Ventilazione noninvasiva e insufficienza respiratoria ipossiemica: quando il gioco si fa duro...

16 lug 2011

Nel post precedente abbiamo visto il caso di Domenico, uomo di 76 anni ricoverato in ospedale per una polmonite comunitaria che alla fine fine si scopre essere da influenza H1N1.
Domenico è stato gestito per qualche giorno con CPAP, unica possibilità di supporto respiratorio dell'ospedale in cui si trova. Dopo due giornate di CPAP, ha una sufficiente ossigenazione (PaO2 72 mmHg) con alcalosi respiratoria (pH 7.52, PaCO2 25 mmHg). Il quesito a questo punto è: come proseguire?

Il sondaggio proposto alla fine del post del 3 luglio ha dato questi risultati:



- avrei continuato la ventilazione non invasiva: 24%

- avrei iniziato (o fatto iniziare) la ventilazione invasiva: 76%






- avrei mantenuto Domenico in questo ospedale, anche se non dotato di Terapia Intensiva: 4%

- avrei trasferito Domenico in un centro dotato di Terapia Intensiva: 96%


- lo avrei trasportato con la CPAP: 26%

- lo avrei intubato: 74%



 

Cerchiamo di capire come e quando usare la ventilazione noninvasiva (NIV) nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta ipossiemica.

La NIV è un'ottima scelta quando dobbiamo supportare la funzione respiratoria di pazienti ipercapnici: è spesso efficace ed il suo successo è facilmente misurato dalla riduzione di PaCO2.

Meno semplice è la gestione nei pazienti ipossiemici non ipercapnici per due motivi:

1) in questi pazienti, soprattutto se hanno una polmonite, la NIV fallisce nella maggior parte dei casi (1). Ed in particolare nei pazienti con influenza H1N1, come nel caso di Domenico, il fallimento della NIV è quasi sicuro (2). Dobbiamo stare attenti ad evitare un equivoco: non è vero che la cura migliore è quella meno invasiva. La cura migliore è quella più efficace, anche se è più invasiva. Quando il gioco si fa duro ... i duri devono cominciare a giocare. Cioè devono intubare il paziente. Ogni ritardo nell'intubazione può essere pagato a caro prezzo.

2) l'emogasanalisi può essere un nemico. Come abbiamo accennato prima, nell'ipercapnico è semplice: se cala la PaCO2 la NIV funziona, altrimenti no (3). Nell'ipossiemico mettiamo la NIV per aumentare la PaO2, ma possiamo fallire anche se la PaO2 migliora. Prendiamo il caso di Domenico: non andava certamente intubato perchè era ipossiemico! Penso che siamo tutti d'accordo che 72 mmHg di PaO2 siano un buon risultato. Proviamo però a pensare alla sua pressione transpolmonare durante la CPAP. Possiamo ragionevolmente pensare che ci fossero sia una alta elastanza polmonare (cioè una bassa compliance) che un elevato volume corrente (ripensando ai 25 mmHg di PaCO2): una miscela esplosiva per generare una elevata pressione transpolmonare e quindi un elevato stress ai polmoni (vedi post del 24 giugno). E lo stress del polmone uccide, come abbiamo sottolineato molte volte su ventilab. Ed a questo aggiungiamo che con il passare dei giorni la situazione non migliorava.

Alla luce di queste considerazioni, l'approccio in NIV al paziente ipossiemico, cosciente ed emodinamiamente stabile, potrebbe articolarsi in questi 4 passi:

1) iniziare con la NIV se si è esperti ad utilizzarla;

2) proseguire solo se si ottiene subito (entro 15') il miglioramento della PaO2 e della dispnea;

3) continuare la NIV per altre 24-48 ore a due condizioni:

  • il paziente non rimane marcatamente polipnoico durante la NIV;

  • si osservano segni concreti di miglioramento della malattia: la PaO2 tende ad aumentare, si riesce a sospendere la NIV per brevi periodi, la radiografia del torace non peggiora;


4) intubare senza esitazioni se non ci sono tutte le condizioni precedenti.

Purtroppo il caso di Domenico è finito male: alla diagnosi di H1N1 è stato intubato e trasportato in Terapia Intensiva in un ospedale a 30 km di distanza. Qui è morto dopo una sovrinfezione polmonare da batteri multiresistenti. Ringrazio i familiari per avermi consentito di usare la storia del loro caro per ventilab: la formazione è certamente più efficace quando nasce da casi concreti. Chissà, magari anche questo potrà servire per dare le cure migliori possibili ai prossimi Domenico...

Come sempre, un caro saluto a tutti.

Bibliografia.

1) Conti G et al. Noninvasive ventilation in patients with hypoxemic, nonhypercapnic acute respiratory failure. Clin Pulm Med 2011; 18:83-7

2) Kumar A et al. Critically ill patients with 2009 Influenza A(H1N1) infection in Canada. JAMA 2009; 302:1872-9

3) Metha S et al. Noninvasive ventilation. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163:540-77

 

PS: il mio voto nel sondaggio è stato:

- avrei iniziato (o fatto iniziare) la ventilazione invasiva

- avrei trasferito Domenico in un centro dotato di Terapia Intensiva

- lo avrei intubato
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Ventilazione noninvasiva e insufficienza respiratoria ipossiemica: un caso clinico.

3 lug 2011

Oggi voglio proporre agli amici di ventilab il caso (vero) di un paziente (Domenico, nome non vero) che si presenta in ospedale con tachipnea, tosse e febbre. Ripercorriamo insieme i punti salienti della storia clinica.

Primo giorno. All'arrivo in Pronto Soccorso l'emogasanalisi evidenzia ipossiemia (PaO2 48 mmHg) ed alcalosi respiratoria (pH 7.54, PaCO2 32 mmHg). Domenico inizia una CPAP di 5 cmH2O e dopo 30' si registra un miglioramento dell'ossigenazione (PaO2 69 mmHg), con equilibrio acido-base sostanzialmente invariato (pH 7.49, PaCO2 33 mmHg). Alla radiografia del torace si rileva un addensamento medio-basale sinistro. A questo punto Domenico viene ricoverato in corsia (l'ospedale non ha la Terapia Intensiva) ed inizia la terapia antibiotica.

Secondo giorno. Nonostante 24 ore di CPAP e terapia antibiotica, Domenico non sta meglio: è ancora tachipnoico e febbrile, e l'ossigenazione è diminuita (PaO2 58 mmHg) e l'alcalosi respiratoria leggermente peggiorata (pH 7.55, PaCO2 29 mmHg). Esegue una TC torace che evidenzia addensamenti polmonari bilaterali con interstiziopatia. Nel sospetto di influenza H1N1 inizia terapia con oseltamivir e fa un tampone faringeo per la conferma diagnostica.

Terzo giorno. Ancora febbre (fino a 39 °C) e tachipnea, ed arriva la conferma della positività per l'influenza H1N1. L'ossigenazione è un po' migliorata (sempre con CPAP) rispetto al giorno precedente (PaO2 72 mmHg) ma vi è una ulteriore riduzione della PaCO2 (25 mmHg con pH 7.52), segno di una grave iperventilazione.

-o-o-o-o-o-


Qui mi fermo con la storia e ti chiedo: tu cosa avresti fatto a questo punto?
Alla fine del post ti propongo tre domande, a cui puoi rispondere cliccando sulla risposta che rispecchia il tuo punto di vista.
Questo test non vuole sostituirsi ai commenti, che sono sempre molto ben accetti. E non serve nemmeno per vedere quanti sanno la risposta giusta, anche perchè, a mio modo di vedere, non esiste una univoca risposta esatta alle tre domande. Questo mini-sondaggio è utile per capire quali siano le scelte più comuni nella pratica clinica,
Nel prossimo post ti dirò cosa è stato fatto in realtà, lo confronteremo con le risposte del sondaggio e con ciò che la letteratura ci suggerisce. E più in generale discuteremo di ventilazione noninvasiva nel paziente ipossiemico acuto. Un saluto a tutti.

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ARDS e volume corrente: la risposta della meccanica respiratoria

24 giu 2011
Riprendiamo la discussione del post della scorsa settimana: i pazienti con ARDS devono fare SEMPRE un basso volume corrente? Anche quando si adattano alla ventilazione meccanica solo se hanno un alto volume corrente?

Dopo aver visto perchè può sembrare che i pazienti con ARDS  vogliano a volte alti volumi correnti (spazio morto + oppioidi, vedi post del 17 giugno), cerchiamo di capire se questo modo di respirare a essere dannoso. Prendiamo a titolo di esempio il paziente di un metro e 70 che ci ha proposto Francesco. Le parti piu' tecniche (e forse ostiche) sono in corsivo. Se proprio fai fatica a seguirle, non ti preoccupare, fai un atto di fede e saltale: arriverai comunque a comprendere il messagio finale.

Pressione elastica (driving pressure).

Sappiamo che il paziente, curarizzato e dopo una manovra di reclutamento, ha una pressione di plateau (Pplat) di 26 cmH2O con PEEP 16 cmH2O. La differenza tra Pplat e PEEP totale (PEEP totale = PEEP + PEEP intrinseca) è la pressione necessaria per generare il volume corrente (pressione elastica o driving pressure, vedi post dell'11 aprile 2011). In questo esempio assumeremo che non vi sia PEEP intrinseca.

L'elastanza.

Ipotizzando l'assenza di PEEP intrinseca, la pressione elastica (Pel) è 10 cmH2O con 0.48 l di volume corrente. L'elastanza (E), che si ottiene dividendo Pel per il volume corrente (VT), è circa 21 cmH2O/l. L'elastanza misura la "rigidità" dell'apparato respiratorio e ci dice quanti cmH2O di pressione ci servono per mettere un litro di gas nell'apparato respiratorio. Possiamo quindi ipotizzare che la driving pressure quando il paziente ventila 1 litro sia 21 cmH2O.

Per procedere nel nostro esempio, facciamo un po' di (fanta)meccanica respiratoria, introducendo ipotesi su dati che non abbiamo a disposizione.

A 1 litro di volume corrente (con 16 di PEEP) possiamo facilmente ipotizzare che ci sia un progressivo aumento di E dovuto al fatto che il volume corrente si sposta oltre il punto di flesso superiore della relazione statica pressione-volume dell'apparato respiratorio. Se non ti è chiaro il concetto, per ora credimi sulla parola: approfondiremo l'argomento nelle prossime settimane. Ed è anche possibile che E fosse minore prima della manovra di reclutamento, necessaria per la ricerca della best PEEP con il metodo scelto da Francesco. Quindi definiamo (realisticamente) che Pel potesse essere circa 25 cmH2O quando il nostro paziente ventilava con 1 l di VT.

L'equazione di moto dell'apparato respiratorio.

La pressione che misuriamo nelle vie aeree (Paw) di un paziente in ventilazione meccanica è sempre la somma di tre componenti: Pel, pressione resistiva (Pres) e PEEP totale (1). Pel è, come abbiamo visto, la pressione necessaria per immettere il volume corrente nell'apparato respiratorio e si calcola come prodotto tra VT ed E. Pres è la pressione per generare il flusso attraverso le vie aeree e si calcola come prodotto tra resistenze (R) e flusso inspiratorio (V').

In sintesi:

Paw =  Pel + Pres + PEEP totale = E x VT + R x V' + PEEP totale                                             (1)


Sembra difficile, ma in realtà è semplicissima: la somma delle pressioni per dare volume (Pel) e flusso (Pres) più la pressione basale (PEEP totale).

In respiro spontaneo si riducono le pressioni nel nostro apparato respiratorio durante l'inspirazione. Esattamente il contrario della ventilazione meccanica.

Nei pazienti ventilati con attività respiratoria spontanea, la Paw si calcola sottraendo all'equazione 1 la pressione generata dai muscoli respiratori (Pmus).

L'equazione di moto quindi diventa:

Paw =  Pel + Pres + PEEP totale - Pmus = E x VT + R x V' + PEEP totale - Pmus               (2)


Riscriviamo la equazione 2 per conoscere la Pmus:

Pmus =  Pel + Pres + PEEP totale - Paw = E x VT + R x V' + PEEP totale - Paw                  (3)

Torniamo al nostro paziente quando ventila con pressione controllata (PCV) 15 cmH2O ed 1 litro di VT. Ipotizziamo che abbia una Pres di 4 cmH2O e ricordiamo che abbiamo stimato una Pel di 25 cmH2O (vedi sopra) e che la PEEP era 16 cmH2O. Sappiamo che la pressione nelle vie aeree era (al massimo) 31 cmH2O (15 di PCV + 16 di PEEP).

Risolviamo ora l'equazione 3 con i dati del paziente: Pmus = 25 cmH2O + 4 cmH2O + 16 cmH2O - 31 cmH2O = 14 cmH2O. Questo significa che quando il paziente ventila con un VT di 1 litro, potrebbe generare una depressione pleurica inspiratoria di circa 14 cmH2O. E' del resto evidente che il paziente respiri attivamente in questa condizione. Come spieghi altrimenti che con soli 15 cmH2O di PCV genera un volume corrente (1 l) più che doppio rispetto a quando ha 10 cmH2O di driving pressure in volume controllato (0.48 l)?

Stress e pressione transpolmonare.

Uno dei fattori che generano danno polmonare indotto dal ventilatore (ventilator-induced lung injury, VILI) nella ARDS e' lo stress, che misuriamo come la pressione transpolmonare a fine inspirazione (2). La pressione transpolmonare e' la differenza tra la pressione all'interno del polmone (misurabile come Pplat) e quella al suo esterno, cioe' la pressione pleurica.

Vediamo ora cosa succede alla pressione transpolmonare nelle due condizioni che finora abbiamo analizzato:

a) volume controllato, VT 0.48 l, PEEP 16 cmH2O, Pplat 26 cmH2O

b) pressione controllata 15 cmH2O, PEEP16 cmH2O, VT 1 l

In entrambe le condizioni la PEEP e' 16 cmH2O. Possiamo accettare che, a fine espirazione, la pressione pleurica sia simile alla PEEP nei pazienti con ARDS (3). La pressione transpolmonare è quindi zero. Questa condizione di partenza è schematizzata nella parte alta della figura qui sotto.


Sotto la linea tratteggiata a sinistra guardiamo cosa succede nella condizione a). L'apparato respiratorio viene insufflato ed aumenta la propria pressione di 10 cmH2O,  raggiungendo i 26 cmH2O, come misurato con la Pplat. Se la elastanza della gabbia toracica e' uguale a quella del polmone (4), meta' dell'aumento di pressione si trasmette nello spazio pleurico. Quindi a fine inspirazione la pressione pleurica aumenta di 5 cmH2O,  arrivando al valore di 21 cmH2O. La pressione transpolmonare e' 5 cmH2O. Un valore molto basso, poco stress, tutto bene.

Sotto la linea tratteggiata a destra, vediamo invece la condizione b). A fine inspirazione la pressione nelle vie aeree e' 31 cmH2O (15 di PCV + 16 di PEEP). Questa non e' la pressione di plateau, che stimiamo un po' piu' bassa a 27 cmH2O. La pressione pleurica, come abbiamo visto nei calcoli effettuati sopra, potrebbe essersi ridotta di 14 mH2O per lo sforzo inspiratorio del paziente, arrivando a 2 cmH2O. La pressione transpolmonare in questa condizione e' 25 cmH2O. Un valore molto alto, tanto stress, tutto male.

Tutti questi calcoli, sebbene corretti da un punto di vita concettuale, si fondano su ipotesi e semplificazioni. Ad ogni modo,  al di là dei giochi matematici della (fanta)meccanica respiratoria, il messaggio finale da portare a casa e' uno solo: il volume corrente alto fa male anche se ottenuto con basse pressioni delle vie aeree in pazienti che mantengono una attivita' inspiratoria spontanea, nonostante questa sia apparentemente ben sincronizzata con la ventilazione meccanica. L'attività respiratoria spontanea in queste condizioni infatti potrebbe aumentare in maniera occulta la pressione transpolmonare.

Questa conclusione sembra essere supportata anche dai risultati dello studio Acurasys (5) (vedi post  del 13 marzo 2010), che documenta una riduzione della mortalità nei pazienti con ARDS sottoposti a curarizzazione profonda: sicuramente in questi pazienti non vi erano riduzioni inspiratorie della pressione pleurica che possono avere aumentato la pressione transpolmonare.

Spero di non essere riuscito a far leggere fino in fondo questo post piuttosto tecnico.

Un saluto a tutti.

Bibliografia.

1) Harris RS. Pressure-volume curves of the respiratory system. Respir Care 2005; 50:78-98

2) Gattinoni L et al.The concept of "baby lung". Intensive Care Med 2005; 31:776-84

3) Loring SH et al. Esophageal pressure in acute lung injury: do they represent artifact or useful information about transpulmonary pressure, chest wall mechanics, and lung stress? J Appl Physiol 2010; 108:515-22

4) Gattinoni L et al. Chest wall elastance in acute lung injury/acute respiratory distress syndrome. Crit care 2004; 8:350-5

5) Papazian L et al. Neuromuscular blockers in early Acute Respiratory Distress Syndrome. N Engl J Med 2010; 363:1107-16
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ARDS e volume corrente: basso è meglio. Sempre?

17 giu 2011

Oggi facciamo i conti con una interessante provocazione di Francesco di Pinerolo, che ci scrive:

"Mi è capitato alcune volte di ventilare pazienti con ipossia grave e di scontrarmi con le loro esigenze. Ricordo il caso di un paziente con polmonite bilaterale con una vistosa ipossia che avrebbe tanto avuto il piacere di respirare con un tidal di 10-12 ml/kg per 10 di frequenza. Impossibile schiodarlo di lì pena un terribile disadattamento nonostante sedazione e controsedazione con propofol e oppioidi.

Altro caso questa sera con un paziente in ARDS di 1 e 70 di altezza sedato con propofol e sufentanil a dosaggio generoso che se ne stava tranquillo ventilato in pressione controllata con dei valori anche modesti 15 di pressione inspiratoria e 16 di PEEP FiO2 1 facendo i suoi 800-1000 ml per 16 con un PaO2/FIO2 di 75. Perfettamente adattato sottolineo. Arrivo io bello bello e dico: non si può ventilare uno in ARDS così e allora diminuisco la pressione inspiratoria e aumento la PEEP a 20 e aumento la frequenza a 24. Risultato: il paziente si rivolta contro il ventilatore con tanto di goccioloni di sudore sulla fronte e desaturazione allegata. E io caparbio lo curarizzo e gli impongo una ventilazione in volume controllato 480 x 26 con PEEP di 16 (trovata con il metodo delle PEEP decrescenti), pressione di plateau di 26.

Ma come sempre mi coglie un dubbio: penso che il nostro corpo, la natura cerchi da sola di trovare dei rimedi ai problemi che incontra. E allora in questi pazienti "mantice" che amano i tidal generosi e i tempi espiratori lunghi non sarebbe meglio assecondarli piuttosto che voler imporre loro una ventilazione protettiva? Non sarebbe possibile ventilarli in assistita e tollerare qualunque cosa succeda piuttosto che sedarli pesantemente o curarizzarli?"

Tutti abbiamo avuto a che fare con pazienti simili a quelli che ci descrive Francesco. Penso che la risposta al suo dubbio sia necessariamente molto articolata.

Oggi esaminiamo solo un aspetto del problema: perchè questi pazienti sembrano desiderare alti volumi correnti e basse frequenze respiratorie? E' proprio madre natura che glielo consiglia?

Nella ARDS lo spazio morto è molto elevato, mediamente il 60% del volume corrente. Lo spazio morto è tanto più grande quanto più grave è il paziente, tanto è vero che è la variabile che più si associa al rischio di morte dei pazienti con ARDS (1). Spazio morto elevato significa che per mantenere costante la PaCO2 bisogna aumentare la ventilazione.

Il grafico riportato di seguito ci mostra come varia la PaCO2 al variare del rapporto tra spazio morto (Vd) e volume corrente (Vt) in un soggetto con normale produzione di CO2 (200 ml/min), Vt di 0.5 l e frequenza respiratoria di 16/min.


Possiamo vedere che se il Vd/Vt è 0.3, come in fisiologia, si avrà una PaCO2 di 40. Se il Vd/Vt diventa 0.65 (come spesso si vede nella ARDS), a parità di ventilazione la PaCO2 diventa circa 80 mmHg. E' evidente che questo aumento della PaCO2 sarà evitato o limitato da un aumento della ventilazione/minuto conseguente alla stimolazione dei centri respiratori secondaria alle variazioni di PaCO2 e pH plasmatici e liquorali (vedi anche post del 21/11/2010).


Ma come fa normalmente un paziente ad aumentare la ventilazione/minuto? E' esperienza quotidiana che ciò avviene aumentando la frequenza respiratoria e non il volume corrente. E perchè i pazienti di cui ci parla Francesco non aumentano la frequenza respiratoria?


A mio parere c'è una ragionevole spiegazione: stanno ricevendo oppioidi. Sappiamo infatti che gli oppioidi riducono la frequenza respiratoria nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta, mantenendo costante o aumentando il volume corrente (2,3).

In sintesi: necessità di elevata ventilazione alveolare + bassa frequenza respiratoria grazie agli oppioidi = elevati volumi correnti.

Non è quindi la natura che porta il nostro paziente alti volumi correnti, ma questo pattern respiratorio è il frutto di un paradiso artificiale. Probabilmente la natura l'avrebbe portato verso un respiro rapido e superficiale (cioè con bassi volumi correnti). Gli alti volumi correnti non dovrebbero quindi essere interpretati come un meccanismo naturalmente protettivo messo in atto dal nostro organismo.

Detto questo, ma i 1000 ml di volume corrente fanno proprio male al nostro paziente con ARDS se questo sembra l'unico modo per tenerlo adattato alla ventilazione meccanica?

La risposta a questa domanda è un po' complessa e richiede tempo. Quindi risolveremo il caso alla prossima puntata.

Nel frattempo aspetto qualche commento degli amici di ventilab che amano mettersi in gioco.

 

Bibliografia.

1) Nuckton TJ et al. Pulmonary dead-space fraction as a risk factor for death in the acute respiratory distress syndrome. N Eng J Med 2002; 346:1281-6

2) Leino K et al. Time course of changes in breathing pattern in morphine- and oxycodone-induced respiratory depression. Anaesthesia 1999; 54:835-40

3) Natalini G et al. Remifentanil improves breathing pattern and reduces inspiratory workload in tachypneic patients. Respir Care 2011; 56:827-33

 

PS: per Francesco: grazie, come sempre, per il contributo. E soprattutto: FORZA ELENA!!!
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Polmonite, svezzamento dalla ventilazione e umidificazione delle vie aeree: istruzioni per l'uso.

5 giu 2011

Oggi parliamo dell'umidificazione delle vie aeree e del suo impatto sullo svezzamento dalla ventilazione meccanica e sulle polmoniti associate alla ventilazione invasiva (ventilator-associated pneumonia, VAP).

Durante la ventilazione meccanica attraverso un tubo tracheale, il gas inspirato non viene in contatto con la mucosa di naso, faringe, laringe e parte della trachea. L'inspirato non viene quindi umidificato e riscaldato da queste mucose e giunge nell'albero bronchiale secco e freddo. Questo fenomeno determina un danno citoplasmatico e nucleare delle cellule della mucosa dell'albero bronchiale, un'alterazione della clearance muco-ciliare ed una maggior densità delle secrezioni bronchiali (1). Da ciò ne derivano un peggioramento di meccanica respiratoria ed ossigenazione, unitamente ad una maggior facilità a sviluppare infezioni polmonari e complicanze respiratorie postoperatorie (2).

Nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica abbiamo due possibilità per risolvere questo problema: possiamo utilizzare umidificatori attivi (con riscaldamento di acqua sulla branca inspiratoria) oppure umidificatori passivi (heat and moisture exchanger, HME) aggiunti allo spazio morto.

Vediamo quale impatto possono avere questi differenti dispositivi su polmonite associata alla ventilazione meccanica e weaning.
Polmonite associata alla ventilazione.

Proprio quest'anno nel mio reparto abbiamo creato un percorso assistenziale per la prevenzione delle VAP. Il primo passo è stato quello di scegliere la miglior linea guida in circolazione sull'argomento. Dopo aver confrontato 4 differenti linee guida utilizzando lo AGREE 2, abbiamo scelto quella della British Society for Antimicrobial Chemotherapy (3).

Una raccomandazione di grado A della linea guida è la seguente: "qualora non vi siano controindicazioni al loro uso (per esempio pazienti ad alto rischio di ostruzione delle vie aeree), raccomandiamo che siano utilizzati gli HME piuttosto degli umidificatori attivi, poichè gli HME sono più efficaci nel ridurre l'incidenza delle VAP."

Successivamente vie puntualizzato: "il beneficio dell'uso del HME rispetto all'umidificatore attivo dovrebbe essere stabilito per ogni paziente e la decisione non dovrebbe essere basata solamente sulle considerazioni relative al controllo delle infezioni (raccomandazione Good Practice Point)".

E il weaning è certamente un altro aspetto da considerare.
Weaning.

Non abbiamo a disposizione trial clinici randomizzati e controllati su weaning e modalità di umidificazione delle vie aeree. Possiamo comunque fare alcune considerazioni:

- gli HME, essendo applicati nello spazio morto, aumentano lo spazio morto per il paziente. Il volume di un HME di basso volume ma buona efficenza è circa 100 ml: per mantenere la stessa ventilazione alveolare (e la stessa PaCO2) si dovrebbe quindi aumentare la ventilazione/minuto. Nella pratica si osserva che i pazienti con HME aumentano la propria ventilazione/minuto, ma che tuttavia questo aumento non è sufficente a prevenire un piccolo aumento della PaCO2 (4).

- gli HME aumentano anche le resistenze del circuito. Peraltro tale aumento di resistenza si fa più rilevante con la durata dell'utilizzo dello stesso HME (5).

- un aumento del livello di assistenza inspiratoria (es. 5 cmH2O in più di pressione di supporto) è spesso appropriato per compensare l'incremento di lavoro respiratorio associato all'uso di un HME (6).
Istruzioni per l'uso.

Alla luce di queste considerazioni, nel mio reparto abbiamo condiviso la scelta di utilizzare gli HME a meno che non vi sia:

  1. weaning difficile, cioè con tre trial di respiro spontaneo falliti o con più di una settimana dal primo trial di respiro spontaneo fallito (7). Devo dire che però preferisco identificare il weaning difficile più con una valutazione clinica multifattoriale che come rigida adesione alla definizione. Tutti i pazienti tracheotomizzati sono considerati con weaning difficile.

  2. elevato rischio di ostruzione delle vie aeree per secrezioni molto dense

  3. fistola broncopleurica ad alta portata

  4. utilizzo di farmaci inalatori

  5. ventilazione con elevati volumi (volume corrente > 700 ml o ventilazione/minuto > 12 l/min)


Da quanto detto si può intuire facilmente che la maggior parte dei pazienti con degenze in Terapia Intesiva inferiori ai 4-5 giorni è un ottimo candidato all'utilizzo degli HME, mentre per quelli con degenze più prolungate prevale l'uso dell'umidificazione attiva.

Un saluto a tutti gli amici di ventilab, ed in particolare ad Angelica che ha suggerito lo spunto per questo post.

Bibliografia.

1) Chalon J et al. Effect of dry anesthetic gases on tracheobronchial epithelium. Anesthesiology 1972;37:338-43.

2) Chalon J et al. Humidity and the anesthetized patient. Anesthesiology 1979;50:195-8.

3) Masterton RG et al. Guidelines for the management of hospital-acquired pneumonia in the UK: Report of the Working Party on Hospital-Acquired Pneumonia of the British Society for Antimicrobial Chemotherapy. J Antimicrob Chemother 2008; 62: 5-34.

4) Le Bourdellès G et al. Comparison of the effects of Heat and Moisture Exchangers and Heated Humidifiers on ventilation and gas exchange during weaning trials from mechanical ventilation. Chest 1996; 110;1294-8.

5) Manthous CA et al. Resistive pressure of a condenser humidifier in mechanically ventilated patients. Crit Care Med 1994; 22:1792-5.

6) Pelosi P et al. Effects of heat and moisture exchangers on minute ventilation, ventilatory drive, and work of breathing during pressure-support ventilation in acute respiratory failure. Crit Care Med 1996; 24:1184-8.

7) Boles JM et al. Weaning from mechanical ventilation. Eur Respir J 2007; 29: 1033-56.

 
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Ventilazione meccanica e disfunzione diaframmatica.

30 mag 2011

La ventilazione meccanica può salvare la vita, ma se non attuata correttamente può avere un impatto negativo sulla prognosi dei pazienti. Spesso abbiamo parlato di ventilazione protettiva nella ARDS per prevenire il ventilator-induced lung injury (VILI). Oggi parleremo invece della disfunzione diaframmatica indotta dalla ventilazione meccanica (ventilator-induced diaphragmatic dysfunction, VIDD).

La  VIDD può condizionare in maniera rilevante lo svezzamento dalla ventilazione meccanica ed il trasferimento dei nostri pazienti verso i centri di Riabilitazione.

A questo proposito vorrei condividere con gli amici di ventilab i contenuti di una relazione che ho presentato il 27 maggio presso il Centro di Riabilitazione "E. Spalenza" della Fondazione don Gnocchi di Rovato. Potrai vedere ed ascoltare la presentazione su youtube cliccando i link che trovi nelle righe qui sotto. La relazione è stata suddivisa in 3 parti di circa 8 minuti ciascuna.

Per vedere la prima parte clicca qui: prima parte.

Per vedere la seconda parte clicca qui: seconda parte.

Per vedere la terza parte clicca qui: terza parte.

Se vuoi scaricare il .pdf della presentazione, clicca qui.

Mi farebbe piacere sapere se trovi utile e comoda la modalità audio-video di presentazione dei contenuti o se preferisci il tradizizonale testo scritto. Puoi farlo lasciando un commento qui sotto o inviando una mail a ventilab.org@gmail.com

Un saluto a tutti e grazie per l'attenzione e gli attestati di apprezzamento al lavoro di ventilab. Proposte e suggerimenti sono sempre ben accetti.







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Trigger inspiratorio e trigger espiratorio. Come funzionano, come usarli.

22 mag 2011
Oggi parliamo di trigger nella ventilazione meccanica.

Il trigger è genericamente un dispositivo che innesca qualcosa. Tipicamente nelle armi da fuoco è il grilletto. Nella ventilazione meccanica il trigger è qualcos'altro.

Utilizziamo ogni giorno due tipi di trigger: trigger inspiratorio e trigger espiratorio.

Trigger inspiratorio.


Il trigger inspiratorio è quel dispositivo che consente al ventilatore di iniziare la propria fase inspiratoria un sincronia con l'inizio dell'inspirazione del paziente.

Tipi di trigger.

Sono utilizzati nella pratica clinica tre tipi di trigger inspiratorio:

- trigger a pressione: durante l'espirazione la valvola inspiratoria del ventilatore è chiusa. Quando il paziente inizia l'inspirazione successiva, si genera una pressione negativa nel circuito del ventilatore. Infatti, come descritto dalla legge di Boyle, il prodotto di pressione e volume è costante. Quindi se aumenta il volume dei polmoni (=inspirazione) ma non vi entra nuovo gas (valvola inspiratoria chiusa), la pressione diminuisce. Noi possiamo scegliere il livello critico di riduzione della pressione nel circuito respiratorio che il ventilatore identifica con l'inspirazione del paziente: questo è il nostro trigger. Il valore da scegliere dovrebbe essere sempre il più basso possibile, in modo tale da rendere il trigger molto sensibile: questo consentirà una tempestiva assistenza inspiratoria e la riduzione del lavoro del paziente sprecato per attivare l'inspirazione del ventilatore meccanico. Solitamente i valori che conviene impostare sono dell'ordine di -0.5/-1 cmH2O. Il rischio di un trigger troppo sensibile è l'autociclaggio della macchina, cioè l'innesco di atti inspiratori non richiesti dal paziente. Nel post del 8 maggio puoi leggere e vedere come riconoscere quando gli atti inspiratori sono effettivamente richiesti dal paziente

- trigger a flusso: le valvole inspiratoria ed espiratoria non si chiudono mai ed il ventilatore eroga un flusso continuo (bias flow o flusso di base). Il flusso di base in alcuni ventilatori è regolabile nel pannello delle impostazioni, in altri è fisso (ad esempio nei ventilatori Siemens/Maquet è di 2 l/min). Quando il paziente finisce l'espirazione, rimarrà nel circuito del ventilatore il flusso di base: esso esce dalla via inspiratoria e rientra inalterato nel ventilatore attraverso la via espiratoria. Se il paziente inizia l'inspirazione, una parte del flusso di base sarà sottratta dal paziente ed al ventilatore rientrerà un flusso minore di quello erogato. Questo è il segnale che il paziente inizia ad inspirare e così sarà innescata l'assistenza inspiratoria. Il trigger a flusso può essere reso più sensibile impostando un basso valore di sensibilità di flusso. La sensibilità di flusso è la differenza tra flusso di base che esce dalla branca inspiratoria ed il flusso che rientra nel ventilatore dalla branca espiratoria. In molti ventilatori è direttamente regolabile: una sensibilità di flusso di 1 l/min imposta un trigger più sensibile rispetto a una sensibilità di flusso di 5 l/min. Nel Servo 300 Siemens la sensibilità di flusso non si esprime in l/min, ma su una scala colorata: sul rosso il trigger è più sensibile e sul verde lo è meno. Nel Servoi Maquet ci sono anche dei numeri da 1 a 10: attenzione, non inidicano i l/min di sensibilità di flusso! 10 è il trigger più sensibile  mentre 1 è il meno sensibile.

- trigger neurale: attualmente disponibile nella modalità di ventilazione NAVA (Neurally Adjusted Ventilatory Assist) della Maquet, consente di innescare l'insufflazione quando la inizia la depolarizzazione del diaframma. Richiede il posizionamento di un apposito sondino naso-gastrico dotato di elettrodi che vengono a posizionarsi a livello del diaframma. Prossimamente daremo spazio alla NAVA. Per ora ci basta anticipare che sincronizzare il ventilatore sull'inizio della contrazione diaframmatica (cioè della sua depolarizzazione) può dare la massima sensibilità al trigger, perchè le variazioni di flusso o pressione del circuito sono sicuramente più tardive e soggette a numerose variabili, come ad esempio PEEP intrinseca, resistenze delle vie aeree, compliance, forza muscolare, …

Trigger a pressione o a flusso?

Ventilazione assistita. Nella maggior parte dei pazienti non vi sono differenze clinicamente rilevanti tra un trigger a pressione o uno a flusso, se opportunamente impostati (1,2). Tuttavia, in alcuni pazienti con sforzi inefficaci, la maggior sensibilità del trigger a flusso può migliorare la sincronia ventilatore-paziente, riducendo la frequenza degli sforzi inefficaci. Riprendendo il caso commentato nel post del 8 maggio, vediamo come si modifica la sincronia paziente-ventilatore modificando il trigger. Nella figura 1 vediamo un trigger a pressione di -1 cnH2O e nella figura 2 un trigger a flusso alla minima sensibilità (livello 1 in un Servoi Maquet). Risultato: nessuna differenza tra le due modalità di trigger.





Figura 1





Figura 2

Ma se rendiamo massima la sensibilità del trigger a flusso (livello 10), la sincronia diventa perfetta (figura 3).




Figura 3






Figura 4

Nella figura 4 vediamo invece cosa succede se si riduce un pochino la sensibilità del trigger a pressione rispetto alla figura 1 (da -1 a -2 cmH2O): un disastro, come discusso nel post precedente.

CPAP. Non ho dubbi: trigger a flusso ad elevata sensibilità. In CPAP non si triggera nessuna assistenza inspiratoria, quindi nessun problema di autociclaggio del ventilatore.

Trigger espiratorio.

Un aspetto spesso trascurato. Nella ventilazione a pressione di supporto il flusso inspiratorio è decrescente (se il paziente non ha una intensa attività dei propri muscoli inspiratori). L'inspirazione termina quando il flusso inspiratorio, riducendosi progressivamente, raggiunge un valore critico. Nei ventilatori più recenti il trigger espiratorio è regolabile ed il livello di flusso inspiratorio che triggera l'espirazione è espressa come % del massimo flusso inspiratorio. Nelle macchine più datate (es. Servo 300 Siemens) il trigger espirartorio è invece fisso e non compare tra le opzioni di impostazione.

Vediamo un esempio nella figura 5. Se scegliamo come trigger espiratorio il 50% del picco di flusso inspiratorio (parte sinistra della figura) vediamo che quando si dimezza il picco di flusso inspiratorio, l'inspirazione termina ed inizia l'espirazione. Quando  si sceglia un trigger espiratorio del 5% (parte destra della figura), l'effetto è quello di prolungare la durata dell'inspirazione: infatti ci vuole più tempo per raggiungere il valore critico di flusso che consente di passare all'espirazione. Quindi un trigger espiratorio basso aumenta la durata dell'inspirazione (esistono frequenti eccezioni che però meritano un post tutto per sè).



Figura 5

Come regolare il trigger espiratorio?

Nei pazienti con PEEP intrinseca un trigger espiratorio del 40-50% riduce l'iperinflazione dinamica e lavoro respiratorio e migliora l'interazione paziente ventilatore (3,4).  A mio parere, un trigger espiratorio ridotto (10-20%) è preferibile invece nei pazienti senza PEEPi se sono ipossiemici, se hanno inspirazioni brevi o se hanno bisogno di un pieno supporto dei muscoli inspiratori.

Anche oggi abbiamo messo parecchia carne al fuoco. Per necessità di sintesi non ho approfondito molti aspetti relativi al triggeraggio inspiratorio ed espiratorio: se hai qualche dubbio o suggerimento, non esitare a lasciare un commento nello spazio sottostante.

Un saluto a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia.

1) Tutuncu AS et al. Comparison of pressure- and flow-triggered pressure-support ventilation on weaning parameters in patients recovering from acute respiratory failure. Crit Care Med 1997; 25:756-60.

2) Goulet R et al. Pressure vs. flow triggering during pressure support ventilation. Chest 1997; 111:1649-53.

3) Chiumello D et al. Effect of different cycling-off criteria and positive end-expiratory pressure during pressure support ventilation in patients with chronic obstructive pulmonary disease. Crit Care Med 2007; 35:2547-52

4) Tassuax D et al. Impact of expiratory trigger setting on delayed cycling and inspiratory muscle workload. Am J Respir Crit Care Med 2005; 172:1283-9.
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Monitoraggio grafico della ventilazione meccanica: un piccolo esercizio. Il commento.

8 mag 2011
Eccomi qua per il analizzare il monitoraggo grafico della ventilazione meccanica proposto nel post del 26 aprile. Prima di iniziare, un vivo ringraziamento agli amici che hanno lasciato un commento al post.

Iniziamo analizzando l'impostazione "A" (figura 1).



Figura 1

Ripropongo il consueto schema ABCDEF (vedi post 20/08/2010 e 29/08/2010).

A) identifichiamo le curve di pressione delle vie aeree (in giallo nella figura) e flusso (in verde). Ignoriamo tutto il resto del monitoraggio perchè non aggiunge nulla alle informazioni contenute in queste due curve del monitoraggio grafico della ventilazione meccanica.

B) cerchiamo l'inspirazione sulla traccia di flusso, individuata dalla curva al di sopra della linea dello zero. Il flusso inspiratorio, dopo un picco iniziale, diventa decrescente. Il flusso inspiratorio decrescente è il marker delle ventilazioni pressometriche con paziente passivo durante l'inspirazione. Vediamo 3 onde di flusso inspiratorio nei 10 secondi di registrazione delle curve: la frequenza respiratoria sarà quindi di 18 atti/minuto.

C) la pressione nelle vie aeree aumenta rapidamente durante l'inspirazione, quindi raggiunge un plateau. E' approssimativamente un'onda quadra di pressione. Anche questo è un marker di una ventilazione pressometrica con paziente passivo.

D) la pressione delle vie aeree non aumenta alla fine dell'inspirazione. Non c'è quindi segno di attivazione dei muscoli espiratori prima che l'inspirazione termini: il paziente è ben sincrono con il termine della fase inspiratoria del ventilatore. Altro segno di paziente passivo.

E) il flusso espiratorio, al di sotto della linea dello zero, inizia con un picco e successivamente decresce esponenzialmente. In altre parole ha l'aspetto di una curva con la concavità verso il basso. Questo è il tipico aspetto di una espirazione passiva. Ma come è passivo questo paziente!

F) cerchiamo alla fine dell'espirazione una riduzione della pressione delle vie aeree o una decelezione del flusso come segno dell'inizio dell'attività dei muscoli respiratori per l'inspirazione successiva. In altre parole vediamo se il paziente si attiva per il respiro successivo (cioè se triggera). In questo caso vediamo una quasi impercettibile riduzione della pressione delle vie aeree associata ad una minima decelerazione (=avvicinamento più rapido verso la linea dello zero) del flusso espiratorio. Unico segno di attività del paziente è questa minima, quasi impercettibile attività di triggeraggio.

In sintesi abbiamo una ventilazione pressometrica con paziente passivo durante inspirazione ed espirazione. Gli atti respiratori sono triggerati. Abbiamo due possibilità: una ventilazione assistita controllata pressometrica (APCV) o una ventilazione a pressione di supporto con pieno supporto della funzione ventilatoria. In realtà il paziente aveva una pressione di supporto di 12 cmH2O con 5 cmH2O di PEEP ed un trigger a flusso molto sensibile (10 su Servoi Maquet).

Ed ora passiamo alla più complessa analisi dell'impostazione "B". Facciamo il ABCDEF anche in questo caso, quindi scegliamo solo le curve di pressione e flusso (A).

Quindi identifichiamo l'inspirazione sulla curva di flusso (B) (figura 2).



Figura 2

Qui vediamo cinque atti inspiratori nei dieci secondi di monitoraggio grafico della schermata. Cinque respiri in 10 secondi sono 30 respiri/minuto. Ora analizziamo la forma della curva di flusso durante l'inspirazione. Per ora escluiamo dall'analisi il respiro 1. Nei respiri dal 2 al 5 vediamo chiaramente un flusso decrescente, tipico delle ventilazioni pressometriche.

La curva di pressione delle vie aeree (C) aumenta durante l'inspirazione. In particolare il valore di pressione di picco (o quasi) è spesso raggiunto nella prima parte dell'inspirazione, e poi si assesta su un un plateau più o meno regolare, caratteristica propria delle ventilazioni pressometriche.

Nelle ventilazioni pressometriche, tanto più il paziente è passivo, tanto più il flusso inspiratorio è esponenzialmente decrescente e la pressione durante l'insufflazione rimane prevalentemente sul livello della pressione di picco. Nel nostro paziente l'inspirazione 3 è passiva dal momento in cui inizia il flusso, nelle altre inspirazioni il paziente invece sembra un po' più attivo.

L'inspirazione 1 è molto strana: il flusso è decrescente fino a circa metà dell'inspirazione, quindi aumenta e decresce nuovamente. Contemporaneamente la pressione scende e poi risale al valore di picco. Cosa è successo? Mentre il paziente stava smettendo di inspirare (flusso decrescente) ha effettuato una nuova inspirazione (il flusso è risalito). Questa inspirazione in realtà si associa a due atti inspiratori dei muscoli respiratori del paziente. Ne consegue che gli atti inspiratori dei muscoli respiratori sono 6 e non cinque come avevamo dedotto da una prima analisi. La frequenza respiratoria (dei muscoli respiratori del paziente) è quindi di 36 atti al minuto, e non 30 come misurato dal ventilatore .

Nella figura 4 vediamo le ultime tre fasi (D-E-F) dell'analisi.



Figura 3

Con la D analizziamo se c'è una sufficiente sincronia tra l'espirazione del paziente ed il ciclaggio del ventilatore, cioè se le pressioni delle vie aeree a fine inspirazione sono simili alla somma di PS più PEEP (linea azzurra). Mi sembra che non ci siano grossolane differenze tra pressioni misurate ed attese: l'inspirazione del paziente e del ventilatore sono sincrone.

Vediamo ora l'espirazione (E). Nelle prime due espirazioni e nell'ultima il flusso espiratorio è grossolanamente decrescente: non sembrano esserci quindi ostruzione bronchiale né espirio forzato. Nella terza espirazione vediamo che il flusso espiratorio prima si azzera, resta sula linea dello zero per circa mezzo secondo, quindi ricomincia l'espirazione da dove si era interrotta. Questo è uno sforzo inefficace. Il paziente ha terminato la propria inspirazione quando questa ha toccato la linea dello zero. In effetti la durata di questa espirazione non sarebbe stata molto diversa dalla precedente e dalla successiva. Ma quando ha tentato di inspirare non è riuscito a triggerare l'inspirazione successiva. Questo avviene in caso di PEEP intrinseca e/o trigger poco sensibile. Dopo il tentativo fallito di inspirazione, il paziente riprende l'espirarzione, riducendo la PEEP intrinseca. Al termine di questa doppia espirazione riesce finalmente ad attivare l'inspirazione successiva. Anche lo sforzo inefficace deve essere considerato un'inspirazione dal punto di vista muscolare: i muscoli respiratori hanno inspirato, purtroppo senza riuscire a fare entrare gas nei polmoni. Quindi anche questo sforzo inefficace va aggiunto alla frequenza respiratoria dei muscoli respiratori del paziente. Gli atti inspiratori "muscolari" sono quindi 7 (e non 6) nei dieci secondi, per una frequenza di 42 al minuto, contro i 30 misurati dal monitoraggio del ventilatore. Non è proprio la stessa cosa!

Finalmente andiamo all'ultimo step (F), l'attivazione dei muscoli inspiratori. Questa si evidenzia come una rapida riduzione del flusso espiratorio ed una consensuale caduta della pressione nelle vie aeree (frecce tratteggiate). Il paziente ha una attività molto intensa per attivare il trigger.

In sintesi, il nostro paziente con l'impostazione "B" aumenta la frequenza respiratoria (30/min quella apparente, 42/min quella dei muscoli respiratori), presenta fenomeni di asincronia sia inspiratoria che espiratoria, ha una marcata attività per triggerare l'inspirazione, è meno passivo durante l'inspirazione.

L'unica modifica dell'impostazione del ventilatore è il trigger. Il trigger a flusso molto sensibile è stato sostituito da un trigger a pressione di -2 cmH2O. Le due curve sono state registrate a pochi minuti l'una dall'altra.

Per oggi mi sono dilungato fin troppo. Ci rivediamo su ventilab per parlare un po' di trigger.

Un saluto a tutto. E tanti auguri alle mamme.
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Monitoraggio grafico della ventilazione meccanica: un piccolo esercizio.

26 apr 2011

Oggi parliamo di monitoraggio grafico della ventilazione meccanica. Ma stavolta voglio riposarmi (per ora) e far lavorare un pochino gli amici di ventilab. Sono convinto lo faranno volentieri dopo le abbuffate pasquali!
Di seguito vedi due tracciati registrati nello stesso paziente a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro. Tra le due condizioni ho modificato un solo comando del ventilatore meccanico.




Impostazione "A"



Impostazione "B"

Prova ad analizzarli uno per uno, magari applicando il metodo ABCDEF proposto in altri post (20/08/10, 29/08/10, 12/03/11). Quali sono le principali differenze? Riesci a fare un'ipotesi plausibile del cambio di impostazione del ventilatore avvenuto tra le due registrazioni?

Penso sia un utile esercizio provare a rispondere. E mi piacerebbe che le risposte fossero lasciate nello spazio per i commenti. Potrò così analizzarle nel post espicativo che proporrò tra qualche giorno.

A prestissimo.

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Che cosa ci impedisce la precoce mobilizzazione in terapia intensiva?

21 apr 2011



E’ il titolo di un editoriale di Critical Care Medicine del 2010 in cui mi sono imbattuto facendo una ricerca bibliografica finalizzata a capire meglio il ruolo della fisioterapia in terapia intensiva. Gli fa eco un articolo sul supplemento dello stesso numero che recita così: “Creare la terapia intensiva animata . Visto l’interesse mostrato per le problematiche di sedazione e weaning dalla ventilazione durante l’ultimo corso ho pensato fosse bene tornare sull’argomento presentando un lavoro che spero stimolerà la discussione.

Schweickert e Pohlman [1] hanno pubblicato su Lancet nel 2009 un trial clinico randomizzato su pazienti critici in ventilazione meccanica e con somministrazione di sedativi; nel gruppo in trattamento (49 pazienti) la sedazione veniva sospesa quotidianamente e, se ricorrevano i criteri, iniziata un’attività di “terapia fisica ed occupazionale” mente nel gruppo controllo (55 pazienti) alla sospensione della sedazione faceva seguito il normale trattamento in uso in quei reparti. L’obiettivo primario era di verificare l’indipendenza funzionale alla dimissione dall’ospedale, quelli secondari di quantificare i giorni liberi da delirio, i giorni liberi da ventilazione meccanica, la durata della degenza in ICU e in ospedale. Per valutare lo stato di coscienza è stata usata la RASS, per il delirio la CAM – ICU; veniva raccolto il Bartel index e il ADLs pre morboso e gli stessi indici utilizzati per valutare l’outcome funzionale. Le attività valutate consistevano in “abluzione, medicazione, deglutizione, toeletta, trasferimento dal letto alla sedia, uso del bagno” e camminare; preliminari a queste il passaggio dalla posizione supina alla seduta, il sedersi sul bordo del letto, ecc. Tali attività erano somministrate da fisioterapiste. La durata media della terapia fisica – occupazionale è stata di 26 ± 14 min (nei pazienti ventilati) Contemporaneamente i pazienti venivano valutati anche per trial di respiro spontaneo ed estubazione.


I risultati mostrano che i pazienti nel gruppo controllo hanno raggiunto alla dimissione dall’ospedale un miglior grado di indipendenza funzionale (il 59% indipendenti vs 35% del gruppo controllo); hanno sofferto per minor tempo di delirio sia in ICU (p = 0,02) sia in ospedale (p = 0,01); sono stati per più giorni liberi dal ventilatore (p = 0,05). Inoltre il 43% dei pazienti nel gruppo trattamento rispetto al 24% del controllo sono stati dimessi a casa. Inoltre la terapia fisica è stata somministrata precocemente (1,5 giorni dopo l’inizio della ventilazione rispetto a 7,4).

Quindi nei pazienti intensivi in ventilazione meccanica l’interruzione quotidiana della sedazione associata a terapia fisica ed occupazionale favorisce il raggiungimento dello stato funzionale premorboso al momento della dimissione dall’ospedale, rispetto alla sola sospensione della sedazione. Nulla possiamo dire sull’outcome a lungo termine.

Nessun grave effetto avverso su 498 terapie somministrate: una desaturazione < 80%, nessuna estubazione accidentale, una accidentale rimozione di catetere arterioso; nel 19% dei casi è stato necessario interrompere il trattamento generalmente per asincronie paziente/ventilatore. 



 Questo è applicabile anche sui nostri pazienti? I pazienti dello studio erano giovani (media 57 anni) con APACHE II di 20 ed un Barthel premorboso di 100 (85 – 100). Da una successiva pubblicazione [2] che prende in considerazione il solo gruppo trattamento dello studio originario si ricava che non c’è nessun paziente neurologico/NCH, che la FiO2 si collocava tra 40 e 60 % e la PEEP era sempre <= 12 cmH2O. Peraltro è stato praticato il 17% dei trattamenti con in corso l’infusione di un singolo vasoattivo e il 14% con almeno due; nel 9% con una terapia dialitica continua.

Creare la terapia intensiva animata è un’affermazione provocatoria che deve spingerci a considerare gli effetti dannosi di una ventilazione prolungata, di una sedazione eccessiva e ininterrotta, di una immobilità forzosa (appunto quando non necessaria) dei nostri pazienti; inoltre ridurre il delirio permette di incidere sull’outcome dei pazienti ventilati. Come sempre passando dal campo sperimentale a quello clinico starà a noi adattare il modello alla nostra realtà e alle caratteristiche del nostro paziente. Migliore stato funzionale alla dimissione si traduce in migliore qualità di vita, in minor impegno assistenziale fuori dall’ospedale; personalmente mi ricorda molto il modello della stroke unit. Occorre certo l’impegno di tutti: medici, infermieri, fisioterapisti e soprattutto una evoluzione culturale.

Voi cosa ne pensate?

 Bibliografia

[1] William D Schweickert Early physical and occupational therapy in mechanically ventilated, critically ill patients: a randomised controlled trial Lancet 2009; 373: 1874–82

 [2] Mark C. Pohlman Feasibility of physical and occupational therapy beginning from initiation of mechanical ventilation Crit Care Med 2010; 38: 2089–2094
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