18:924–932

10) Kottenberg-Assenmacher E, Aleksic I, Eckholt M, et al.: Critical closing pressure as the arterial downstream pressure with the heart beating and during circulatory arrest: Anesthesiology 2009; 110:370–379

11) Maas JJ, de Wilde RB, Aarts LP, et al.: Determination of vascular waterfall phenomenon by bedside measurement of mean systemic filling pressure and critical closing pressure in the intensive care unit: Anesth Analg 2012; 114:803–810

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Flow Index: uno strumento unico per ottimizzare il supporto inspiratorio

5 apr 2023

Durante la ventilazione meccanica il supporto inspiratorio dovrebbe essere modulato per mantenere un'ottimale attività dei muscoli inspiratori.

L’attività dei muscoli respiratori può misurata come la pressione da essi sviluppata durante l’inspirazione (Pressure-time product, PTP, vedi anche post del 30/10/2016)(figura 1), che è la somma di: a) la pressione generata dai muscoli respiratori per espandere i polmoni, espressa dalla riduzione della pressione esofagea durante l’inspirazione (PTPL, area tratteggiata obliqua); b) la pressione necessaria per espandere la gabbia toracica (PTPCW, area punteggiata) che è calcolata in ciascun istante dell’inspirazione come il prodotto tra l’elastanza della gabbia toracica (calcolabile dalla presisone esofagea) e volume inspirato .

Figura 1

Il supporto inspiratorio ha l'unica funzione di supportare l'attività dei muscoli respiratori, che è misurata dalla pressione esofagea. Detto questo, sembrerebbe ovvio che la pressione più importante da misurare nei pazienti ventilati dovrebbe essere la pressione esofagea… Nella pratica clinica la pressione esofagea è misurata raramente e l’appropriatezza del supporto inspiratorio è decisa principalmente valutando frequenza respiratoria e volume corrente ed eventualmente indicatori indiretti dell'attività dei muscoli respiratori, come ad esempio P0.1 (post del 27/06/2021), PMI (post del 08/05/2016), dPocc (1) e Flow Index, argomento di questo post.

Il Flow Index.

Il Flow Index è un numero adimensionale che descrive la forma della curva di flusso inspiratorio dal suo picco fino al momento del ciclaggio (2). Se questa porzione di flusso ha una concavità verso l’alto, il Flow Index assume un valore < 1 (tanto minore quanto più evidente è la concavità verso l’alto), se decresce linearmente il Flow Index è 1il Flow Index è > 1 se invece il flusso presenta una concavità verso il basso (Flow Index tanto maggiore quanto più è marcata la concavità verso il basso) (figura 2). 

Figura 2

Il Flow Index nasce dalla consapevolezza che durante la ventilazione pressometrica il flusso inspiratorio è decrescente se il paziente è passivo, mentre la riduzione della pressione alveolare per effetto dell'attività dei muscoli respiratori produce una concavità verso il basso.

Un’immagine vale più di tante parole: in figura 3  vediamo come cambia il profilo del flusso con l’aumento del livello del supporto di pressione (PS).

Figura 3

Con PS 20 il paziente, dopo l'attivazione del trigger inspiratorio, diventa passivo per tutta l’inspirazione ed il flusso è decrescente. Man mano che si riduce il supporto inspiratorio (progredendo da destra a sinistra nella figura 3), l’attività inspiratoria diventa progressivamente più intensa e parallelamente la curva di flusso assume una morfologia con una concavità verso il basso sempre più accentuata. Ne consegue che di pari passo con l’aumento dell’attività dei muscoli respiratori il Flow Index diventa sempre più alto.

Questo concetto è tutt’altro che una novità per chi ha partecipato ai nostri corsi di ventilazione o segue ventilab: la valutazione dell’attività dei muscoli respiratori dalla valutazione della curva di flusso veniva già proposta nel nostro primo corso di ventilazione meccanica del 2007, è stata l’argomento di uno dei primi post che ho scritto su ventilab (quello del 25/03/2010) ed è una parte importante del metodo RESPIRE (in particolare della sua lettera “I”), presentato nella sua prima versione nel post del 20/08/2017

Il Flow Index ha semplicemente trasformato la valutazione soggettiva e qualitativa della curva di flusso in una misurazione oggettiva quantitativaGli studi sul Flow Index (2-4) hanno consentito di dimostrare due cose importanti:

1. la morfologia del flusso inspiratorio in ventilazione pressometrica è efficace per valutare in modo non-invasivo e continuo l’attività dei muscoli respiratori. Prima del Flow Index esisteva solamente il razionale teorico di questo approccio (che era già molto), ora a questo si è aggiunta anche la dimostrazione sperimentale;

2. la valutazione di frequenza respiratoria e volume corrente per avere un’idea dello sforzo inspiratorio non può sostituire l'informazione data dal Flow Index, ma tutt'al più deve integrare il Flow Index. Infatti la robusta associazione tra Flow Index e sforzo inspiratorio si conferma anche quando la relazione è “aggiustata" per il volume corrente e la frequenza respiratoria.

Come si calcola il Flow Index

Una breve nota tecnica. Il Flow Index esamina la parte di flusso successiva al picco e precedente il ciclaggio (figura 4) e su questa parte applica la stessa equazione utilizzata sulla pressione delle vie aeree per calcolare lo stress index: $$flusso = a + b \cdot tempo^c $$

Il parametro c, l’esponente del tempo, è il Flow Index. Di seguito due esempi.

Figura 4

Al momento il Flow Index è calcolabile solamente con una procedura di analisi matematica dei dati di flusso, ma in futuro potrebbe facilmente essere calcolato automaticamente dai ventilatori meccanici se ovviamente si aggiungeranno altre validazioni agli studi già esistenti che ne confermano la capacità di identificare i pazienti sovra- o sotto-assistiti (3,4). Nel frattempo rimane assolutamente spendibile nella pratica clinica l’analisi qualitativa della curva di flusso, che porta alla facile identificazione “a occhio” dei pazienti con elevata o ridotta attività inspiratoria, cioè con o senza concavità verso il basso nella curva di flusso.

La peculiarità del Flow Index rispetto alle altre stime dell’attività dei muscoli respiratori.

Come abbiamo accennato, oltre al Flow Index esistono anche altri indicatori dell’attività dei muscoli inspiratori. C'è però una differenza importante tra il Flow Index e gli altri indici di attività dei muscoli respiratori. 

P0.1, PMI e dPocc sono influenzati sia dall’attività inspiratoria pre-trigger che da quella post-trigger, mentre il Flow Index solo dall’attività inspiratoria post-trigger. L’implicazione clinica di questa differenza è fondamentale, cerchiamo di capire il perchè. 

Nella figura 5 è riproposto il PTP che abbiamo visto in figura 1 in una forma leggermente più complessa. 

Figura 5

L'attività inspiratoria inizia sulla linea "A" (come si può notare dall'inizio della riduzione della pressione esofagea), ma il flusso inspiratorio inizia solo sulla linea "C". La parte di PTP precedente la linea "C" è attività inspiratoria pre-trigger, dovuta al carico soglia sia all'autoPEEP (PTPpeepi) che all'attivazione del trigger (PTPtr). La porzione di PTP oltre la linea "C" (PTPpost) è attività inspiratoria post-trigger, ed è l'unica che si verifica esclusivamente dopo l'inizio del supporto inspiratorio (cioè l'aumento della pressione delle vie aeree, Paw) ed è simultanea al porzione di flusso analizzata dal Flow Index

Quindi il Flow Index è sensibile solo quella parte di sforzo inspiratorio che si origina durante il supporto inspiratorio. In altre parole, il Flow Index è un indice specifico dell'attività inspiratoria post-trigger e tra i parametri ventilatori è influenzato dall'unico che agisce post-trigger, cioè il supporto inspiratorio

Al contrario,  P0.1, PMI e dPocc sono modificati sia dallo sforzo pre- che post-trigger e quindi su di loro hanno un impatto sia le impostazioni del ventilatore che agiscono pre-trigger (trigger inspiratorio e PEEP in relazione all'autoPEEP) che quella post-trigger (supporto inspiratorio).

L'implicazione clinica è che in un paziente con segni e sintomi di eccessiva attività dei muscoli respiratori, un Flow Index > 1 (flusso con concavità verso il basso) suggerisce in prima istanza di aumentare il supporto inspiratorio. Al contrario un Flow Index ≤ 1 (flusso che decresce linearmente o con concavità verso l'alto) dovrebbe indicare che lo sforzo post-trigger è già ridotto e che quindi dovrebbe essere più efficace ridurre lo sforzo pre-trigger modificando la PEEP o il trigger oppure riducendo l'autoPEEP con la terapia broncodilatatrice e/o la posizione seduta e/o la terapia diuretica. Vediamo in figura 6 un esempio di un paziente con queste caratteristiche:

Figura 6

L’attività dei muscoli respiratori inizia in corrispondenza della linea verticale tratteggiata bianca ed il flusso inizia sulla linea tratteggiata verticale rossa. Tutto il calo della pressione esofagea (Pes) si consuma tra queste due linee. Dopo l'inizio del flusso la pressione esofagea non cala ulteriormente, segno di una attività dei muscoli inspiratori minima o nulla in questa fase. 

Una grave debolezza dei muscoli respiratori (rilevabile da una MIP molto bassa, vedi post 28/06/2013) è forse l'unica eccezione a questo approccio: in questo caso l'attività inspiratoria post-trigger è bassa qualsiasi livello di supporto inspiratorio, perchè i muscoli respiratori non riescono a generare una pressione più elevata. In questa condizione il volume corrente dipende unicamente dal supporto inspiratorio ed è l'unica condizione clinica in cui, a paziente attivo, il supporto di pressione debba essere regolato in prima istanza per ottenere il volume corrente dediderato.

Conclusioni

Una breve sintesi dei punti principale del post di oggi:

- la variazione inspiratoria della pressione esofagea è il vero obiettivo del supporto inspiratorio. Ne consegue che la pressione esofagea dovrebbe essere misurata nei pazienti inventilazione assistita, perlomeno in quelli con weaning prolungato;

- il Flow Index è un numero che misura la concavità del flusso inspiratorio ed è una stima indiretta dell’attività post-trigger dei muscoli respiratori;

- un Flow index <= 1 (flusso inspiratorio con concavità verso l’alto o con decadimento lineare) indica una passività dei muscoli respiratori durante il supporto inspiratorio (post-trigger);

- un flow index > 1 (concavità verso il basso) indica attività inspiratoria durante il supporto inspiratorio (post-trigger): tanto maggiore è il Flow Index (cioè la concavità verso il basso del flusso), tanto maggiore l'attività inspiratoria;

- nei pazienti con segni di eccessiva attività inspiratoria è opportuno incrementare il supporto di pressione se Flow Index > 1 (concavità verso il basso), mentre è meglio ottimizzare PEEP e trigger o ridurre l'autoPEEP se Flow Index <= 1 (concavità verso l'alto o decadimento lineare). Questo approccio potrebbe non essere appropriato nei pazienti con bassa MIP.

Un sorriso e buona Pasqua a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1. Bertoni M, Telias I, Urner M, et al.: A novel non-invasive method to detect excessively high respiratory effort and dynamic transpulmonary driving pressure during mechanical ventilation. Crit Care 2019; 23:346
2. Albani F, Pisani L, Ciabatti G, et al.: Flow Index: a novel, non-invasive, continuous, quantitative method to evaluate patient inspiratory effort during pressure support ventilation. Crit Care 2021; 25:196
3. Albani F, Fusina F, Ciabatti G, et al.: Flow Index accurately identifies breaths with low or high inspiratory effort during pressure support ventilation. Crit Care 2021; 25:427
4. Miao M-Y, Chen W, Zhou Y-M, et al.: Validation of the flow index to detect low inspiratory effort during pressure support ventilation. Ann Intensive Care 2022; 12:89
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