Meeting web "Fisiopatologia, terapia e ventilazione meccanica nella Covid-19"

13 dic 2020

 

Ti segnalo che I.ME.D. - Istituto Medicina Didattica ha organizzato sabato 19 dicembre il meeting web "Fisiopatologia, terapia e ventilazione meccanica nella Covid-19", al quale sarò relatore con l'amico Baldo Renda.

Ti anticipo gli argomenti che verranno trattati:

  • COVID-19: Diagnosi e terapia farmacologica (Baldassare Renda)
  • La ARDS nei pazienti con COVID-19 e con altre malattie:
    analogie e differenze (Giuseppe Natalini )
  • Quando e come iniziare la ventilazione meccanica
    invasiva e non-invasiva (Baldassare Renda) 
  • La ventilazione protettiva (Giuseppe Natalini)
  • La ventilazione assistita (Giuseppe Natalini)
  • Svezzamento dalla ventilazione meccanica e tracheotomia: come, quando e perchè (Giuseppe Natalini)
  • Discussione casi clinici con domande e risposte (Giuseppe Natalini, Baldassare Renda)

Se sei interessato, puoi accedere al sito di I.ME.D per consultare programma e modalità di iscrizione cliccando qui.



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COVID-19 e intubazione tracheale.

10 dic 2020

Quando decidere che è arrivato il momento dell’intubazione tracheale nei pazienti con COVID-19? Iniziamo le nostre riflessioni partendo da un caso clinico.

Il caso.

La signora Maria è una donna di 70 anni, ipertesa, ricoverata in ospedale per polmonite da COVID-19. Dopo circa una settimana dal ricovero è richiesta una consulenza rianimatoria per un eventuale trasferimento in Terapia Intensiva. La signora Maria da tre giorni è dipendente dalla ventilazione non-invasiva, senza la quale ha immediata dispnea ed ipossiemia (SpO2 75%). Durante la ventilazione non-invasiva (EPAP 8 cmH2O, IPAP 14 cmH2O, FIO2 0.7) non avverte dispnea nonostante la grave disfunzione polmonare (PaO2/FIO2 84 mmHg). L’equilibrio acido-base mostra un’alcalemia mista (pH 7.55, PaCO2 34 mmHg). 

Due immagini della TC torace della signora Maria sono presentate in figura 1.


Figura 1

Secondo te, in questo momento sarebbe opportuno proporre alla signora Maria l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica invasiva?

 

Dopo averti fatto questa domanda, aggiungo un dato: durante la ventilazione non-invasiva la signora Maria ha un volume corrente di 1100 ml (ed è attiva durante l’inspirazione) con una frequenza respiratoria di 25/min. Se si elimina il supporto inspiratorio (cioè si passa in modalità CPAP), il volume corrente si riduce a 850 ml. La signora Maria è alta 160 cm ed ha un peso ideale predetto di 52 kg (http://www.tidalvolumecalculator.com/): il volume corrente durante ventilazione non-invasiva è quindi di circa 21 ml/kg di peso ideale, che si riduce a 16 ml/kg di peso ideale durante la CPAP.

 

Ti ripropongo ora la stessa domanda di prima: secondo te, in questo momento sarebbe opportuno proporre alla signora Maria l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica invasiva?

 

A Maria in queste condizioni è stata realmente proposta l’intubazione tracheale, che però ella ha rifiutato perché convinta che l’intubazione sia dannosa per i pazienti con COVID-19. Maria appare in pieno possesso delle proprie facoltà mentali e pertanto, in presenza del suo dissenso, decidiamo di lasciarla in corsia a proseguire il trattamento in corso.

Il giorno seguente siamo nuovamente chiamati a valutare Maria, che nel frattempo ha ripensato alla propria decisione ed ora è disponibile ad accettare il ricovero in Terapia Intensiva, l'intubazione e la ventilazione invasiva. 

Maria viene trasferita quindi in Terapia Intensiva. L’emogasanalisi arteriosa che precede l’intubazione mostra che anche la pompa respiratoria sta cedendo, come testimoniato dalla comparsa di acidosi respiratoria (pH 7.35 e PaCO2 49 mmHg). 

Oggi, dopo 25 giorni dall’intubazione, Maria è ancora in Terapia Intensiva, tracheostomizzata e svezzata dalla ventilazione meccanica. Speriamo di cuore possa completare con successo questo difficile percorso di cura e tornare felicemente a casa.


Le riflessioni.

La decisione di procedere all’intubazione tracheale ed alla ventilazione invasiva nei pazienti COVID-19 non è sempre ovvia: dovrebbe quindi essere affidata a medici esperti ed i casi dubbi dovrebbero essere discussi collegialmente.

Aleggia la strana idea che l’intubazione “faccia male” ai pazienti con COVID-19 (il caso di Maria è esemplare). Per affrontare costruttivamente questo problema ragioniamo separatamente su due scenari completamente diversi tra loro: 

  • 1° scenario: l’intubazione tracheale è immediatamente necessaria per cercare di evitare una morte certa

  • 2° scenario: l’intubazione tracheale, pur non immediatamente necessaria per evitare la morte certa, è però preferibile alla ventilazione non-invasiva perchè ha maggiori probabilità di salvare la vita


1° scenario: l’intubazione tracheale non ha alternative 

Il primo scenario è quello in cui si deve intervenire nei casi di insufficienza respiratoria molto grave (quando ormai il paziente “non ce la fa più a respirare”, nemmeno con la ventilazione non-invasiva). In questa condizione l’intubazione tracheale (e la ventilazione meccanica invasiva) può essere assimilata al massaggio cardiaco in caso di arresto cardiaco: è indiscutibilmente l’unica cosa da fare, per tentare di evitare una morte che viceversa si verificherebbe sicuramente. Una parte delle persone che arrivano alla ventilazione meccanica in queste condizioni moriranno comunque (similmente a quanto accade a molti che ricevono il massaggio cardiaco dopo un arresto cardiaco), ma la loro morte è la conseguenza di una malattia gravissima ed incurabile e non di un trattamento “sbagliato”. Ogni persona intubata che sopravvive è certamente una vita guadagnata, mentre ogni persona intubata che muore sarebbe morta ugualmente

Mi sembra che l'indicazione all’intubazione in questo scenario sia talmente evidente da non meritare altri ragionamenti.


2° scenario: l’intubazione tracheale è la migliore tra le opzioni terapeutiche. 

Questo secondo scenario ci chiede di capire se l'insifficienza respiratoria possa essere trattata per tutto il suo decorso con la ventilazione non-invasiva come massimo livello di intensità terapeutica. (Parto dall’assunto che ogni paziente con COVID-19 ed insufficienza respiratoria dovrebbe fare, quando possibile, almeno un breve ciclo di ventilazione non-invasiva).

 

La nostra signora Maria si trova in questo secondo scenario: la ventilazione non-invasiva è al momento sufficiente a farla sopravvivere, ma dobbiamo decidere se potrà essere risolutiva o se sarà destinata a fallire. In quest'ultimo caso prima o poi ci troveremo nel sopra descritto scenario 1: a quel punto la scelta diventerà ovvia, ma il ritardo nel passaggio dalla ventilazione non-invasiva all’intubazione tracheale aumenterà il rischio di morte (1-4).

 

Il vero problema è quindi saper fare una fondata previsione sul possibile fallimento della ventilazione non-invasiva. I pazienti con polmonite e/o grave con insufficienza respiratoria ipossiemica hanno un'elevata probabilità di fallimento della ventilazione non-invasiva (3-6). Questo non significa che in questi pazienti non si debba tentare una iniziale ventilazione non-invasiva, ma deve rendere consapevoli che si dovrebbe procedere rapidamente all'intubazione tracheale se dispnea ed ipossiemia persistono nonostante la ventilazione non-invasiva. Potrebbe essere utile supportare la propria previsione con il HACOR score (figura 2), che nei pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica si associa ad un elevato rischio di fallimento (> 80%) della ventilazione non-invasiva se è superiore a 5 punti dopo 1-6 ore dall’inizio della ventilazione non-invasiva (3,6).

Figura 2
Figura 2. HACOR score


La valutazione del volume corrente durante ventilazione non-invasiva è un altro aspetto importante per l’indicazione all’intubazione tracheale. Un elevato volume corrente è sia di per sé dannoso nei pazienti con ARDS (ne aumenta la mortalità), sia associato al fallimento della ventilazione non-invasiva (7): per questo motivo, l’intubazione tracheale è raccomandabile in presenza di un volume corrente alto (ad esempio > 10 ml/kg di peso ideale).


Per sintetizzare tutte queste considerazioni, a puro titolo di esempio condivido i criteri di intubazione tracheale che nella nostra Terapia Intensiva utilizziamo per i pazienti con COVID-19. L'intubazione è indicata qualora, durante ventilazione non-invasiva, vi sia almeno 1 di questi segni o sintomi: PaO2/FIO2 < 100 mmHg; dispnea; frequenza respiratoria > 35/min; utilizzo dei mm. inspiratori accessori; respiro paradosso; acidosi respiratoria; volume corrente > 10 ml/kg di peso ideale (per altezze “standard”, > 700 ml nei maschi o > 550 ml nelle femmine). Ovviamente bisogna calare questi criteri nella specificità di ogni singolo paziente evalutare tutti gli ulteriori elementi che possano meglio definire il rapporto rischio/beneficio.


A questo punto torniamo a Maria: nel suo caso specifico è corretta l’indicazione all’intubazione tracheale o è meglio aspettare? Mi sembra ci siano tutti gli elementi che supportano l’intubazione tracheale ora: un rapporto PaO2/FIO2 < 100 mmHg (che da solo determina un HACOR score > 5) dopo 3 giorni di ventilazione non-invasiva già di per sé può essere una valida indicazione all’intubazione (3,6,7), ma ancora di più se associato ad un volume corrente “folle” (20 ml/kg!), che, oltre a far prevedere il fallimento della ventilazione non-invasiva, rischia di sfasciare ancora di più i polmoni già gravemente danneggiati.


In merito all’intubazione tracheale nei pazienti con COVID-19 possiamo concludere che:

  • è indiscutibile in tutti quei casi in cui la ventilazione non-invasiva ha già fallito nel supporto della funzione respiratoria, pena la morte quasi certa del paziente

  • è altamente raccomandabile, per ridurre il rischio di morte, quando, nonostante la ventilazione non-invasiva, persistano dispnea, ipossiemia grave, tachipnea e acidosi respiratoria.

  •  i pazienti con COVID-19 meritano una tempestiva intubazione tracheale come i pazienti con qualsiasi altra malattia. Quando intubiamo pazienti che hanno “tirato troppo la corda” con la ventilazione non-invasiva, spesso ci troviamo di fronte all’immediata inefficacia anche della ventilazione invasiva. Dovremmo evitare questa situazione, quando possibile ovviamente. 

 

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab, sperando che il Santo Natale ci porti un po’ di serenità...



Bibliografia

1. Carrillo A, Gonzalez-Diaz G, Ferrer M, Martinez-Quintana ME, Lopez-Martinez A, Llamas N, Alcazar M, Torres A. Non-invasive ventilation in community-acquired pneumonia and severe acute respiratory failure. Intensive Care Med 2012;38:458–466.

2. Brochard L, Lefebvre J-C, Cordioli R, Akoumianaki E, Richard J-C. Noninvasive Ventilation for Patients with Hypoxemic Acute Respiratory Failure. Semin Respir Crit Care Med 2014;35:492–500.

3. Duan J, Han X, Bai L, Zhou L, Huang S. Assessment of heart rate, acidosis, consciousness, oxygenation, and respiratory rate to predict noninvasive ventilation failure in hypoxemic patients. Intensive Care Med 2017;43:192–199.

4. Antonelli M, Conti G, Moro M, Esquinas A, Gonzalez-Diaz G, Confalonieri M, Pelaia P, Principi T, Gregoretti C, Beltrame F, Pennisi M, Arcangeli A, Proietti R, Passariello M, Meduri G. Predictors of failure of noninvasive positive pressure ventilation in patients with acute hypoxemic respiratory failure: a multi-center study. Intensive Care Med 2001;27:1718–1728.

5. Rana S, Jenad H, Gay PC, Buck CF, Hubmayr RD, Gajic O. Failure of non-invasive ventilation in patients with acute lung injury: observational cohort study. Crit Care 2006;10:R79.

6. Carrillo A, Lopez A, Carrillo L, Caldeira V, Guia M, Alonso N, Renedo A, Quintana ME, Sanchez JM, Esquinas A. Validity of a clinical scale in predicting the failure of non-invasive ventilation in hypoxemic patients. J Crit Care 2020;60:152–158.

7. Carteaux G, Millán-Guilarte T, De Prost N, Razazi K, Abid S, Thille AW, Schortgen F, Brochard L, Brun-Buisson C, Mekontso Dessap A. Failure of Noninvasive Ventilation for De Novo Acute Hypoxemic Respiratory Failure: Role of Tidal Volume. Crit Care Med 2016;44:282–290.



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Analisi del monitoraggio della ventilazione meccanica: non ci sono alternative!

31 ott 2020

Oggi useremo il caso di Andrea, un sedicenne con stato di male asmatico, per esercitarci sull’analisi del monitoraggio grafico della ventilazione meccanica. L’analisi dettagliata del monitoraggio della ventilazione non è un esercizio di stile fine a se stesso, ma l’unica via per arrivare a capire davvero come funziona e come utilizzare sui pazienti la ventilazione meccanica. Prova a seguire passo passo, con pazienza il post: se alla fine sarà stato tutto chiaro ed evidente, significa che hai già un buon livello nella gestione della ventilazione meccanica. Se invece avrai incontrato qualche difficoltà, avrai certamente fatto una bella esperienza di analisi del monitoraggio grafico e se imparerai a ripeterla spesso, con costanza e curiosità, sarai sulla strada giusta per arrivare a padroneggiare la ventilazione meccanica, la terapia più frequentemente erogata nelle terapie intensive e con un acclarato effetto sulla mortalità.

Subito dopo l’intubazione tracheale di Andrea, la schermata del ventilatore è quella riprodotta in figura 1. 



Figura 1

Prova a rispondere alle seguenti domande, rilevando i dati necessari (ovviamente in maniera approssimativa) dalla schermata del monitoraggio grafico, e poi confronta le tue risposte con le mie che troverai di seguito:

  1. Quale è la modalità di ventilazione? 
  2. Quanto è il volume corrente? E’ un valore che è stato impostato?
  3. Quanto sono la pressione di picco e di plateau? Sono valori impostati?
  4. Quanta è la PEEP?
  5. Quale è la frequenza respiratoria? E’ quella che è stata impostata?
  6. Quale è la durata di tempo inspiratorio, tempo di pausa (se presente) e tempo espiratorio? Quanto è il rapporto I:E?
  7. Sono opportune delle variazioni nell’impostazione della ventilatore meccanica? (per completezza aggiungo che in questa condizione il pH era 7.37 e la PaCO2 43 mmHg)

Ecco le mie risposte, che potrai aiutarti a capire guardando la figura 2.


Figura 2

  1. È una ventilazione con flusso inspiratorio costante e pressione inspiratoria crescente (indicati rispettivamente con 1 e 2): l’unica modalità di ventilazione meccanica con queste caratteristiche è la ventilazione a volume controllato
  2. il volume corrente è di poco inferiore a 500 ml (3) (lo stimo in circa 480 ml), e nella ventilazione a volume controllato è sempre un valore impostato.
  3. La pressione di picco (Ppicco) è 29 cmH2O e la pressione di plateau (Pplat) 18 cmH2O. Nella ventilazione a volume controllato tutte le pressioni inspiratorie (e quindi anche Ppicco e Pplat) non sono impostate ma frutto dell’interazione paziente-ventilatore.
  4. La PEEP è 0 cmH2O
  5. La frequenza respiratoria è data da 60” divisi la durata del ciclo respiratorio (detta anche tempo totale, Ttot). Il ciclo respiratorio Ttot è identificato dall’inizio di una inspirazione (primo flusso positivo, cioè sopra la linea dello zero) all’inizio della successiva inspirazione e comprende una inspirazione completa ed una espirazione completa. Nel nostro caso Ttot è 5”, come indicato dalla parentesi graffa (che va dal quinto al decimo secondo sulla scala del tempo). Quindi la frequenza respiratoria è 60”/5” = 12/min. La frequenza è quella impostata perchè non si vede alcun segno di triggeraggio sulla curva di pressione.
  6. Il ciclo respiratorio è composto da: tempo inspiratorio (TI), identificato dal flusso superiore a zero, che nella figura 2 si vede essere un po’ più di 1” (stimiamo 1.1”, freccia a doppia punta verde); tempo di pausa (Tp), con il flusso sulla linea dello zero (freccia a doppia punta bianca), che dura poco più di mezzo secondo (stimiamo 0.6”); tempo espiratorio (Te) con il flusso sotto lo zero (freccia a due punte azzurra) della durata di 3.3”, cioè la differenza tra i 5” di Ttot e gli 1.7” derivanti dalla somma di TI e Tp. Il rapporto I : E è 1 : 1.94 [si calcola come 1 : Te/(TI+Tp)].
  7. Non sono necessarie variazioni dell’impostazione del ventilatore meccanico. E’ presente un po’ di autoPEEP (quantificata in 5 cmH2O con l’occlusione di fine espirazione), che però non determina una pressione di plateau elevata. Andrea è in ventilazione controllata e quindi non è necessario introdurre una PEEP esterna per ridurre il carico soglia.

Riassumendo, è stata impostata una ventilazione a volume controllato, con volume corrente di 480 ml, PEEP 0 cmH2O, frequenza respiratoria 12/min, I:E 1:1.94, tempo inspiratorio 1.1”, tempo di pausa 0.6”.

Nella figura 3 ti propongo la schermata di monitoraggio grafico dopo 30 minuti, mentre Andrea aveva ancora la stessa impostazione ventilatoria che abbiamo appena commentato. 

Figura 3


Che differenze trovi? Pensaci, e confrontale con la mia analisi che ti propongo di seguito. Se mi fosse sfuggito qualcosa, non esitare a scrivermelo in un commento.

Per guidarti nell’analisi ti propongo 5 nuove domande:

  1. Quale modalità di ventilazione si osserva? Qual è la frequenza respiratoria effettiva? E’ quella impostata?
  2. Andrea attiva il trigger inspiratorio?
  3. Quanto sono tempo inspiratorio, tempo di pausa e rapporto I:E? Sono cambiati? Se sì, perchè?
  4. Si sono modificate Ppicco e/o Pplat? Perchè?
  5. Modificheresti l’impostazione del ventilatore meccanico? Se sì, come e perchè?

Per seguire meglio il commento, guarda la figura 4, che riproduce la figura 3 con le mie annotazioni.



Figura 4






1) Modalità di ventilazione e frequenza respiratoria.

La modalità di ventilazione non è più una ventilazione a volume controllata, ma una  ventilazione assistita-controllata. La differenza tra le due modalità è che nella prima la frequenza respiratoria è quella impostata sul ventilatore, nella seconda è invece determinata, almeno in parte, dallo sforzo inspiratorio del paziente. Abbiamo due segni inequivocabili del fatto che la frequenza respiratoria ora è determinata dal paziente e non (solo) dal ventilatore:

  • attivazione del trigger inspiratorio. Nella figura vediamo chiaramente che l’inspirazione è attiva: l’inizio dello sforzo inspiratorio avviene già durante l’espirazione, nel momento in cui il flusso espiratorio cambia repentinamente pendenza per avvicinarsi più velocemente allo zero (freccia verticale bianca tratteggiata) (vedi post del 30/04/2019). 
  • aumento della frequenza respiratoria (rispetto a quella che abbiamo calcolato nella figura 2). Il Ttot si è ridotto da 5” a 4.1” (misurato sempre in modo ragionevolmente approssimato dalla numerazione sulla scala del tempo), nonostante la stessa impostazione della frequenza respiratoria. Se calcoliamo la frequenza respiratoria dal Ttot vediamo che è aumentata da 12/min a 14.6/min.

2) Trigger

La fase di trigger inspiratorio inizia con l’attivazione dei muscoli inspiratori (freccia bianca verticale tratteggiata) e termina con l’inizio del flusso inspiratorio con onda quadra di flusso (la successiva linea verticale rossa tratteggiata): è questo il tempo che il paziente “spreca” per riuscire ad ottenere dal ventilatore il flusso inspiratorio. Andrea ci mette circa 0.8” per ottenere il flusso inspiratorio, un tempo decisamente lungo se pensiamo che di solito in circa 1” si completa un’ispirazione spontanea fisiologica. Andrea utilizza questo periodo prima per interrompere l’espirazione (dalla freccia bianca alla linea azzurra tratteggiata), che se proseguisse passivamente impiegherebbe ancora diversi secondi per terminare, e poi per attivare il trigger (T0). Durante T0 vediamo un flusso bassissimo (teoricamente inferiore alla sensibilità del trigger a flusso*, vedi post del 22/05/2011). Una volta che finalmente il trigger a flusso è attivato, finalmente inizia l’inspirazione, cioè il flusso che il ventilatore invia ai polmoni (TI).

Perchè un tempo di trigger così lungo? Una manovra di occlusione di fine espirazione ha confermato che Andrea aveva mantenuto 5 cmH2O di autoPEEP, come quando era passivo. Ma ora, a differenza di prima, Andrea deve attivare il trigger. Con una PEEP 0 cmH2O, Andrea ha 5 cmH2O di carico soglia, cioè di sforzo inspiratorio che non produce flusso. L’autoPEEP che non era un problema in ventilazione controllata, lo diventa in ventilazione assistita-controllata.

In queste condizioni, l’aumento della PEEP a valori di poco inferiori all’autoPEEP può ridurre il carico soglia (vedi post del 17 aprile 2016), riducendo lo sforzo inspiratorio ed il tempo tra l’attivazione dei muscoli inspiratori e l’inizio del flusso inspiratorio.  

3) Il tempo inspiratorio, tempo di pausa e rapporto I:E.

Il ventilatore considera, erroneamente, tempo inspiratorio anche T0, perchè comunque rileva un flusso positivo, seppur minimo. Abbiamo conferma che T0 è contato come inspirazione dal fatto che TI impostato è rimasto 1.1 (lo abbiamo dedotto al precedente punto 6) e che tale durata è raggiunta sommando T0 e TI (figura 4). Ma in realtà abbiamo visto che T0 (che dura circa 0.3”) non è l’insufflazione che ci aspettiamo in risposta al trigger ma il flusso erogato durante la fase di triggeraggio. Il vero flusso inspiratorio si manifesta con l’inizio dell’onda quadra di flusso e della salita della pressione delle vie aeree (prima riga tratteggiata rossa). Il tempo insufflazione vero e proprio è quindi 0.8” (TI – T0).

Osserviamo ora il tempo di pausa Tp, che si è accorciato da 0.6” a circa 0.5” (nel confronto tra le figure 2 e 4 appare ben evidente). Può essere un dettaglio di scarsa rilevanza pratica la variazione di 0.1” nel tempo di pausa, ma è molto utile commentarlo perchè ci fa capire bene come funziona l’impostazione del Tp in questo ventilatore. Il ventilatore utilizzato richiede l’impostazione di un “%” di Pausa. In questo caso bisogna capire questo “%” di che cosa è la percentuale. Ci sono di norma due possibilità: o la % del TI o la % del Ttot. (Ogni ventilatore usa una delle due opzioni, ma solitamente non ci dice quale… Penso sempre che invece di fare le ventilazioni intelligenti per medici stupidi, forse le aziende che producono ventilatori dovrebbero impegnarsi a fare configurazioni utili per medici preparati.).

Nel caso di Andrea, Tp si accorcia a parità di % di Pausa impostata: poiché ciò che si riduce tra TI e Ttot è solo Ttot, appare evidente che con questo ventilatore meccanico il % di Pausa si riferisce al Ttot e non al TI. Verifichiamo quantitativamente la nostra interpretazione: nella figura 2, la pausa è 0.6” ed il Ttot 5”, cioè la % di Pausa è il 12% del Ttot. Nella figura 4, la pausa è 0.5” ed il Ttot 4.1”: la pausa è rimasta il 12% del Ttot. Essendo immodificata l’impostazione di Tp, abbiamo la conferma che il % si riferisce al Ttot.

Come esercizio, puoi verificare sui tuoi ventilatori meccanici se l’impostazione della pausa in volume controllato è in %, e qualora lo fosse, se si riferisce al TI o al Ttot. La prossima volta che imposterai la pausa, avrai chiarissimo a cosa si riferisce. Più si modifica la frequenza respiratoria, più la regolazione del tempo di pausa può avere un impatto importante nella ventilazione a volume controllato (non abbiamo il tempo di fare esempi in questo post, potrebbe essere l’argomento di un prossimo).

Il tempo espiratorio Te è ora diminuito da 3.3” a 2.5” ed il I:E è passato a 1:1.94 a 1:1.56.

4) L’aumento della pressione di picco.

Possiamo anche notare che la Ppicco è aumentata da 29 a 33 cmH2O senza un concomitante aumento della Pplat, che rimane a 18 cmH2O

La Ppicco è la somma di PEEP totale, pressione elastica e pressione resistiva (vedi post del 10/12/2016). Se PEEP totale e pressione di plateau non cambiano, dobbiamo concludere che ciò che aumenta è solo la pressione resistiva (Pres), cioè la differenza tra pressione di picco e pressione di plateau

La pressione resistiva è il prodotto tra le resistenze dell’apparato respiratorio (R) ed il flusso inspiratorio (V’I): Pres = V’I ∙ R. A cosa è dovuto l’aumento di pressione resistiva da 11 cmH2O (29 cmH2O – 18 cmH2O) nelle figure 1-2 a 15 cmH2O (33 cmH2O – 18 cmH2O) nelle figure 3-4?: a un aumento delle resistenze (ad esempio per peggioramento del broncospasmo) o ad un aumento del flusso o ad una modificazione di entrambi? 

La risposta si ottiene calcolando le resistenze: se queste restano costanti, l’aumento della pressione di picco non è dovuto ad un peggioramento del broncospasmo. Le resistenze si calcolano come: R = (Ppicco – Pplat)/V’I. Il flusso a sua volta può essere calcolato (se l’onda di flusso è quadra, come nel nostro caso) come volume corrente/TI. Per prima cosa calcoliamo nella figura 2 il V’I: 0.48 l / 1.1 s = 0.44 l/s (che equivale a 26 l/min, moltiplicandolo per 60, valore di cui troviamo conferma nella figura 2). Nella figura 4 il V’I è: 0.48 l / 0.8 s (il tempo in cui è presente l’onda quadra) = 0.60 l/s (che equivale a 36 l/min, come ci conferma la figura 4). 

Possiamo ora calcolare le resistenze nelle figure 1-2: R = (29 cmH2O – 18 cmH2O) / 0.44 l/s = 37 cmH2O/l/s. Le resistenze nelle figure 3-4 sono : R = (33 cmH2O – 18 cmH2O) / 0.60 l/s = 37 cmH2O/l/s. Le resistenze non sono cambiate, l’aumento di Ppicco è spiegato totalmente dall’aumento di flusso inspiratorio: il broncospasmo non sta peggiorando, non è prioritario aumentare la terapia broncodilatatrice.

5) Cambieresti l’impostazione del ventilatore meccanico?

, ora cambierei l’impostazione del ventilatore meccanico. Se mantenessi la stessa modalità di ventilazione meccanica: 

  1.  valuterei se l’applicazione di 3-4 cmH2O di PEEP migliora la fase di trigger (cioè ne riduce almeno la durata); 
  2.  aumenterei, se possibile, la sensibilità del trigger a flusso al suo valore massimo (per accorciare il T0); 
  3.  cercherei di ridurre il tempo inspiratorio, riducendo il TI o il Tp per favorire un’espirazione più lunga. Se riducessi il TI, accetterei serenamente l’aumento di Ppicco perchè secondario all’incremento di flusso inspiratorio (a parità di volume corrente) e quindi della sola Pres.

In conclusione, possiamo ancora  una volta verificare come si possa modificare in maniera appropriata la ventilazione meccanica solo con l’osservazione attenta del monitoraggio che essa ci offre. Se ci fossimo limitati a guardare i numeri del monitoraggio avremmo visto solamente l’aumento della frequenza da 12/min a 14.6/min e della Ppicco da 29 a 33 cmH2O. Con queste uniche variazioni a disposizione, non avremmo capito cosa stava succedendo e difficilmente avremmo potuto pensare a contromisure mirate.

Un caro saluto ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

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Cortisone: cura per la COVID-19 o per l’ARDS?

27 lug 2020

In questi giorni è stato pubblicato il trial randomizzato controllato (RCT) conosciuto con la sigla RECOVERY sulla terapia steroidea nella malattia da SARS-COV-2 (COVID-19). Le conclusioni dell’abstract dicono che il desametasone riduce la mortalità a 28 giorni nei pazienti con COVID-19 con ventilazione meccanica invasiva o in ossigenoterapia ma non nei pazienti senza alcun supporto respiratorio (“In patients hospitalized with Covid-19, the use of dexamethasone resulted in lower 28-day mortality among those who were receiving either invasive mechanical ventilation or oxygen alone at randomization but not among those receiving no respiratory support.“) (1).

Anche davanti ad un importante RCT come questo, è necessario conservare lo spirito critico tipico del metodo scientifico ed i risultati di questo studio devono essere integrati con le conoscenze che già abbiamo.

 

I limiti dei trial randomizzati e controllati.

Nonostante la fideistica fiducia nei RCT della evidence-based medicine, non esiste alcuna dimostrazione che il risultato positivo di un RCT sia la prova definitiva dell’efficacia di una terapia in una data malattia

La storia recente ci insegna che numerosi RCT su trattamenti nei pazienti critici, anche se pubblicati sulle più prestigiose riviste di medicina, sono stati poi smentiti nel volgere di pochi anni. Tra i trattamenti la cui efficacia è stata sancita da un RCT e poi sconfessata mi vengono in mente il controllo stretto della glicemia (2), la early-goal directed therapy nello shock settico per mantenere la ScvO2 > 70% (3), l’uso della proteina C attivata ricombinante umana nello shock settico (4) (successivamente ritirata dal commercio), l’infusione di cisatracurium nelle fasi iniziali della ARDS (5). Forse qualche altro esempio può venire in mente anche a te.

Non c’è nulla di strano nel fatto che un RCT venga smentito. Innanzitutto la sedicente evidence-based medicine è in realtà una probability-based medicine. Questo significa, semplificando, che ogni RCT positivo ha 1 probabilità su 20 di dimostrare efficace una terapia che in realtà non lo è. Ancora più elevata la probabilità che un RCT negativo escluda l’efficacia di un trattamento che in realtà è efficace: questo accade 1 volta su 5, nella migliore delle ipotesi. Questi errori intrinseci alla metodologia statistica vengono definiti errore di primo tipo (o errore alfa) ed errore di secondo tipo (o errore beta).

Inoltre i risultati dei RTC sono tipicamente caratterizzati da una scarsa validità esterna, cioè sono poco generalizzabili alla vita reale, non potendo essere necessatiamente considerati validi per pazienti con caratteristiche diverse, curati in contesti diversi ed in periodi storici diversi rispetto a quelli in cui si è svolto il RCT (6).

Questo non significa certamente che i RCT siano studi di scarso valore, tutt’altro. Semplicemente ci ricorda che i loro risultati sono importanti, ma non possono essere accettati, con atto di fede, come la risposta definitiva a un quesito clinico, ma devono integrarsi con le conoscenze che acquisiamo anche con altri tipi di studi. Non esistono studi perfetti, e i RCT non fanno eccezione.

 

Cortisone nella COVID-19: i dati del RCT.

Riprendiamo i risultati del RCT RECOVERY citato in apertura, che si è svolto in 176 ospedali della Gran Bretagna. Sono stati arruolati nello studio i pazienti con infezione sospetta o confermata da SARS-CoV-2. Alla fine il 15% dei pazienti randomizzati non aveva una diagnosi confermata di infezione da SARS-CoV-2, ma sospettata per la presenza di insufficienza respiratoria non cardiogena con addensamento parenchimale o vetro smerigliato al Rx torace (quindi di fatto qualsiasi tipo di polmonite). In questi casi la diagnosi era basata esclusivamente sull’opinione del medico curante (“the diagnosis remains a clinical one based on the opinion of the managing doctor”).

Dopo l’esclusione di 2000 (la maggior parte perché i medici curanti non ritenevano corretto randomizzarli per il trattamento con cortisone), quasi 6500 pazienti sono stati randomizzati per ricevere 6 mg di desametasone orale o endovenoso per 10 giorni o la usual care, cioè la cura normalmente utilizzata in quei 176 ospedali del Regno Unito.

Lo studio non è stato condotto in cieco, quindi i medici curanti sapevano chi stava ricevendo il desametasone e chi no: questo è oggettivamente un limite rilevante per qualsiasi RCT.

La terapia poteva iniziare in qualsiasi momento del ricovero ed in qualunque condizione clinica: alla randomizzazione il 16% dei pazienti era intubato, il 60% faceva ossigenoterapia o ventilazione non-invasiva (queste ultime due considerate come se fossero la stessa cosa) ed il 24% non riceveva nessun supporto respiratorio (nemmeno l’ossigenoterapia). 

Il risultato complessivo è stato la riduzione del 2.8% della mortalità a 28 giorni in chi faceva il desametasone (22.9% in chi ha fatto desametasone vs 25.7% in chi non ha ricevuto questa terapia) (figura 1, riquadro rosso).

La principale riduzione di mortalità si è verificata nei pazienti con ventilazione meccanica invasiva, in cui la mortalità con desametasone è stata il 29% a confronto del 41% dei pazienti con “usual care“.

Molto minore o assente l’efficacia nei pazienti con ossigenoterapia/ventilazione non-invasiva e senza supporti respiratori, che se considerati insieme non hanno avuto nessuna significativa differenza di mortalità (21.7% con desametasone e 22.7% con la usual care) (figura 1, riquadro blu).



Figura 1

 

 Il gruppo di controllo: la “usual care“.

Ora facciamoci una domanda: il desametasone è stato più efficace di che cosa nei pazienti in ventilazione meccanica invasiva? E’ stato più efficace rispetto alla usual care, cioè al trattamento usuale. A questo punto pare logico chiederci quale sia stata la ”usual care” nei 1007 sottoposti a ventilazione meccanica nei 176 ospedali che hanno partecipato al RECOVERY (per una media di 5-6 pazienti per ospedale): quali sono stati i criteri di intubazione, una volta iniziata la ventilazione meccanica che volume corrente, driving pressure, PEEP, pressione di plateau sono stati applicati, quanto spesso è stata usata la pronazione, se e come i pazienti hanno ricevuto miorilassanti, ecc. ecc.

Sappiamo bene che, anche nell’era della ventilazione protettiva, il 35% dei pazienti con ARDS riceve un volume corrente decisamente eccessivo (> 8 m/kg di peso corporeo ideale) e quasi l’80% superiore a 6 ml/kg di peso ideale (7). E sappiamo bene che un elevato volume corrente, PEEP non appropriata o stress index > 1 determinano un aumento delle citochine infiammatorie (8, 9). Lo steroide può aver un effetto anche su questa possibile fonte di infiammazione?

Sappiamo anche che la pronazione, anch’essa protettiva per lo stress polmonare (10–12), nella pratica clinica spesso non è utilizzata nei pazienti con ARDS grave (13). Quanto è stata utilizzata nei pazienti del RECOVERY?

Come abbiamo visto all’inizio del post, il risultato di un RCT dipende fortemente dalla ”usual care, cioè dal contesto in cui il risultato è stato ottenuto e dalla combinazione con gli altri trattamenti, elementi da cui dipende la sua generalizzabilità alla nostra pratica clinica: se non sappiamo quando e come sono stati ventilati i pazienti del RECOVERY trial, non potremo sapere quanto possano essere validi per noi questi risultati.

 

Steroide efficace nella ARDS o nella COVID-19?

Se il cortisonico fosse efficace nella COVID-19, avrebbe dovuto ridurre la mortalità in tutti i pazienti, non solo in quelli sottoposti a ventilazione meccanica invasiva. Perchè ha funzionato molto bene solo nei pazienti intubati e ventilati e poco o nulla negli altri?

Chi ha visto i pazienti con COVID-19 che arrivano alla ventilazione meccanica invasiva sa bene che, a questo stadio, hanno una polmonite bilaterale. E quindi una ARDS (per la diagnosi di ARDS ti rimando al post del 24/06/2012).

Mi sembra logico dedurre che i risultati del RECOVERY supportino l’efficacia della terapia steroidea nella ARDS. Il risultato è tutt’altro che innovativo, visto che la terapia con steroidi nella ARDS era già raccomandata dalle linee-guida congiunte dell società americana ed europea di Terapia Intensiva (14) e confermata nella sua efficacia da un recente RCT nei pazienti con ARDS (15).

Il merito del RECOVERY è stato quello di fugare le perplessità sull’uso degli steroidi nei pazienti con COVID-19 quando sviluppano una ARDS. Inizialmente l’utilizzo degli steroidi nella COVID-19 era sconsigliato nel timore che potesse ridurre la clearance virale (16). I risultati del trial RECOVERY confermano questo timore nei pazienti senza grave insufficienza respiratoria (che hanno una mortalità del 15-20%), ma mostrano che quando compare una ARDS il beneficio supera il rischio. E’ quindi giustificato dare lo steroide nella ARDS anche secondaria a COVID-19.

 

Conclusione.

Il risultato del RCT RECOVERY purtroppo ci mostra che la terapia steroidea non è efficace per la COVID-19, altrimenti avrebbe ridotto la mortalità in tutti i livelli di gravità della malattia.

Questo studio ci conferma che  lo steroide è efficace nella ARDS, anche quando secondaria a COVID-19

L’efficacia del desametasone nella ARDS da COVID-19 è valida quando i pazienti sono trattati secondo la usual care (indicazioni all’intubazione, volumi e pressioni di ventilazione, farmaci associati, ecc. ecc.) del RECOVERY, che purtroppo non ci è dato conoscere… (almeno per il momento). Quindi non è detto che questi risultati siano riproducibili in ospedali con organizzazione ed “usual care” diversa da quella degli ospedali britannici che hanno partecipato al trial.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab. E buone vacanze! Quest’anno ce le meritiamo proprio 🙂

 

Bibliografia

  1. The RECOVERY Collaborative Group. Dexamethasone in Hospitalized Patients with Covid-19 — Preliminary Report. N Engl J Med 2020;NEJMoa2021436.doi:10.1056/NEJMoa2021436.
  2. van den Berghe, G, Wouters P, Weekers F, Verwaest C, Bruyninckx F, Schetz M, Vlasselaers D, Ferdinande P, Lauwers P, Bouillon R. 110801 Intensive Insulin Therapy in Critically Ill Patients. N Engl J Med 2001;345:1359–1367.
  3. Rivers E, Nguyen B, Havstad S, Ressler J, Muzzin A, Knoblich B, Peterson E, Tomlanovich M. Early Goal-Directed Therapy in the Treatment of Severe Sepsis and Septic Shock. N Engl J Med 2001;345:1368–1377.
  4. Bernard GR, Dhainaut J-F, Helterbrand JD. Efficacy and Safety of Recombinant Human Activated Protein C for Severe Sepsis. N Engl J Med 2001;344:699–709.
  5. Papazian L, Forel J, Gacouin A, Penot-Ragon C, Gilles P, Loundou A, Jaber S, Arnal J, Perez D, Seghboyan J, Constantin J, Courant P, Lefrant J, Claude G, Prat G, Morange S, Roch A. Neuromuscular Blockers in Early Acute Respiratory Distress Syndrome. N Engl J Med 2010;363:1107–1116.
  6. Frieden TR. Evidence for Health Decision Making — Beyond Randomized, Controlled Trials. In: Drazen JM, Harrington DP, McMurray JJV, Ware JH, Woodcock J, editors. N Engl J Med 2017;377:465–475.
  7. Bellani G, Laffey JG, Pham T, Fan E, Brochard L, Esteban A, Gattinoni L, van Haren F, Larsson A, McAuley DF, Ranieri M, Rubenfeld G, Thompson BT, Wrigge H, Slutsky AS, Pesenti A, for the LUNG SAFE Investigators and the ESICM Trials Group. Epidemiology, Patterns of Care, and Mortality for Patients With Acute Respiratory Distress Syndrome in Intensive Care Units in 50 Countries. JAMA 2016;315:788.
  8. Ranieri VM, Suter PM, Tortorella C, Tullio RD, Dayer JM, Brienza A, Bruno F, Slutsky AS. Effect of Mechanical Ventilation on Inflammatory Mediators in Patients with Acute Respiratory Distress Syndrome: A Randomized Controlled Trial: JAMA 2000;44:11–12.
  9. Terragni PP, Filippini C, Slutsky AS, Birocco A, Tenaglia T, Grasso S, Stripoli T, Pasero D, Urbino R, Fanelli V, Faggiano C, Mascia L, Ranieri VM. Accuracy of Plateau Pressure and Stress Index to Identify Injurious Ventilation in Patients with Acute Respiratory Distress Syndrome: Anesthesiology 2013;119:880–889.
  10. Mentzelopoulos SD. Prone position reduces lung stress and strain in severe acute respiratory distress syndrome. Eur Respir J 2005;25:534–544.
  11. Cornejo RA, Díaz JC, Tobar EA, Bruhn AR, Ramos CA, González RA, Repetto CA, Romero CM, Gálvez LR, Llanos O, Arellano DH, Neira WR, Díaz GA, Zamorano AJ, Pereira GL. Effects of Prone Positioning on Lung Protection in Patients with Acute Respiratory Distress Syndrome. Am J Respir Crit Care Med 2013;188:440–448.
  12. Galiatsou E, Kostanti E, Svarna E, Kitsakos A, Koulouras V, Efremidis SC, Nakos G. Prone Position Augments Recruitment and Prevents Alveolar Overinflation in Acute Lung Injury. Am J Respir Crit Care Med 2006;174:187–197.
  13. Guérin C, Gurjar M, Bellani G, Garcia-Olivares P, Roca O, Meertens JH, Maia PA, Becher T, Peterson J, Larsson A, Gurjar M, Hajjej Z, Kovari F, Assiri AH, Mainas E, Hasan MS, Morocho-Tutillo DR, Baboi L, Chrétien JM, François G, Ayzac L, Chen L, Brochard L, Mercat A, for the investigators of the APRONET Study Group, the REVA Network, the Réseau recherche de la Société Française d’Anesthésie-Réanimation (SFAR-recherche) and the ESICM Trials Group. A prospective international observational prevalence study on prone positioning of ARDS patients: the APRONET (ARDS Prone Position Network) study. Intensive Care Med 2018;44:22–37.
  14. Annane D, Pastores SM, Rochwerg B, Arlt W, Balk RA, Beishuizen A, Briegel J, Carcillo J, Christ-Crain M, Cooper MS, Marik PE, Meduri GU, Olsen KM, Rodgers SC, Russell JA. Guidelines for the Diagnosis and Management of Critical Illness-Related Corticosteroid Insufficiency (CIRCI) in Critically Ill Patients (Part I): Society of Critical Care Medicine (SCCM) and European Society of Intensive Care Medicine (ESICM) 2017. Crit Care Med 2017;45:11.
  15. Villar J, Ferrando C, Martínez D, Ambrós A, Muñoz T, Soler JA, Aguilar G, Alba F, González-Higueras E, Conesa LA, Martín-Rodríguez C, Díaz-Domínguez FJ, Serna-Grande P, Rivas R, Ferreres J, Belda J, Capilla L, Tallet A, Añón JM, Fernández RL, González-Martín JM, Aguilar G, Alba F, Álvarez J, Ambrós A, Añón JM, Asensio MJ, Belda J, Blanco J, et al. Dexamethasone treatment for the acute respiratory distress syndrome: a multicentre, randomised controlled trial. Lancet Respir Med 2020;S2213260019304175.doi:10.1016/S2213-2600(19)30417-5.
  16. World Health Organization. Clinical management of severe acute respiratory infection (SARI) when COVID-19 disease is suspected. Interim guidance 13 March 2020. 2020;at <https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/clinical-management-of-novel-cov.pd>.
 
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