Corsi Ventilab 2024

10 dic 2023

La preparazione dei corsi ventilab 2024 è ormai ultimata, puoi vedere la programmazione degli eventi già in calendario nella pagina "I prossimi corsi Ventilab", in cui troverai tutte le informazioni.

Finita questa fase di lavoro, riprenderanno, dopo una breve pausa, anche i post di ventilab. Come tutte le pause, mi auguro sia stata salutare per tutti: un po' di silenzio dona nuovo vigore.

Colgo l'occasione per augurare buon Natale a te e tutti i tuoi cari.

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Perfusione tissutale e shock

8 ago 2023

Abbiamo capito nel post precedente che la pressione arteriosa (in particolare il valore della pressione arteriosa media) è un dato semplice da rilevare ma, da solo, di scarsa utilità clinica nel paziente con shock perché non ha una diretta relazione con la perfusione tissutale, come evidente dalla fisiologia e dimostrato dagli studi clinici.

Pertanto dobbiamo sempre valutare l’adeguatezza della pressione arteriosa alla luce di indicatori di perfusione tissutale: se questi ultimi sono nella norma, possiamo essere soddisfatti del risultato raggiunto indipendentemente dal valore di pressione arteriosa media. Se invece esistono segni di ipoperfusione tissutale dobbiamo verificare se possono essere corretti da un miglioramento della funzione cardiovascolare, anche qualora i tradizionali obiettivi pressori (pressione arteriosa media > 65 mmHg) siano stati raggiunti.

L’ipoperfusione tissutale.

Riprendiamo la piccola storia di Mario e Pippo che abbiamo presentato nel post precedente. Per capire se il livello di pressione arteriosa è accettabile dobbiamo aggiungere qualche dato sulla perfusione tissutale. Ricordiamo che entrambi i pazienti sono nelle primissime fasi di trattamento dell’ipotensione, sono stati trattati solo con una prima espansione volemica e non abbiamo perciò ancora a disposizione un catetere venoso centrale:

  • Mario (45 anni, senza malattie croniche, pressione media 58 mmHg): cute rosea, calda e asciutta; diuresi dell’ultima ora 40 ml; lattato arterioso 1.2 mmol/L
  • Pippo (iperteso di 75 anni, pressione arteriosa media 67 mmHg): diuresi dell’ultima ora 10 ml; lattato arterioso 3.9 mmol/L; cute fredda al tatto, se la se si comprime con un dito sulla patella, al rilascio della compressione il colore iniziale viene recuperato dopo oltre 10”
Nei due pazienti abbiamo preso in considerazione tre semplici segni di perfusione tissutale, uno globale (il lattato arterioso) e due distrettuali (la diuresi come segno di perfusione renale ed il refill capillare per valutare la perfusione cutanea):

 -  Iperlattacidemia. Un’insufficiente trasporto di ossigeno o una disfunzione microcircolatoria regionale possono causare ipossia tissutale e iperlattacidemia. La mancata riduzione e/o un valore elevato del lattato arterioso (soprattutto entro le prime 24 ore di ricovero) si associano pertanto ad un rischio di morte aumentato (1,2), anche in assenza l’ipotensione (3-5).

- Oliguria. L’oliguria deve essere valutata in maniera differente nella fase precoce rispetto alle fase tardiva dello shock. 

Nella fase precoce la diuresi dipende principalmente dalla perfusione renale (nei pazienti con normale funzione renale) e pertanto l’oliguria è segno di ipoperfusione renale (la classica insufficienza renale da malattia pre-renale). Durante le prime sei ore di shock una riduzione della diuresi al di sotto di 0.5 ml.kg-1.h-1 si associa ad un aumentato rischio di morte (6,7). 

Nelle fasi più tardive il significato della diuresi può essere diverso. Una grave e/o prolungata ipoperfusione renale, la sepsi ed altre forme di infiammazione sistemica possono determinare una necrosi tubulare acuta (cioè una insufficienza renale da malattia renale), una condizione in cui l’oliguria può diventare il marker della malattia renale più che un segno di ipoperfusione renale. Terminata la fase precoce dello shock, la soglia di diuresi che si associa ad un incremento del rischio di morte si abbassa a 0.2-0.3 ml.kg-1.h-1 (8,9), l'oliguria non è necessariamente segno di ipoperfusione ed il suo trattamento, se opportuno, deve prendere in considerazione anche i diuretici.

- Tempo di refill capillare. Il tempo di refill capillare è un indice di perfusione cutanea. Si misura in maniera molto semplice al letto del paziente comprimendo con un dito la cute sopra la patella per 15” (anche il letto ungueale dell’esaminatore deve diventare pallido per assicurare una sufficiente compressione): dopo aver rilasciato la compressione si rileva il tempo necessario per tornare al normale colore della cute sopra la patella. Un tempo prolungato, superiore a 5”, denota una ipoperfusione della cute ed anch’esso si associa ad un aumentato rischio di morte (10). Esiste un altro indice clinico di perfusione cutanea, il mottling score, che valuta la presenza di marezzatura sugli arti inferiori (6,7). Nella mia personale esperienza clinica però ritengo che un mottling score > 2 (marezzatura che si estende oltre la patella) sia un segno di probabile prognosi infausta più che un'utile guida per capire se il livello di pressione arteriosa ottenuto con il supporto di circolo sia appropriato o meno.

Cosa fare in presenza di ipoperfusione tissutale.

Dopo l’iniziale idratazione Mario, non ha alcun segno clinico che lasci pensare ad un insufficiente flusso di sangue verso i tessuti, nonostante il mancato raggiungimento del target pressorio minimo raccomandato. Possiamo pensare che il supporto di circolo sia sufficiente e non ritenere indispensabile fare di tutto per arrivere a questi benedetti 65 mmHg di pressione arteriosa media.

Al contrario Pippo, nonostante il raggiungimento dell’obiettivo pressorio solitamente raccomandato, ha persistenti segni di ipoperfusione tissutale polidistrettuale (oliguria, iperlattacidemia, aumentato tempo di refill capillare) e merita sicuramente di proseguire con l'intervento terapeutico a sostegno del circolo

Possiamo sinteticamente articolare in due livelli la possibile strategia di escalation terapeutica: 
  1. per prima cosa si può aumentare il target pressorio (ad esempio raggiungere una pressione arteriosa media di almeno 75-80 mmHg), soprattutto considerando che Pippo è un iperteso. In caso di ipertensione arteriosa, la perfusione degli organi (in particolare del rene) ha probabilmente una soglia di autoregolazione aumentata e quindi una pressione arteriosa “normale” può essere insufficiente a garantire una buona perfusione renale e ridurre la probabilità di evoluzione verso la necrosi tubulare acuta (11). L’ulteriore incremento della pressione può essere ottenuto sia con altri fluidi e/o con vasocostrittori, in relazione all’anamnesi, all’obiettività clinica ed alla valutazione ecografica;
  2. se l'aumento di pressione arteriosa non ottenesse un miglioramento clinicamente rilevabile della perfusione tissutale, un monitoraggio emodinamico avanzato diventerebbe assolutamente raccomandato. In questo modo si può capire se l’ipoperfusione può essere trattata con un aumento di portata cardiaca e se è più corretto utilizzare (ed a quale dosaggio) fluidi, vasocostrittori, vasodilatatori o inotropi per la prosecuzione del supporto di circolo. Questo argomento è decisamente complesso per essere affrontato in coda a questo post.

Per finire, in un soggetto come Pippo, con fattori di rischio per malattia cardiovascolare, terrei sotto osservazione anche pressione arteriosa diastolica ed elettrocardiogramma. Infatti una ipotensione diastolica persistente potrebbe portare a fenomeni di ischemia miocardica rilevabili con il tracciato elettrocardiografico (12).

Conclusioni

Come di consueto, concludiamo il post con una breve sintesi dei punti salienti:

  • La valutazione della perfusione tissutale è fondamentale indipendentemente dal raggiungimento di una pressione arteriosa media > 65 mmHg
  • Ci sono semplici segni di ipoperfusione tissutale che possono essere rilevati facilmente anche senza monitoraggi sofisticati: iperlattacidemia, oliguria, allungamento del tempo di refill capillare;
  • L’oliguria è segno di ipoperfusione tissutale solo nelle fasi precoci dello shock, quando l’insufficienza renale è pre-renale, mentre nelle fasi tardive può diventare marker di insufficienza renale;
  • In caso di ipoperfusione tissutale in soggetti ipertesi con pressione arteriosa media > 65 mmHg è ragionevole aumentare il target pressorio a valori più altri (75-80 mmHg)
  • Se persiste l’ipoperfusione tissutale nonostante il raggiungimento di un obiettivo pressorio individualizzato, il supporto di circolo deve proseguire con monitoraggio avanzato che consenta di valutare l'appropriatezza della portata cardiaca e del trasporto di ossigeno.

Un sorriso e buon Ferragosto a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1) Vincent J-L, Quintairos e Silva A, Couto L, et al.: The value of blood lactate kinetics in critically ill patients: a systematic review. Crit Care 2016; 20:257
2) Hayashi Y, Endoh H, Kamimura N, et al.: Lactate indices as predictors of in-hospital mortality or 90-day survival after admission to an intensive care unit in unselected critically ill patients. PLoS ONE 2020; 15:e0229135
3) Shankar-Hari M, Phillips GS, Levy ML, et al.: Developing a new definition and assessing new clinical criteria for septic shock: for the third international consensus definitions for sepsis and septic shock (Sepsis-3). JAMA 2016; 315:775
4) Gotmaker R, Peake SL, Forbes A, et al.: Mortality is greater in septic patients with hyperlactatemia than with refractory hypotension. Shock 2017; 48:294–300; 
5) April MD, Donaldson C, Tannenbaum LI, et al.: Emergency department septic shock patient mortality with refractory hypotension vs hyperlactatemia: A retrospective cohort study. Am J Emerg Med 2017; 35:1474–1479
6) Ait-Oufella H, Lemoinne S, Boelle PY, et al.: Mottling score predicts survival in septic shock. Intensive Care Med 2011; 37:801–807
7) Dumas G, Lavillegrand J-R, Joffre J, et al.: Mottling score is a strong predictor of 14-day mortality in septic patients whatever vasopressor doses and other tissue perfusion parameters. Crit Care 2019; 23:211
8) Md Ralib A, Pickering JW, Shaw GM, et al.: The urine output definition of acute kidney injury is too liberal. Crit Care 2013; 17:R112
9) Bianchi NA, Altarelli M, Monard C, et al.: Identification of an optimal threshold to define oliguria in critically ill patients: an observational study. Crit Care 2023; 27:207
10) Ait-Oufella H, Bige N, Boelle PY, et al.: Capillary refill time exploration during septic shock. Intensive Care Med 2014; 40:958–964
11) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus low blood-pressure target in patients with septic shock. N Engl J Med 2014; 370:1583–1593
12) Owens P, O’Brien E: Hypotension in patients with coronary disease: can profound hypotensive events cause myocardial ischaemic events? Heart 1999; 82:477–481

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Corso "La pressione esofagea: come utilizzarla durante la ventilazione meccanica."

13 giu 2023
Alla pagina “I prossimi corsi Ventilab” troverai il calendario aggiornato dei corsi del secondo semestre 2023. 
Accogliendo la richiesta di un gruppo di colleghi, abbiamo aggiunto alla programmazione il corso "La pressione esofagea: come utilizzarla durante la ventilazione meccanica", che si terrà il 13-14 ottobre 2023 nell'ospedale di Verduno in provincia di Cuneo. 

La letteratura scientifica è ormai ricca di dati a supporto dell’utilità della pressione esofagea nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, cosa che trova peraltro conferma nella nostra pratica clinica dopo quasi 20 anni di utilizzo nei pazienti con ARDS o in quelli con weaning prolungato. Per questi motivi la pressione esofagea ha sempre avuto uno spazio fin dai primi eventi formativi proposti dal nostro gruppo. 
Ora i tempi sono maturi per dedicare alla pressione esofagea un corso monotematico. A Verduno affronteremo sia gli aspetti tecnici, fondamentali per una corretta rilevazione del segnale, che quelli clinici, con tutte le possibili applicazioni della pressione esofagea nei pazienti con insufficienza respiratoria. Se pensi di poter essere interessato all'argomento clicca qui per per avere tutte le informazioni, scaricare il programma ed eventualmente iscriverti.

A tutti gli amici di ventilab, come sempre un sorriso e buona estate!
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Pressione arteriosa media e shock

4 giu 2023

Mario e Pippo hanno un'infezione che ha determinato anche ipotensione. Dopo una prima somministrazione di fluidi, si presentano così:

- Mario, 45 anni, senza malattie croniche. Pressione arteriosa: 78/48 mmHg (pressione arteriosa media 58 mmHg). 

- Pippo, 75 anni, in terapia per ipertensione arteriosa. Pressione arteriosa: 95/50 mmHg (pressione arteriosa media 67 mmHg).

Alla luce di queste pochissime informazioni, proviamo comunque a farci due domande:

1) Questi dati sono sufficienti per decidere se intervenire per aumentare, ed eventualmente di quanto, la pressione arteriosa di Mario e/o Pippo?

2) Ritieni ci siano altri dati da valutare per poter rispondere alla domanda? 

Prima di tentare di rispondere a queste domande, consideriamo sia i dati degli studi clinici sulla pressione arteriosa nello shock settico che le basi fisiologiche della pressione arteriosa.

Cosa dicono gli studi clinici.

L’ultima edizione delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign raccomanda che, negli adulti con shock settico, la pressione arteriosa media sia inizialmente mirata a raggiungere 65 mmHg (rispetto a target più elevati) (1).

Gli studi clinici nei pazienti con shock settico però, se valutati nel loro complesso, non supportano l’idea che ci sia un valore soglia di pressione arteriosa media da raggiungere.

Preliminarmente dobbiamo considerare che non è stato studiato l’impatto clinico  e fisiologico di valori di pressione arteriosa media inferiore a 60-65 mmHg: pertanto il valore di 65 mmHg deve essere considerato come il minore tra quelli studiati. 

Quando i 65 mmHg di pressione arteriosa media sono confrontati con valori più elevati (per lo più tra 75 e 85 mmHg), gli studi raggiungono conclusioni contrastanti: in alcuni casi non vi sono differenze, in altri casi probabilmente può essere più favorevole mantenersi su valori più bassi, in altri ancora sembra più favorevole avere più elevati livelli di pressione (2-8).

Se consideriamo nel loro complesso questi risultati discordanti, si dovrebbe far strada l’idea che probabilmente la pressione arteriosa media sia un obiettivo poco importante nel supporto cardiovascolare dei pazienti con sepsi. 

La pressione arteriosa, note fisiologiche.

La pressione arteriosa durante il ciclo cardiaco.

Una premessa: nel nostro ragionamento ignoreremo completamente la riflessione retrograda dell’onda pressoria, un aspetto molto importante nella formazione dell'onda di pressione arteriosa ma la cui omissione non modifica il senso del ragionamento che faremo.

La pressione arteriosa è il risultato dello stiramento delle fibre elastiche della parete arteriosa da parte del volume di sangue in essa contenuto. 

Il volume di sangue contenuto in un’arteria in un determinato istante è dato dall’equilibrio dinamico tra due flussi, uno in arrivo dal cuore ed uno in uscita verso il circolo più periferico

In sistole questi due flussi sono contemporaneamente presenti, cioè nello stesso istante arriva sangue dal cuore ed esce sangue verso il circolo periferico. Nella fase iniziale della sistole (area rossa nella fig. 1), la pressione aumenta perché il volume di sangue nell’arteria aumenta, cioè il flusso in arrivo è maggiore del flusso in uscita

Figura 1
Questo aumento di volume viene accolto dalla espansione sistolica dell’arteria che raggiunge il suo massimo al picco sistolico (figura 2).

Figura 2
Con il proseguire della sistole oltre il picco sistolico, il calo di pressione significa che il volume ematico dell’arteria diminuisce: continua il flusso in arrivo, ma ora il flusso in uscita lo supera (area grigia nella figura 1).

L’incisura dicrota segna il passaggio dalla sistole alla diastole (area lilla nella figura 1): la chiusura della valvola aortica fa cessare il flusso in arrivo all’arteria e rimane solo il flusso in uscita. La pressione arteriosa in diastole pertanto esprime l’interazione tra vaso arterioso e circolo periferico, a differenza della pressione arteriosa in sistole che include anche l’accoppiamento con la pompa cardiaca.

Il flusso diastolico dall’arteria verso il circolo periferico è spinto dal ritorno elastico della parete arteriosa contro il volume di sangue in essa contenuto (figura 3) ed ostacolato dalla pressione a valle

Figura 3

Cerchiamo ora di capire il significato di questa pressione a valle, elemento fondamentale anche per la corretta interpretazione della pressione arteriosa media. 

Di solito la diastole dura meno di 1 secondo ed è interrotta dalla nuova sistole. Ipotizziamo di poter prolungare la diastole per parecchi secondi in modo tale da completare il deflusso del sangue arterioso verso il circolo capillare ed arrivare ad azzerare il flusso arterioso. A quanto pensiamo possa scendere la pressione arteriosa durante questa ipotetica maxi-diastole? E’ stato dimostrato teoricamente e sperimentalmente che la riduzione della pressione arteriosa diastolica si ferma a valori ben superiori a quelli delle pressioni venose, dell’ordine dei 25-50 mmHg (9-11). Si ritiene che questa sia una pressione critica di chiusura, al di sotto della quale il flusso cessa e di conseguenza la perfusione tissutale si arresta.

A questo punto appare chiaro che tutta la quota di pressione arteriosa diastolica al di sotto della pressione critica di chiusura non dovrebbe essere considerata come pressione di perfusione.

Inoltre la pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche, principalmente localizzate a livello arteriolare precapillare. Ne consegue che la pressione arteriosa diastolica può ridursi lentamente (e quindi rimanere elevata) perché c’è vasocostrizione arteriolare che ostacola il deflusso (e la perfusione tissutale) oppure può ridursi rapidamente (e quindi diventare subito bassa) se c’è vasodilatazione, con flusso e perfusione verso i tessuti facilitati.

E' quindi evidente che solo una parte della pressione arteriosa diastolica (quella al di sopra della pressione critica di chiusura) genera flusso, e che questa parte di pressione arteriosa diastolica può addirittura avere una relazione inversa con il flusso.

Diversamente dalla pressione diastolica, la pressione pulsatoria (cioè l’incremento sistolico della pressione) è direttamente correlata alla gittata sistolica e quindi alla portata cardiaca ed alla perfusione. Ovviamente l’entità della correlazione tra pressione pulsatoria e stroke volume dipende dalla compliance arteriosa, generando ad esempio lo stesso stroke volume una pressione pulsatoria che aumenta parallelamente con l’età. 

La pressione arteriosa media

Nella figura 4 vediamo riprodotta una curva di pressione arteriosa “normale”, con pressione sistolica (PAS) 122 mmHg, diastolica (PAD) 80 mmHg. La pressione pulsatoria (PP) è 42 mmHg. 

Figura 4
La pressione arteriosa media è la media della pressione arteriosa durante un intero ciclo cardiaco (sistole e diastole), ed è misurata dividendo l’area sotto curva di pressione durante un ciclo cardiaco per la durata del ciclo (area rossa che equivale all’area grigia della figura 4). Quando la rilevazione della pressione è molto frequente (ad esempio durante il monitoraggio invasivo che ha almeno 100 campionamenti al secondo), la pressione arteriosa media è molto ben approssimata dalla media aritmetica di tutti i valori pressori rilevati durante il ciclo cardiaco.

La pressione arteriosa media (PAM) può anche essere stimata (approssimativamente) utilizzando l’equazione

$$ PAM = PAD + \cfrac{1}{3} \cdot PP ~~~(eq.~1) $$ 

Nell’esempio in figura 1 si calcola una PAM di 94 mmHg.

Si può ben vedere sia dalla valutazione grafica nella figura 4 che dalla equazione 1, che la pressione arteriosa media è principalmente determinata dalla pressione arteriosa diastolica e molto meno da quella pulsatoria. Nel nostro esempio, dei 94 mmHg di pressione media, ben l'85% è dovuto alla diastolica (80 mmHg) e solo il 15% alla pressione di pulsazione (gli altri 14 mmHg).

La pressione arteriosa media mette insieme pressione diastolica e pulsatoria, che però dal punto di vista fisiopatologico ed emodinamico hanno significati molto diversi ed in essa è preponderante il peso della diastolica, la parte di pressione arteriosa meno correlata con la perfusione tissutale.

Anche alla luce di queste considerazioni non stupisce che gli studi clinici non abbiano portato a trovare un chiaro obiettivo di pressione arteriosa media nel trattamento dei pazienti con shock.

Torniamo a Mario e Pippo...

Ora possiamo rispondere alla prima domanda delle due domande iniziali, quella che chiede se e quanto dobbiamo modificare la pressione arteriosa a Mario (quarantacinquenne sano con 58 mmHg di pressione arteriosa media) e/o a Pippo (settantacinquenne iperteso con 67 mmHg di pressione arteriosa media). La risposta è sconfortantemente semplice: non abbiamo dati sufficienti per prendere una decisione. La pressione arteriosa è un dato semplice da rilevare ma di poca utilità clinica nel paziente con shock. La pressione arteriosa sia di Mario che di Pippo potrebbe essere sufficiente alla perfusione di organi e tessuti come potrebbe essere insufficiente.

Dobbiamo necessariamente avere altre informazioni per decidere se e cosa fare. Questa sarebbe la seconda domanda a cui rispondere, ma questo post è già diventato molto corposo: vale la pena fare una pausa e continuare nel prossimo.

Conclusioni

Per ora riassumiamo i concetti principali del post di oggi:

- Il raggiungimento di una pressione arteriosa media di 65 mmHg è indicato come obiettivo di trattamento nel paziente con ipotensione secondaria ad infezione ma la letteratura porta a conclusioni contrastanti;

- La pressione pulsatoria è funzione anche dello stroke volume, che è la base della portata cardiaca ed è quindi un elemento importante per la perfusione periferica;

- La pressione arteriosa diastolica è dipendente dalle resistenze vascolari periferiche e dalla pressione critica di chiusura, elementi che limitano il flusso verso i tessuti;

- Nel calcolo della pressione arteriosa media è preponderante il peso della pressione diastolica rispetto a quello della pressione pulsatoria. Poiché la perfusione (portata cardiaca) è funzione della pressione pulsatoria e non della diastolica, è ragionevole pensare che la pressione arteriosa media sia un indice di perfusione poco affidabile. Alla luce di queste considerazioni si comprende bene l'inconcludenza degli studi clinici alla ricerca della “giusta” pressione arteriosa media.

- Per valutare l’adeguatezza dell'emodinamica nei pazienti con shock è indispensabile considerare sempre altri indici di perfusione accanto alla misurazione della pressione arteriosa.

Come sempre, un caro saluto ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia.

1) Evans L, Rhodes A, Alhazzani W, et al.: Surviving sepsis campaign: international guidelines for management of sepsis and septic shock 2021. Intensive Care Med 2021; 47:1181–1247

2) LeDoux D, Astiz ME, Carpati CM, et al.: Effects of perfusion pressure on tissue perfusion in septic shock: Crit Care Med 2000; 28:2729–2732

3) Bourgoin A, Leone M, Delmas A, et al.: Increasing mean arterial pressure in patients with septic shock: Effects on oxygen variables and renal function: Crit Care Med 2005; 33:780–786

4) Thooft A, Favory R, Salgado D, et al.: Effects of changes in arterial pressure on organ perfusion during septic shock. Crit Care 2011; 15:R222

5) Asfar P, Meziani F, Hamel J-F, et al.: High versus Low Blood-Pressure Target in Patients with Septic Shock. N Eng J Med 2014; 370:1583–1593

6) Lamontagne F, Meade MO, Hébert PC, et al.: Higher versus lower blood pressure targets for vasopressor therapy in shock: a multicentre pilot randomized controlled trial. Intensive Care Medicine 2016; 42:542–550

7) Lamontagne F, Richards-Belle A, Thomas K, et al.: Effect of reduced exposure to vasopressors on 90-day mortality in older critically ill patients with vasodilatory hypotension: a randomized clinical trial. JAMA 2020; 323:938

8) Maheshwari K, Nathanson BH, Munson SH, et al.: The relationship between ICU hypotension and in-hospital mortality and morbidity in septic patients. Intensive Care Med 2018; 44:857–867

9) Permutt S, Riley RL: Hemodynamics of collapsible vessels with tone: the vascular waterfall. J Appl Physiol 1963; 18:924–932

10) Kottenberg-Assenmacher E, Aleksic I, Eckholt M, et al.: Critical closing pressure as the arterial downstream pressure with the heart beating and during circulatory arrest: Anesthesiology 2009; 110:370–379

11) Maas JJ, de Wilde RB, Aarts LP, et al.: Determination of vascular waterfall phenomenon by bedside measurement of mean systemic filling pressure and critical closing pressure in the intensive care unit: Anesth Analg 2012; 114:803–810

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Flow Index: uno strumento unico per ottimizzare il supporto inspiratorio

5 apr 2023

Durante la ventilazione meccanica il supporto inspiratorio dovrebbe essere modulato per mantenere un'ottimale attività dei muscoli inspiratori.

L’attività dei muscoli respiratori può misurata come la pressione da essi sviluppata durante l’inspirazione (Pressure-time product, PTP, vedi anche post del 30/10/2016)(figura 1), che è la somma di: a) la pressione generata dai muscoli respiratori per espandere i polmoni, espressa dalla riduzione della pressione esofagea durante l’inspirazione (PTPL, area tratteggiata obliqua); b) la pressione necessaria per espandere la gabbia toracica (PTPCW, area punteggiata) che è calcolata in ciascun istante dell’inspirazione come il prodotto tra l’elastanza della gabbia toracica (calcolabile dalla presisone esofagea) e volume inspirato .

Figura 1

Il supporto inspiratorio ha l'unica funzione di supportare l'attività dei muscoli respiratori, che è misurata dalla pressione esofagea. Detto questo, sembrerebbe ovvio che la pressione più importante da misurare nei pazienti ventilati dovrebbe essere la pressione esofagea… Nella pratica clinica la pressione esofagea è misurata raramente e l’appropriatezza del supporto inspiratorio è decisa principalmente valutando frequenza respiratoria e volume corrente ed eventualmente indicatori indiretti dell'attività dei muscoli respiratori, come ad esempio P0.1 (post del 27/06/2021), PMI (post del 08/05/2016), dPocc (1) e Flow Index, argomento di questo post.

Il Flow Index.

Il Flow Index è un numero adimensionale che descrive la forma della curva di flusso inspiratorio dal suo picco fino al momento del ciclaggio (2). Se questa porzione di flusso ha una concavità verso l’alto, il Flow Index assume un valore < 1 (tanto minore quanto più evidente è la concavità verso l’alto), se decresce linearmente il Flow Index è 1il Flow Index è > 1 se invece il flusso presenta una concavità verso il basso (Flow Index tanto maggiore quanto più è marcata la concavità verso il basso) (figura 2). 

Figura 2

Il Flow Index nasce dalla consapevolezza che durante la ventilazione pressometrica il flusso inspiratorio è decrescente se il paziente è passivo, mentre la riduzione della pressione alveolare per effetto dell'attività dei muscoli respiratori produce una concavità verso il basso.

Un’immagine vale più di tante parole: in figura 3  vediamo come cambia il profilo del flusso con l’aumento del livello del supporto di pressione (PS).

Figura 3

Con PS 20 il paziente, dopo l'attivazione del trigger inspiratorio, diventa passivo per tutta l’inspirazione ed il flusso è decrescente. Man mano che si riduce il supporto inspiratorio (progredendo da destra a sinistra nella figura 3), l’attività inspiratoria diventa progressivamente più intensa e parallelamente la curva di flusso assume una morfologia con una concavità verso il basso sempre più accentuata. Ne consegue che di pari passo con l’aumento dell’attività dei muscoli respiratori il Flow Index diventa sempre più alto.

Questo concetto è tutt’altro che una novità per chi ha partecipato ai nostri corsi di ventilazione o segue ventilab: la valutazione dell’attività dei muscoli respiratori dalla valutazione della curva di flusso veniva già proposta nel nostro primo corso di ventilazione meccanica del 2007, è stata l’argomento di uno dei primi post che ho scritto su ventilab (quello del 25/03/2010) ed è una parte importante del metodo RESPIRE (in particolare della sua lettera “I”), presentato nella sua prima versione nel post del 20/08/2017

Il Flow Index ha semplicemente trasformato la valutazione soggettiva e qualitativa della curva di flusso in una misurazione oggettiva quantitativaGli studi sul Flow Index (2-4) hanno consentito di dimostrare due cose importanti:

1. la morfologia del flusso inspiratorio in ventilazione pressometrica è efficace per valutare in modo non-invasivo e continuo l’attività dei muscoli respiratori. Prima del Flow Index esisteva solamente il razionale teorico di questo approccio (che era già molto), ora a questo si è aggiunta anche la dimostrazione sperimentale;

2. la valutazione di frequenza respiratoria e volume corrente per avere un’idea dello sforzo inspiratorio non può sostituire l'informazione data dal Flow Index, ma tutt'al più deve integrare il Flow Index. Infatti la robusta associazione tra Flow Index e sforzo inspiratorio si conferma anche quando la relazione è “aggiustata" per il volume corrente e la frequenza respiratoria.

Come si calcola il Flow Index

Una breve nota tecnica. Il Flow Index esamina la parte di flusso successiva al picco e precedente il ciclaggio (figura 4) e su questa parte applica la stessa equazione utilizzata sulla pressione delle vie aeree per calcolare lo stress index: $$flusso = a + b \cdot tempo^c $$

Il parametro c, l’esponente del tempo, è il Flow Index. Di seguito due esempi.

Figura 4

Al momento il Flow Index è calcolabile solamente con una procedura di analisi matematica dei dati di flusso, ma in futuro potrebbe facilmente essere calcolato automaticamente dai ventilatori meccanici se ovviamente si aggiungeranno altre validazioni agli studi già esistenti che ne confermano la capacità di identificare i pazienti sovra- o sotto-assistiti (3,4). Nel frattempo rimane assolutamente spendibile nella pratica clinica l’analisi qualitativa della curva di flusso, che porta alla facile identificazione “a occhio” dei pazienti con elevata o ridotta attività inspiratoria, cioè con o senza concavità verso il basso nella curva di flusso.

La peculiarità del Flow Index rispetto alle altre stime dell’attività dei muscoli respiratori.

Come abbiamo accennato, oltre al Flow Index esistono anche altri indicatori dell’attività dei muscoli inspiratori. C'è però una differenza importante tra il Flow Index e gli altri indici di attività dei muscoli respiratori. 

P0.1, PMI e dPocc sono influenzati sia dall’attività inspiratoria pre-trigger che da quella post-trigger, mentre il Flow Index solo dall’attività inspiratoria post-trigger. L’implicazione clinica di questa differenza è fondamentale, cerchiamo di capire il perchè. 

Nella figura 5 è riproposto il PTP che abbiamo visto in figura 1 in una forma leggermente più complessa. 

Figura 5

L'attività inspiratoria inizia sulla linea "A" (come si può notare dall'inizio della riduzione della pressione esofagea), ma il flusso inspiratorio inizia solo sulla linea "C". La parte di PTP precedente la linea "C" è attività inspiratoria pre-trigger, dovuta al carico soglia sia all'autoPEEP (PTPpeepi) che all'attivazione del trigger (PTPtr). La porzione di PTP oltre la linea "C" (PTPpost) è attività inspiratoria post-trigger, ed è l'unica che si verifica esclusivamente dopo l'inizio del supporto inspiratorio (cioè l'aumento della pressione delle vie aeree, Paw) ed è simultanea al porzione di flusso analizzata dal Flow Index

Quindi il Flow Index è sensibile solo quella parte di sforzo inspiratorio che si origina durante il supporto inspiratorio. In altre parole, il Flow Index è un indice specifico dell'attività inspiratoria post-trigger e tra i parametri ventilatori è influenzato dall'unico che agisce post-trigger, cioè il supporto inspiratorio

Al contrario,  P0.1, PMI e dPocc sono modificati sia dallo sforzo pre- che post-trigger e quindi su di loro hanno un impatto sia le impostazioni del ventilatore che agiscono pre-trigger (trigger inspiratorio e PEEP in relazione all'autoPEEP) che quella post-trigger (supporto inspiratorio).

L'implicazione clinica è che in un paziente con segni e sintomi di eccessiva attività dei muscoli respiratori, un Flow Index > 1 (flusso con concavità verso il basso) suggerisce in prima istanza di aumentare il supporto inspiratorio. Al contrario un Flow Index ≤ 1 (flusso che decresce linearmente o con concavità verso l'alto) dovrebbe indicare che lo sforzo post-trigger è già ridotto e che quindi dovrebbe essere più efficace ridurre lo sforzo pre-trigger modificando la PEEP o il trigger oppure riducendo l'autoPEEP con la terapia broncodilatatrice e/o la posizione seduta e/o la terapia diuretica. Vediamo in figura 6 un esempio di un paziente con queste caratteristiche:

Figura 6

L’attività dei muscoli respiratori inizia in corrispondenza della linea verticale tratteggiata bianca ed il flusso inizia sulla linea tratteggiata verticale rossa. Tutto il calo della pressione esofagea (Pes) si consuma tra queste due linee. Dopo l'inizio del flusso la pressione esofagea non cala ulteriormente, segno di una attività dei muscoli inspiratori minima o nulla in questa fase. 

Una grave debolezza dei muscoli respiratori (rilevabile da una MIP molto bassa, vedi post 28/06/2013) è forse l'unica eccezione a questo approccio: in questo caso l'attività inspiratoria post-trigger è bassa qualsiasi livello di supporto inspiratorio, perchè i muscoli respiratori non riescono a generare una pressione più elevata. In questa condizione il volume corrente dipende unicamente dal supporto inspiratorio ed è l'unica condizione clinica in cui, a paziente attivo, il supporto di pressione debba essere regolato in prima istanza per ottenere il volume corrente dediderato.

Conclusioni

Una breve sintesi dei punti principale del post di oggi:

- la variazione inspiratoria della pressione esofagea è il vero obiettivo del supporto inspiratorio. Ne consegue che la pressione esofagea dovrebbe essere misurata nei pazienti inventilazione assistita, perlomeno in quelli con weaning prolungato;

- il Flow Index è un numero che misura la concavità del flusso inspiratorio ed è una stima indiretta dell’attività post-trigger dei muscoli respiratori;

- un Flow index <= 1 (flusso inspiratorio con concavità verso l’alto o con decadimento lineare) indica una passività dei muscoli respiratori durante il supporto inspiratorio (post-trigger);

- un flow index > 1 (concavità verso il basso) indica attività inspiratoria durante il supporto inspiratorio (post-trigger): tanto maggiore è il Flow Index (cioè la concavità verso il basso del flusso), tanto maggiore l'attività inspiratoria;

- nei pazienti con segni di eccessiva attività inspiratoria è opportuno incrementare il supporto di pressione se Flow Index > 1 (concavità verso il basso), mentre è meglio ottimizzare PEEP e trigger o ridurre l'autoPEEP se Flow Index <= 1 (concavità verso l'alto o decadimento lineare). Questo approccio potrebbe non essere appropriato nei pazienti con bassa MIP.

Un sorriso e buona Pasqua a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1. Bertoni M, Telias I, Urner M, et al.: A novel non-invasive method to detect excessively high respiratory effort and dynamic transpulmonary driving pressure during mechanical ventilation. Crit Care 2019; 23:346
2. Albani F, Pisani L, Ciabatti G, et al.: Flow Index: a novel, non-invasive, continuous, quantitative method to evaluate patient inspiratory effort during pressure support ventilation. Crit Care 2021; 25:196
3. Albani F, Fusina F, Ciabatti G, et al.: Flow Index accurately identifies breaths with low or high inspiratory effort during pressure support ventilation. Crit Care 2021; 25:427
4. Miao M-Y, Chen W, Zhou Y-M, et al.: Validation of the flow index to detect low inspiratory effort during pressure support ventilation. Ann Intensive Care 2022; 12:89
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Airway Pressure Release Ventilation (APRV). Parte seconda: le notevoli differenze tra ventilatori meccanici.

5 feb 2023
Nella prima parte del post ho rivisitato indicazioni, razionale e criteri di impostazione della APRV.

Ora passiamo dalla teoria alla pratica: vediamo come quattro diversi ventilatori eseguono la APRV a parità di impostazione.

Questo post penso possa essere seguito meglio se fin dall’inizio è chiaro il punto di arrivo. Per questo motivo eccezionalmente apriamo con le conclusioni, nella convinzione che forniscano un filo logico sul quale raccogliere le analisi che seguiranno.

Conclusioni.

I ventilatori meccanici, a parità di impostazione, eseguono la APRV in modo sostanzialmente differente l'uno dall'altro: il medesimo setting può produrre in un ventilatore una APRV eccellente ed in un'altro "ventilazione killer". Si può fare una buona APRV con qualsiasi ventilatore a patto che se ne capisca la specifica logica di esecuzione. Per questo scopo:
  • l'unico approccio efficace è la corretta interpretazione delle due tracce principali del monitoraggio, le curve di pressioneflusso. E' un esercizio meraviglioso e senza alternative;
  • è fondamentale capire se il ventilatore che si sta utilizzando è a "priorita di pressione" oppure a "priorità di trigger";
  • nei ventilatori con “priorità di pressione” è possibile fare un’ottima APRV con il trigger non attivo: è garantito il respiro spontaneo a Palta e vi è un rigoroso rispetto dei tempi di  Palta e Pbassa;
  • nei ventilatori con “priorità di trigger” è assolutamente indispensabile impostare la APRV con un trigger molto sensibile per consentire il respiro spontaneo del paziente a Palta;
  • in qualsiasi ventilatore, sia a “priorità di pressione” che a “priorità di trigger”, l’attivazione del trigger ha come conseguenza la variabilità dei tempi di Palta e/o Pbassa, che assumono valori spesso diversi da quelli impostati.
Dopo aver presentato le conclusioni, iniziamo l'analisi che ha portato ad esse.

Il test.

Ho testato su 4 differenti ventilatori meccanici una APRV così impostata: pressione alta (Palta) 18 cmH2O, pressione bassa (Pbassa) 0 cmH2O, tempo di Palta (TPalta) 3.5", tempo di Pbassa (TPbassa) 0.5".
Per il momento, identificherò i ventilatori con un numero (1, 2, 3 e 4): non è tanto importante sapere quale ventilatore fa una cosa e quale ne fa un’altra, ma piuttosto dare gli strumenti a ciascuno per capire cosa fa il ventilatore che utilizza quando si imposta una APRV. Comunque alla fine del post ti svelerò a che ventilatore corrisponde ciascun numero.

Nei ventilatori 1, 2 e 3 ho impostato la ventilazione come APRV e non genericamente come bilevel. Il ventilatore 4 offre un menù unico bilevel/APRV.

Su ciascun ventilatore la APRV è stata testata in tre condizioni: a paziente passivo, a paziente attivo con trigger disattivato (o impostato al valore massimo del trigger a pressione, quindi trigger molto difficile da attivare) e a paziente attivo con trigger a flusso sensibile (1-2 l/s).

Il circuito del ventilatore era collegato ad un polmone test, che da questo momento per noi sarà "il paziente", con il quale si è simulato sia il paziente attivo che passivo.

Di tutti i ventilatori presento uno screenshot con 20” consecutivi di ventilazione. Per il ventilatore 4 ho riprodotto i grafici a partire dai dati grezzi (quindi non si vede il vero aspetto dello schermo del ventilatore, anche se ho cercato di rispettare i colori originali).

APRV a paziente passivo.

Non perdo tempo a commentare le APRV a paziente passivo: tutti i ventilatori eseguono allo stesso modo il compito assegnato. In figura 1 ho affiancato le schermate dei 4 ventilatori e, a parte le differenze grafiche, in tutti troviamo sostanzialmente rispettato quello che abbiamo impostato.
Figura 1

La APRV però, come abbiamo visto nella prima parte del post, acquista il proprio senso quando accoglie l'attività respiratoria spontanea del paziente.  Pertanto analizziamo il comportamento dei 4 ventilatori con paziente attivo, prima con trigger disattivato e poi con trigger attivo.

Ventilatore 1.

Nella figura 2 vediamo il “ventilatore 1” con trigger “disattivato” (-15 cmH2O).
Figura 2

Nella figura ci sono alcune linee e frecce che ritroverai con lo stesso significato anche nelle figure successive: il passaggio a Palta è identificato dalla linea tratteggiata verticale rossa e quello a Pbassa dalla linea tratteggiata grigia. Il tempo di Palta effettivamente applicato dal ventilatore è quindi tra la linea rossa e la successiva linea grigia. Il TPalta impostato (3.5”) è indicato dalla lunghezza della freccia rossa a due punte. La reale durata di Pbassa è l’intervallo tra la linea tratteggiata grigia e la successiva rossa ed il TPbassa impostato è rappresentato dalla lunghezza della freccia a due punte blu (che corrisponde a 0.5”).

Nella figura 2, come atteso, vi è una perfetta coincidenza tra TPalta impostato e quello mantenuto dal ventilatore. Anche TPbassa effettivo ed impostato coincidono.

Nel punto “a” si vede il flusso inspiratorio al passaggio da Pbassa a Palta, generato dalla variazione di pressione del ventilatore.
Nei punti “b” e “c” vediamo una espirazione ed una inspirazione a pressione delle vie aeree costante: questa è una CPAP a Palta. La pressione resta costante perché il ventilatore ha come priorità il mantenimento della pressione impostata, indipendentemente dall’attivazione del trigger. Definiremo a “priorità di pressione” i ventilatori che si comportano in questo modo. 
Per mantenere costante la pressione delle vie aeree il ventilatore mantiene costante il volume di gas nel circuito: se il paziente inspirando sottrae gas dal circuito per portarlo nei polmoni, il ventilatore istantaneamente rimpiazza questo volume immettendo una identica quantità di gas (creando quindi un flusso inspiratorio). Se il paziente immette gas nel circuito espirandolo dai polmoni, il ventilatore istantaneamente fa uscire dalla valvola espiratoria un uguale volume di gas (creando quindi un flusso espiratorio).

Questo meccanismo, che dovrebbe essere tipico di tutte le ventilazioni bilevel, è costantemente attivo nelle fasi in cui la pressione deve rimanere costante ed è operativo indipendentemente dalla presenza di un trigger.

Nel punto “d” si vede un’espirazione con aumento della pressione. Questo accade perchè in questo caso l’espirazione attiva del paziente è stata molto più rapida della reazione del ventilatore nel far uscire dal circuito una quantità di gas pari a quella espirata dai polmoni del paziente (per l’interpretazione dell’interazione paziente-ventilatore vedi anche i post del 20/08/2017 e del 24/09/2017).

Molto interessante anche quello che si vede dopo il punto “e”. I
l paziente inizia una inspirazione già a Pbassa, come si evince dall'inizio del flusso inspiratorio in questa fase. Pbassa è uno dei due livelli di CPAP e come tale consente sia inspirazione che espirazione a pressione costante. L'attività inspiratoria a Pbassa è molto rara solo per la estrema brevità di questa fase, ma ogni tanto può comunque accadere.

Nella figura 3 vediamo cosa succede se sul ventilatore 1 attiviamo un trigger a flusso.
Figura 3

La prima cosa evidente è che la durata prestabilita di Palta (le frecce rosse) non coincide più con quella realmente erogata (tra linea verticale tratteggiata rossa e la successiva grigia). Nel punto “a” il paziente inizia un’espirazione su Palta che prosegue anche nel punto “b”, il momento in cui teoricamente Palta dovrebbe passare a Pbassa. In questo caso il ventilatore attende che l’espirazione prosegua ulteriormente prima di interrompere Palta. Per non appesantire il post, non faccio speculazioni sul possibile criterio utilizzato in questo punto per terminare Palta.

Nel punto “c” il paziente inizia un’inspirazione a Palta, che è in corso anche nel punto “d”, in cui scadrebbero i 3.5” di Palta. Il ventilatore finché il paziente inspira mantiene il livello di pressione, facendo coincidere il passaggio a Pbassa con il termine dell’inspirazione spontanea. Anche in questo caso, come nel ciclo precedente, l'effetto è l’aumento effettivo del TPalta rispetto a quello impostato.

Esattamente il contrario accade nei punti “e”, in cui il tempo di Palta si interrompe in anticipo rispetto a quello impostato. Il ventilatore rileva l'inizio dell'espirazione spontanea del paziente poco prima del termine di Palta e decide di sincronizzare il passaggio a Pbassa con l’espirazione del paziente.

L’analisi del monitoraggio evidenzia che l'esclusione o l'attivazione del trigger fa eseguire al ventilatore 1 due APRV diverse. La APRV senza trigger consente l’attività respiratoria spontanea del paziente sia a Pbassa che a Palta, ma è una vera ventilazione asincrona, che impone i propri tempi indipendentemente dalle fasi del ciclo respiratorio del paziente. Quando si attiva il trigger, la durata di Palta può essere accorciata o allungata per sincronizzarsi con l’attività respiratoria del paziente. Il tempo di Pbassa non appare sostanzialmente modificato nelle simulazioni fatte, probabilmente perché in un tempo così breve non riesce a manifestarsi un'attività respiratoria spontanea una volta che vi è la sincronia su Palta.

Ventilatore 2.

In figura 4 vediamo il ventilatore 2 con il trigger “off”: in questa macchina è possibile disattivare completamente il trigger.
Figura 4

In assenza di trigger il ventilatore 2 si comporta come il ventilatore 1, facendo una APRV rigidamente asincrona con il rispetto della durata dei tempi di Palta e Pbassa.

Da notare l'ottima stabilità di Palta durante l’attività respiratoria del paziente (punti “a”, “b”, “c”), anche quando questa è chiaramente asincrona (“a”): anche questo è un ventilatore a “priorità di pressione” e mantiene efficacemente le pressioni impostate indipendentemente dalla presenza del trigger.

Nella figura 5 si vede come esegue la APRV il ventilatore 2 dopo aver attivato il trigger a flusso.
Figura 5

Nel ventilatore 2, diversamente dal ventilatore 1, l’attivazione del trigger mantiene costante il tempo di Palta sul valore impostato, ma consente di abbreviare la durata di Pbassa, come evidente nel punto “a”, in cui nel periodo a Pbassa il paziente attiva il trigger anticipando l’inizio del periodo a Palta e riducendo il TPbassa.

Ventilatore 3.

La figura 6 mostra la APRV con il ventilatore 3 con il paziente attivo ed il trigger "disattivato" (in realtà il meno sensibile possibile , -15 cmH2O).
Figura 6

La scelta di disattivare il trigger, assolutamente efficace con i ventilatori 1 e 2, con il ventilatore 3 mette in atto una ventilazione killer. Nel punto “a” si può vedere che a Palta è consentita l’espirazione se si genera un aumento della pressione delle vie aeree. I punti “b” invece mostrano cosa accade quando il paziente tenta di inspirare: se non viene superata la soglia trigger, il ventilatore non eroga flusso e la conseguenza è la riduzione della pressione delle vie aeree. In altri termini, senza l’attivazione del trigger il paziente inspira contro valvole chiuse e depressurizza il circuito. Il ventilatore non si preoccupa della riduzione della pressione finchè questa è inferiore al trigger impostato. Nel punto “c” il paziente (ricordo che in realtà è un polmone test…) riesce con uno sforzo erculeo a generare una depressione superiore alla soglia trigger: solo a questo punto il ventilatore ritiene vi siano le condizioni per aprire la valvola inspiratoria e consente di far arrivare il tanto agognato flusso inspiratorio al paziente. Possiamo definire a ”priorità di trigger” i ventilatori che si comportano in questo modo.

Con i ventilatori a “priorità di trigger” è quindi PROIBITO fare APRV con trigger poco sensibile, cosa invece assolutamente possibile con i ventilatori a “priorità di pressione” come abbiamo visto in precedenza.

Vediamo nella figura 7 cosa succede se nel ventilatore 3 si imposta un trigger a flusso di 2 l/min.
Figura 7

Ora la APRV consente l’inspirazione a Palta grazie all'attivazione del trigger ad ogni tentativo di inspirazione del paziente.

Analogamente al ventilatore 1, anche nel ventilatore 3 l’attivazione del trigger sincronizza la durata di Palta con l’attività respiratoria del paziente e il TPalta impostato non necessariamente coincide con quello effettivo. In particolare vediamo nei punti “a” che il ventilatore sincronizza sempre la discesa a Pbassa con il termine del flusso inspiratorio a Palta. Questo può anticipare il termine di
Palta se avviene poco prima del termine programmato di TPalta (come nel primo, secondo e quarto punto “a”). Nei punti “b” e “c” si vede che il termine di Palta è posticipato se al momento prefissato di termine di TPalta è in corso un atto respiratorio del paziente (è già stata iniziata un’espirazione (“b”) oppure sta iniziando un’inspirazione (“c”)).

Il ventilatore 3 con l'attivazione del trigger risolve il problema dell’inspirazione su Palta. La sincronizzazione introdotta su Palta non mantiene la durata prefissata di TPalta

Ventilatore 4.

Nella figura 8 vediamo come si comporta il ventilatore 4 facendo la APRV con il trigger "disattivato" (cioè al minor livello di sensibilità possibile, -20 cmH2O).
Figura 8

Similmente al ventilatore 3, il ventilatore 4 è a “priorità di trigger”: l’impostazione della APRV senza trigger garantisce il rispetto dei tempi di Palta e Pbassa a prezzo di un’impossibilità ad inspirare durante Palta (punti “b”), mentre l’espirazione è possibile se viene superata la Palta impostata (punti “a”).

Quindi anche con il ventilatore 4 non bisogna mai fare APRV senza trigger! Assolutamente vietato.

Attivando il trigger a flusso sul ventilatore 4 vediamo cosa succede (figura 9):
Figura 9

Anche in questo caso l'attivazione del trigger consente l'inspirazione del paziente a Palta.
La durata di Palta effettiva può diventare più breve di quella impostata se il ventilatore rileva l’inizio di una espirazione a Palta poco prima del termine prefissato di TPalta (punto “a”): in questo caso la fine di Palta viene fatta coincidere con l’inizio dell’espirazione. Se al termine di TPalta il paziente sta inspirando (punto “b”), il ventilatore prolunga TPalta fino al momento dell’inizio della successiva espirazione (punto “c”). TPalta ha la durata impostata se non si verificano gli eventi precedenti (punti “d”). Il tratto comune di questi criteri è che comunque il passaggio a Pbassa avviene sempre quando inizia o è in corso un’espirazione.

Questo ventilatore è l’unico dei 4 in cui si riesce ad osservare un significativo allungamento del tempo di Pbassa (dal punto “e” al punto “f”); se il paziente attiva il trigger a Pbassa, questo ventilatore passa a Palta solo quando cessa il flusso inspiratorio a Pbassa (punto “f”).

APRV: ventilatori a confronto.

La ventilazione asincrona su due livelli (cioè la “vera APRV”) è di fatto possibile solo con ventilatori a “priorità di pressione” senza trigger.

L’attivazione del trigger, indispensabile per i ventilatori a “priorità di trigger” e opzionale in quelli a “priorità di pressione”, ha come conseguenza la variabilità dei tempi di Palta e Pbassa rispetto ai valori impostati.

L’attivazione del trigger ha comunque prodotto risultati diversi nei 4 ventilatori.
- Durata Palta. In un solo ventilatore (il 2) si è mantenuto il TPalta costante al valore impostato, accettando che i
l termine di Palta possa cadere in qualunque fase del respiro del paziente. Con i ventilatori 1, 3 e 4 (il primo a “priorità di pressione” e gli altri due a “priorità di trigger”) TPalta può allungarsi o abbreviarsi quando vi sono le condizioni per sincronizzare la fine di Palta con l’inizio di un’espirazione spontanea. Possiamo dire che nel ventilatore 2 il TPalta è uguale a quello impostato in tutti i cicli di Palta, mentre negli altri ventilatori probabilmente il TPalta realmente applicato è in media simile a quello impostato, potendo variare tra un ciclo ed un altro.

- Durata Pbassa. Nei ventilatori 1 e 3 non ho osservato significative variazioni del TPbassa, che sembra sempre coincidere con quello impostato. Il ventilatore 2 accorcia invece il TPbassa se il paziente inizia a inspirare in questa fase (di fatto il trigger è attivo solo a Pbassa). Può essere una scelta ragionevole, perché se il paziente inizia a inspirare probabilmente il volume polmonare non è eccessivamente elevato e la riduzione del TPbassa potrebbe avere un razionale. In maniera opposta al ventilatore 2, il ventilatore 4 allungare il TPbassa se il paziente inizia ad inspirare in questa fase. Essendo il paziente in inspirazione, l’allungamento del TPbassa non dovrebbe determinare un aumento del dereclutamento (il volume polmonare aumenta) e quindi questo non dovrebbe essere un problema. Potrebbe essere forse più discutibile il passaggio a Palta proprio al termine di una inspirazione spontanea, che produce di fatto una doppia inspirazione senza espirazione tra le due (punto “f” nella figura 9). Il rischio di raggiungere una variazione di volume eccessiva con questo meccanismo è però bilanciato dal fatto che l’aumento della pressione a Palta produce una variazione di volume ridotta se il paziente ha smesso di inspirare ed ha già un elevato volume polmonare che genera una elevata pressione alveolare.

Possiamo quindi concludere che ventilatori diversi fanno APRV diverse, alcune identiche a quella ideale, altre invece “aggiustate”. Conoscere il proprio ventilatore ci consente di evitare APRV “killer” e di adeguare l’impostazione del ventilatore alla reale interazione paziente-ventilatore.
Come esercizio ti propongo di capire da solo come funziona la APRV sui tuoi ventilatori meccanici utilizzando un pallone test al posto del paziente.

E per finire sveliamo i nomi dei ventilatori testati: il ventilatore 1 è Bellavista 1000 (il modello testato è IMT, oggi è un ventilatore Vyaire), il ventilatore 2 è Elisa 800 Löwenstein, il ventilatore 3 è G5 Hamilton ed il ventilatore 4 è Servo-u Getinge.

Faccio un complimento a tutti coloro che sono riusciti a seguire fino in fondo questo lunghissimo ed impegnativo post. Sono convinto che, oltre ad avere dato informazioni utili per fare APRV, sia stato un bell’esercizio di analisi della ventilazione meccanica e del monitoraggio grafico.

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
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