Perfusione tissutale e shock

8 ago 2023

Abbiamo capito nel post precedente che la pressione arteriosa (in particolare il valore della pressione arteriosa media) è un dato semplice da rilevare ma, da solo, di scarsa utilità clinica nel paziente con shock perché non ha una diretta relazione con la perfusione tissutale, come evidente dalla fisiologia e dimostrato dagli studi clinici.

Pertanto dobbiamo sempre valutare l’adeguatezza della pressione arteriosa alla luce di indicatori di perfusione tissutale: se questi ultimi sono nella norma, possiamo essere soddisfatti del risultato raggiunto indipendentemente dal valore di pressione arteriosa media. Se invece esistono segni di ipoperfusione tissutale dobbiamo verificare se possono essere corretti da un miglioramento della funzione cardiovascolare, anche qualora i tradizionali obiettivi pressori (pressione arteriosa media > 65 mmHg) siano stati raggiunti.

L’ipoperfusione tissutale.

Riprendiamo la piccola storia di Mario e Pippo che abbiamo presentato nel post precedente. Per capire se il livello di pressione arteriosa è accettabile dobbiamo aggiungere qualche dato sulla perfusione tissutale. Ricordiamo che entrambi i pazienti sono nelle primissime fasi di trattamento dell’ipotensione, sono stati trattati solo con una prima espansione volemica e non abbiamo perciò ancora a disposizione un catetere venoso centrale:

  • Mario (45 anni, senza malattie croniche, pressione media 58 mmHg): cute rosea, calda e asciutta; diuresi dell’ultima ora 40 ml; lattato arterioso 1.2 mmol/L
  • Pippo (iperteso di 75 anni, pressione arteriosa media 67 mmHg): diuresi dell’ultima ora 10 ml; lattato arterioso 3.9 mmol/L; cute fredda al tatto, se la se si comprime con un dito sulla patella, al rilascio della compressione il colore iniziale viene recuperato dopo oltre 10”
Nei due pazienti abbiamo preso in considerazione tre semplici segni di perfusione tissutale, uno globale (il lattato arterioso) e due distrettuali (la diuresi come segno di perfusione renale ed il refill capillare per valutare la perfusione cutanea):

 -  Iperlattacidemia. Un’insufficiente trasporto di ossigeno o una disfunzione microcircolatoria regionale possono causare ipossia tissutale e iperlattacidemia. La mancata riduzione e/o un valore elevato del lattato arterioso (soprattutto entro le prime 24 ore di ricovero) si associano pertanto ad un rischio di morte aumentato (1,2), anche in assenza l’ipotensione (3-5).

- Oliguria. L’oliguria deve essere valutata in maniera differente nella fase precoce rispetto alle fase tardiva dello shock. 

Nella fase precoce la diuresi dipende principalmente dalla perfusione renale (nei pazienti con normale funzione renale) e pertanto l’oliguria è segno di ipoperfusione renale (la classica insufficienza renale da malattia pre-renale). Durante le prime sei ore di shock una riduzione della diuresi al di sotto di 0.5 ml.kg-1.h-1 si associa ad un aumentato rischio di morte (6,7). 

Nelle fasi più tardive il significato della diuresi può essere diverso. Una grave e/o prolungata ipoperfusione renale, la sepsi ed altre forme di infiammazione sistemica possono determinare una necrosi tubulare acuta (cioè una insufficienza renale da malattia renale), una condizione in cui l’oliguria può diventare il marker della malattia renale più che un segno di ipoperfusione renale. Terminata la fase precoce dello shock, la soglia di diuresi che si associa ad un incremento del rischio di morte si abbassa a 0.2-0.3 ml.kg-1.h-1 (8,9), l'oliguria non è necessariamente segno di ipoperfusione ed il suo trattamento, se opportuno, deve prendere in considerazione anche i diuretici.

- Tempo di refill capillare. Il tempo di refill capillare è un indice di perfusione cutanea. Si misura in maniera molto semplice al letto del paziente comprimendo con un dito la cute sopra la patella per 15” (anche il letto ungueale dell’esaminatore deve diventare pallido per assicurare una sufficiente compressione): dopo aver rilasciato la compressione si rileva il tempo necessario per tornare al normale colore della cute sopra la patella. Un tempo prolungato, superiore a 5”, denota una ipoperfusione della cute ed anch’esso si associa ad un aumentato rischio di morte (10). Esiste un altro indice clinico di perfusione cutanea, il mottling score, che valuta la presenza di marezzatura sugli arti inferiori (6,7). Nella mia personale esperienza clinica però ritengo che un mottling score > 2 (marezzatura che si estende oltre la patella) sia un segno di probabile prognosi infausta più che un'utile guida per capire se il livello di pressione arteriosa ottenuto con il supporto di circolo sia appropriato o meno.

Cosa fare in presenza di ipoperfusione tissutale.

Dopo l’iniziale idratazione Mario, non ha alcun segno clinico che lasci pensare ad un insufficiente flusso di sangue verso i tessuti, nonostante il mancato raggiungimento del target pressorio minimo raccomandato. Possiamo pensare che il supporto di circolo sia sufficiente e non ritenere indispensabile fare di tutto per arrivere a questi benedetti 65 mmHg di pressione arteriosa media.

Al contrario Pippo, nonostante il raggiungimento dell’obiettivo pressorio solitamente raccomandato, ha persistenti segni di ipoperfusione tissutale polidistrettuale (oliguria, iperlattacidemia, aumentato tempo di refill capillare) e merita sicuramente di proseguire con l'intervento terapeutico a sostegno del circolo

Possiamo sinteticamente articolare in due livelli la possibile strategia di escalation terapeutica: 
  1. per prima cosa si può aumentare il target pressorio (ad esempio raggiungere una pressione arteriosa media di almeno 75-80 mmHg), soprattutto considerando che Pippo è un iperteso. In caso di ipertensione arteriosa, la perfusione degli organi (in particolare del rene) ha probabilmente una soglia di autoregolazione aumentata e quindi una pressione arteriosa “normale” può essere insufficiente a garantire una buona perfusione renale e ridurre la probabilità di evoluzione verso la necrosi tubulare acuta (11). L’ulteriore incremento della pressione può essere ottenuto sia con altri fluidi e/o con vasocostrittori, in relazione all’anamnesi, all’obiettività clinica ed alla valutazione ecografica;
  2. se l'aumento di pressione arteriosa non ottenesse un miglioramento clinicamente rilevabile della perfusione tissutale, un monitoraggio emodinamico avanzato diventerebbe assolutamente raccomandato. In questo modo si può capire se l’ipoperfusione può essere trattata con un aumento di portata cardiaca e se è più corretto utilizzare (ed a quale dosaggio) fluidi, vasocostrittori, vasodilatatori o inotropi per la prosecuzione del supporto di circolo. Questo argomento è decisamente complesso per essere affrontato in coda a questo post.

Per finire, in un soggetto come Pippo, con fattori di rischio per malattia cardiovascolare, terrei sotto osservazione anche pressione arteriosa diastolica ed elettrocardiogramma. Infatti una ipotensione diastolica persistente potrebbe portare a fenomeni di ischemia miocardica rilevabili con il tracciato elettrocardiografico (12).

Conclusioni

Come di consueto, concludiamo il post con una breve sintesi dei punti salienti:

  • La valutazione della perfusione tissutale è fondamentale indipendentemente dal raggiungimento di una pressione arteriosa media > 65 mmHg
  • Ci sono semplici segni di ipoperfusione tissutale che possono essere rilevati facilmente anche senza monitoraggi sofisticati: iperlattacidemia, oliguria, allungamento del tempo di refill capillare;
  • L’oliguria è segno di ipoperfusione tissutale solo nelle fasi precoci dello shock, quando l’insufficienza renale è pre-renale, mentre nelle fasi tardive può diventare marker di insufficienza renale;
  • In caso di ipoperfusione tissutale in soggetti ipertesi con pressione arteriosa media > 65 mmHg è ragionevole aumentare il target pressorio a valori più altri (75-80 mmHg)
  • Se persiste l’ipoperfusione tissutale nonostante il raggiungimento di un obiettivo pressorio individualizzato, il supporto di circolo deve proseguire con monitoraggio avanzato che consenta di valutare l'appropriatezza della portata cardiaca e del trasporto di ossigeno.

Un sorriso e buon Ferragosto a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1) Vincent J-L, Quintairos e Silva A, Couto L, et al.: The value of blood lactate kinetics in critically ill patients: a systematic review. Crit Care 2016; 20:257
2) Hayashi Y, Endoh H, Kamimura N, et al.: Lactate indices as predictors of in-hospital mortality or 90-day survival after admission to an intensive care unit in unselected critically ill patients. PLoS ONE 2020; 15:e0229135
3) Shankar-Hari M, Phillips GS, Levy ML, et al.: Developing a new definition and assessing new clinical criteria for septic shock: for the third international consensus definitions for sepsis and septic shock (Sepsis-3). JAMA 2016; 315:775
4) Gotmaker R, Peake SL, Forbes A, et al.: Mortality is greater in septic patients with hyperlactatemia than with refractory hypotension. Shock 2017; 48:294–300; 
5) April MD, Donaldson C, Tannenbaum LI, et al.: Emergency department septic shock patient mortality with refractory hypotension vs hyperlactatemia: A retrospective cohort study. Am J Emerg Med 2017; 35:1474–1479
6) Ait-Oufella H, Lemoinne S, Boelle PY, et al.: Mottling score predicts survival in septic shock. Intensive Care Med 2011; 37:801–807
7) Dumas G, Lavillegrand J-R, Joffre J, et al.: Mottling score is a strong predictor of 14-day mortality in septic patients whatever vasopressor doses and other tissue perfusion parameters. Crit Care 2019; 23:211
8) Md Ralib A, Pickering JW, Shaw GM, et al.: The urine output definition of acute kidney injury is too liberal. Crit Care 2013; 17:R112
9) Bianchi NA, Altarelli M, Monard C, et al.: Identification of an optimal threshold to define oliguria in critically ill patients: an observational study. Crit Care 2023; 27:207
10) Ait-Oufella H, Bige N, Boelle PY, et al.: Capillary refill time exploration during septic shock. Intensive Care Med 2014; 40:958–964
11) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus low blood-pressure target in patients with septic shock. N Engl J Med 2014; 370:1583–1593
12) Owens P, O’Brien E: Hypotension in patients with coronary disease: can profound hypotensive events cause myocardial ischaemic events? Heart 1999; 82:477–481

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