Workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica." a Brescia il 28 gennaio 2012.

4 dic 2011

Come anticipato nel post del 27 novembre 2011, il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica." si svolgerà il 28 gennaio 2012 a Brescia presso la Fondazione Poliambulanza.

Il programma è il seguente:

Moderatore: Andrea Candiani (Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università degli Studi di Brescia)
- ore 8.45-9.00 registrazione dei partecipanti
- ore 9.00-9.30: Introduzione alla giornata - Achille Bernardini, Dipartimento Emergenza Alta Specialità, Fondazione Poliambulanza, Brescia - Andrea Candiani, Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università degli Studi di Brescia
- ore 9.30-10.00: Considerazioni critiche sull'uso della ventilazione non invasiva - Giuseppe Natalini, Terapia Intensiva, Fondazione Poliambulanza, Brescia
- ore 10.00-11.00: La ventilazione non invasiva nel paziente con insufficienza respiratoria acuta ipossiemica - Giuseppe Foti, Neurorianimazione, Lecco
- ore 11.00-11.15: coffee-break
- ore 11.15-12.15: La ventilazione non invasiva nel paziente con insufficienza respiratoria ipercapnica - Michele Vitacca, Pneumologia, Fondazione Maugeri, Lumezzane
- ore 12.15-12.45: Discussione
- ore 12.45-13.00: Conclusioni - Giuseppe Natalini, Terapia Intensiva, Fondazione Poliambulanza, Brescia

Il compito affidato ai relatori è duplice: dovranno 1) discutere criticamente le evidenze della letteratura e, soprattutto, 2) aprire al pubbblico la propria esperienza clinica. Sia il dott. Foti che il dott. Vitacca sono degli esperti che lavorano in prima linea: un'occasione davvero rara di avere la sintesi tra evidenze scientifiche e pratica clinica.

Il dott. Giuseppe Foti, dopo una vita all'Ospedale S. Gerardo di Monza, è da pochi giorni primario della Neurorianimazione dell'Ospedale di Lecco. Ha una qualificata esperienza clinica e scientifica nel trattamento dei pazienti con insufficienza respiratoria acuta, dalla circolazione extracorporea alla ventilazione non-invasiva.

Il dott. Michele Vitacca, anestesista rianimatore e pneumologo, è uno dei massimi esperti internazionali nel trattamento della insufficienza respiratoria cronica con la ventilazione non-invasiva. Usava (e studiava) la ventilazione non-invasiva anche in tempi in cui la ventilazione non-invasiva era una strana metodica vista con diffidenza e scetticismo.

Il mio contributo sarà una premessa all'uso della ventilazione non-invasiva: se ne possono sfruttare i punti di forza solo conoscendone i limiti.

L’iscrizione è gratuita (ma obbligatoria), i posti sono limitati a 200 per la capienza della sala. L’iscrizione può essere fatta online sul sito web della Fondazione Poliambulanza, nella pagina Eventi Formativi (clicca qui per arrivare subito al modulo di iscrizione).

Infine un cordiale ed affettuoso saluto al prof. Giorgio Conti, che non potrà essere dei nostri in questa occasione. Sono sicuro che avremo presto l'occasione di averlo gradito ospite.

Aspetto numerosi tutti gli amici di ventilab.

A presto

Giuseppe Natalini
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Ventilazione a volume controllato o ventilazione a pressione controllata? Quale la migliore?

27 nov 2011

Spesso mi viene chiesto se è meglio utilizzare la ventilazione a pressione controllata o la ventilazione a volume controllato. Vediamo insieme cosa le differenzia per giungere ad una scelta consapevole.

Premetto che la cosa più importante è avere chiari gli obiettivi da raggiungere con la ventilazione: questi poi si possono raggiungere con qualunque modalità di ventilazione si consosca bene.

Come ben sappiamo, la pressione controllata applica una pressione costante nelle vie aeree per tutta la durata dell'inspirazione. Il risultato è un flusso inspiratorio che inizia con un picco e decresce durante l'inspirazione (fig. 1, a sinistra). Il volume controllato invece genera un flusso costante per tutta la durata dell'inspirazione e per ottenere ciò il ventilatore deve aumentare continuamente la pressione nelle vie aeree (fig. 1, a destra).



Figura 1

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Le differenze di pressione tra volume controllato e pressione controllata.
Prima conseguenza di questa diversa logica di funzionamento è la differenza nelle pressioni di picco. A volte questo viene presentato come un vantaggio della pressione controllata sul volume controllato, ma lo è davvero?

La pressione di picco è la somma di due pressioni: 1) la pressione che ci serve per generare il flusso più 2) la pressione che espande l'apparato respiratorio.

La pressione che genera il flusso è quella forza che spinge il gas inspirato attraverso tubo tracheale e vie aeree. Essa ha il proprio valore massimo all'inizio della branca inspiratoria e si riduce progressivamente fino ad annullarsi al termine delle vie aeree. Il suo valore dipende dall'entità del flusso e dalle resistenze.

Alla fine della inspirazione la pressione per generare flusso è più elevata in volume controllato che in pressione controllata: infatti in volume controllato abbiamo ancora un flusso più elevato (uguale a quello di tutta la fase inspiratoria) che in pressione controllata, che a fine inspirazione vede il flusso più o meno completamente annullato (fig 1).

La pressione per generare flusso non arriva negli alveoli ma si consuma lungo il tubo tracheale e le vie aeree. Non deve essere considerata come una pressione che può indurre danno polmonare indotto dalla ventilazione (VILI, ventilator-induced lung injury) .

Alla fine della inspirazione, a parità di volume corrente, avremo la stessa pressione negli alveoli sia in volume controllato che in pressione controllata. E questa pressione (indipendente dalla modalità di ventilazione) dipende unicamente da elastanza e volume corrente. Questa pressione può essere stimata facendo un'occlusione delle vie aeree alla fine della inspirazione: nella figura 2 vediamo sopvrapposte due curve di volume controllato (PCV) e pressione controllata (PCV) a parità di volume corrente. Si può notare come le pressioni di picco siano diverse tra loro, mentre le pressioni di plateau sono uguali tra di loro. Stesso plateau, stesso stress.




Figura 2

Quindi pressione controllata e volume controllato hanno, a parità di volume corrente, lo stesso impatto sul danno polmonare, che in realtà è determinato solo da elastanza e volume corrente.  Non lasciamoci trarre in inganno dalla diversità delle pressioni di picco. Si potrebbero fare disquisizioni più approfondite per i polmoni caratterizzati da marcata disomogeneità, ma affronterò l'argomento solo se vedrò che può interessare ai lettori di ventilab.

La pressione controllata fa raggiungere inoltre valori di pressione media delle vie aeree più elevata del volume controllato, a meno che a quest'ultimo non si aggiunga un'opportuna pausa di fine inspirazione. E la pressione media delle vie aeree è correlata all'ossigenazione. Si può quindi dire che in pressione controllata è più semplice ottimizzare pressione media delle vie aeree e ossigenazione.

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Le differenze di flusso tra volume controllato e pressione controllata.

Il volume controllato assicura l'erogazione di un predeterminato un flusso (e quindi un volume corrente), mentre il flusso che si genera in pressione controllata è variabile e dipende dalle variazioni della costante di tempo del paziente (cioè del rapporto tra resistenza ed elastanza). In alcuni casi può essere preferibile garantire un volume corrente costante: pensiamo ad esempio ai pazienti con trauma cranico ed ipertensione intracranica, dove la regolazione della PaCO2 è un obiettivo clinico importante. In altri casi può essere meglio limitare automaticamente le pressioni ed accettare variazioni del volume corrente, come ad esempio nei pazienti con ARDS ed elevate pressioni di plateau (o transpolmonari).

Un'altra differenza tra pressione controllata e volume controllato è la diversa distribuzione del flusso. Nella pressione controllata il flusso è elevato all'inizio dell'inspirazione, mentre nel volume controllato è uniforme per tutta l'inspirazione. Un elevato flusso inspiratorio iniziale favorisce la sincronia tra paziente e ventilatore se il paziente triggera gli atti respiratori. Quindi la pressione controllata ci può semplificare la sincronia paziente-ventilatore e la riduzione del lavoro respiratorio del paziente. Ovviamente anche un'oculata regolazione del volume controllato può raggiungere gli stessi obiettivi, ma sicuramente serve un occhio più esperto per gestire l'interazione paziente-ventilatore durante volume controllato (1,2).

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Le ventilazioni a pressione controllata a target di volume.

Quasi tutti i ventilatori hanno forme di ventilazione che rientrano in questa categoria: PCV-VG (GE), PRVC o VGRP (Maquet, Siemens), AutoFlow (Draeger), ecc. In pratica sono normalissime ventilazioni a pressione controllata in cui però il ventilatore continua ad adeguare la pressione applicata per raggiungere un volume prefissato. Quindi le impostiamo come un volume controllato (a parte la pausa) ma funzionano come una pressione controllata: pressione inspiratoria costante e flusso inspiratorio decrescente. In maniera molto semplice aggiungiamo alla pressione controllata il vantaggio principale del volume controllato: il volume costante. Ovviamente le pressioni potranno aumentare o diminuire secondo le necessità.

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Come scegliere tra volume controllato e pressione controllata.

Detto questo, mi sento di fare questa proposta nella scelta delle ventilazioni controllate ed assistite-controllate:

- scegliere di norma una ventilazione a pressione controllata a target di volume (PCV-VG, PRVC o VGRP, AutoFlow, ecc). E' semplice da impostare ed unisce vantaggi di volume controllato e pressione controllata: garantisce il volume corrente, facilitando sincronia ed ossigenazione grazie al flusso decrescente. A questo punto bisogna solo scegliere il volume corrente ed il I:E giusti...

- quando abbiamo la necessità di limitare la pressione di plateau (esempio siamo già a 30 cmH2O di plateau), utilizzare la pressione controllata. Solitamente impostando PEEP e pressione controllata la cui somma non superi 31-32 cmH2O, ci si garantisce di rimanere sotto i 30 cmH2O di pressione di plateau. Meglio comunque verificare di caso in caso.

Un caro saluto a tutti.

PS: il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica" si terrà quasi certamente sabato 28 gennaio 2011. A prestissimo la conferma definitiva.


 
Bibliografia.

1) Chiumello D et al. Different modes of assisted ventilation in patients with acute respiratory failure. Eur Respir J 2002; 20: 925-33

2) Kallet RH et al. Work of breathing during lung-protective ventilation in patients with Acute Lung Injury and Acute Respiratory Distress Syndrome: a comparison between volume and pressure-regulated breathing modes. Respir Care 2005; 50:1623-31


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Avviso importante: rinviato il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica"

21 nov 2011

Il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica" programmato sabato 17 dicembre è rinviato ad altra data.  Al più presto stabiliremo una nuova data e ne daremo comunicazione.

Mi scuso per l'inconveniente, purtroppo dovuto ad un imprevisto grave problema.

Un saluto a tutti.
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Ventilazione meccanica per obiettivi: quando il meglio è nemico del bene.

13 nov 2011

Quando prendo in carico la cura di una persona, mi pongo sempre degli obiettivi da raggiungere. Avere obiettivi chiari è il primo passo per fare le scelte migliori.

Abbiamo sempre chiari gli obiettivi della ventilazione meccanica?

La ventilazione meccanica ha l'obiettivo di supportare le funzioni dell'apparato respiratorio evitando di fare danni (se possibile).

Le funzioni dell'apparato respiratorio da supportare sono due:

  1. ossigenazione

  2. rimozione di CO2


Ragioniamo sugli obiettivi che dobbiamo avere per ciascuna di queste funzioni.

Ossigenazione.


La domanda è: quanto ossigeno serve ai nostri pazienti? Semplicemente un livello di PaO2 che consenta una buona funzione dei nostri organi e tessuti. Sappiamo che l'ossigeno deve arrivare ai mitocondri. L'ossigeno arriva nei capillari (cioè in prossimità dei mitocondri) grazie alla portata cardiaca ed all'emoglobina. Una volta che l'ossigeno è giunto nei capillari, il passaggio ai mitocondri dipende dalla differenza tra la PO2 nel capillare e nel mitocondrio. La PO2 durante il suo tragitto nel capillare si riduce progressivamente a causa della continua cessione dell'ossigeno ai tessuti: è quindi più alta nel versante arterioso rispetto a quello venoso (e l'entità di questo fenomeno è condizionato dal trasporto di ossigeno) (figura 1).



Figura 1

La PO2 dei mitocondri varia tra 4 e 23 mmHg, dipendendo dal tipo di tessuto considerato. Ma, oltre alla differenza di PO2 tra capillare e mitocondrio, c'è un altro fattore che condiziona la diffusione dell'ossigeno ai tessuti: la distanza tra capillare e mitocondri delle cellule (1). Proviamo a pensare a come può variare questa distanza in un soggetto sano e nel paziente edematoso. L'edema è una barriera all'ossigenazione cellulare. Esistono evidenze che la quantità di fluidi somministrati (dopo le prime ore di trattamento) e l'entità dei bilanci idrici positivi sono associati a peggiori outcome (2-5).

Per riassumere: L'ossigenazione dei tessuti dipende sia da fattori polmonari (la PaO2) che da fattori non polmonari (portata cardiaca, emoglobina ed edema). Quello che può fare la ventilazione è assicurare una PaO2 sufficiente a saturare l'emoglobina (vedi post del 31 /10/2011) e generare un sufficiente gradiente di PO2 tra capillari e mitocondri. Si ritiene che una PaO2 sopra 55-60 mmHg ed una corrispondente saturazione arteriosa superiore a 88-90% siano più che sufficienti a questo scopo (6). Dobbiamo quindi evitare di "spingere l'acceleratore" sul ventilatore meccanico per avere delle "belle" PaO2. Cosa ce ne facciamo, se le dobbiamo poi pagare con i danni indotti dalla ventilazione meccanica. Dobbiamo anche evitare di considerare il PaO2/FIO2 un obiettivo a breve termine della ventilazione meccanica: esso descrive unicamente il livello di gravità della disfunzione polmonare, non ci dice se stiamo ventilando bene un paziente. Potremmo infatti adottare strategie ventilatorie che migliorano nel breve periodo il PaO2/FIO2, ma che fanno male al paziente. Un esempio? I pazienti con ARDS migliorano nei primi giorni il PaO2/FIO2 se ventilati con 12 ml/kg di volume corrente rispetto a quando ricevono un volume corrente di 6 ml/kg . Sappiamo però tutti come va poi a finire... (6)

Eliminazione di CO2.


Nei pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica (il cui paradigma è l'ALI/ARDS) non abbiamo bisogno di mantenere 40 mmHg di PaCO2 e 7.40 di pH! Il nostro organismo funziona bene (a volte anche meglio, forse) (vedi post del 24/09/2011) anche a valori di PaCO2 un po' più alti e di pH un po' più bassi. Nei pazienti con ALI/ARDS, se detestiamo l'acidosi respiratoria, possiamo iniziare a preoccuparci se il pH scende al di sotto dei 7.25 (che corrisponde a circa 60 mmHg di PaCO2 in assenza di alterazioni metaboliche del pH). Potremmo essere anche più tolleranti ed accettare anche pH fino a 7.15 (circa 70 mmHg di PaCO2 senza associate alterazioni metaboliche) o addirittura anche inferiori (7). Con l'eccezione dei pazienti con trauma cranico, shock non responsivo alle catecolamine o con con disfunzione ventricolare destra (8).

Diverso è l'approccio ai pazienti con insufficienza respiratoria ipercapnica (un esempio tipico può essere la riacutizzazione della BPCO) o durante la fase di weaning. Se la PaCO2 elevata è associata ad acidosi respiratoria, abbiamo un segno evidente dell'insufficienza della pompa respiratoria (cioè dell'apparato neuromuscolare che muove i polmoni). In questo caso l'obiettivo è il riposo dei muscoli respiratori esauriti da un eccessivo e prolungato carico di lavoro. Quindi dobbiamo dare una ventilazione che garantisca l'abolizione (o quasi) della ventilazione spontanea del paziente per il tempo strettamente necessario a far riposare i muscoli respiratori. Ancora una volta la normalizzazione PaCO2 non è il nostro obiettivo, ma semmai una conseguenza del nostro trattamento.

In conclusione possiamo affermare che nella maggior parte dei casi non è molto difficile raggiungere i due obiettivi della ventilazione meccanica:

  1. raggiungere una PaO2 di almeno 55-60 mmHg (o una saturazione di 88-90%)

  2. avere un pH maggiore di 7.15-7.25


La vera sfida è ossigenare ed eliminare anidride carbonica senza danneggiare l'apparato respiratorio. Dobbiamo stare alla larga sia dal VILI (ventilator-induced lung injury) che dal VIDD (ventilator-induced diaphragmatic dysfunction), che uccidono molte più persone di ipossiemia ed ipercapnia. Evitare la normalizzazione (o addirittura la perfezione) dell'emogasanalisi è spesso il primo passo per raggiungere anche questi obiettivi. Ma di questo ne riparleremo in altre occasioni...

Un caro saluto al popolo di ventilab, una tribù di circa tremila appassionati di ventilazione.

Bibliografia

1) Lumb AB. Nunn’s Applied Respiratory Physiology. Chapter 11: Oxygen, pp. 179-216. Churchill Livingstone, 7th edition (2010).

2) Sakr Y et al. High tidal volume and positive fluid balance are associated with worse outcome in acute lung injury. Chest 2005; 128:3098-108


3) Upadya A et al. Fluid balance and weaning outcomes. Intensive Care Med 2005; 31:1643-7


4) Wiedemann HP et al. Comparison of two fluid-management strategies in acute lung injury. N Engl J Med 2006; 354:2564-75


5) Stewart RM et al. Less is more: improved outcomes in surgical patients with conservative fluid administration and central venous catheter monitoring. J Am Coll Surg 2009; 208:725-35


6) ARDS Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional for acute lung injury and the acute respiratory distress sindrome. N Engl J Med 2000, 342:1301-8


7) Hickling KG et al. Low mortality associated with low volume pressure limited ventilation with permissive hypercapnia in severe adult respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 1990; 16:372-7


8) Mekontso Dessap A et  al. Impact of acute hypercapnia and augmented positive end-expiratory pressure on right ventricle function in severe acute respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 2009; 35:1850-8

 


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Pulsossimetria, PaO2 e disfunzione polmonare.

31 ott 2011

Iris, una sfortunata signora di settanta anni, alcune settimane fa è stata ricoverata nella nostra Terapia Intensiva dopo un'intervento di chirurgia addominale. Siamo stati consapevoli fin dall'inizio che la lesione di Iris poteva essere l'inizio di un calvario senza via d'uscita. Dopo la prima settimana di Terapia Intensiva, si è aperto però qualche spiraglio: infezioni e drenaggi erano a posto e si poteva procedere all'estubazione.

Dopo l'estubazione Iris aveva un normale stato di coscienza, era eupnoica e normocapnica, ma necessitava di ossigenoterapia per correggere l'ipossiemia.. Iris ci ha chiesto, se possibile, di non essere sottoposta ai fastidiosi prelievi arteriosi (non aveva più una linea arteriosa). Per noi però era importante monitorare l'evoluzione della disfunzione polmonare. Nell'equipe c'erano medici ed infermieri concordi nel sostituire le emogasanalisi con la saturazione arteriosa misurata con il pulsossimetro (SpO2).

SpO2 e PaO2 ci possono dare le stesse informazioni per valutare la gravità e l'evoluzione della disfunzione polmonare?

L'indicatore più utilizzato per stratificare la gravità della disfunzione polmonare è il rapporto PaO2/FIO2: viene utilizzato per definire il livello di gravità di ARDS/ALI ed è il marker della disfunzione polmonare del  Sequential Organ Failure Assessment (SOFA). Negli ultimi anni sono stati pubblicati due articoli che supportano l'uso del rapporto SpO2/FIO2 al posto del PaO2/FIO2 (2,3). Il primo di questi studi ci dice che SpO2/FIO2 di 235 e di 315 correlano con PaO2/FIO2 rispettivamente di 200 e 300 per la diagnosi di ARDS e ALI (2). Il lavoro di Pandharipande ha calcolato che, per il computo del SOFA, 100 di PaO2/FIO2 corrisponde a 89 di SpO2/FIO2, 200 di PaO2/FIO2 a 214 di SpO2/FIO2, 300 di PaO2/FIO2 a 357 di SpO2/FIO2 e 400 di PaO2/FIO2 a 512 di SpO2/FIO2 (3).

Dobbiamo credere alla letteratura, usare il SpO2/FIO2 al posto del PaO2/FIO2 ed accontentare Irma, evitandole le punture arteriose?

A mio modo di vedere la risposta è articolata.

I due studi citati hanno numerosi limiti sui quali non mi dilungo. Ne discuteremo eventualmente nei commenti al post.

Osserviamo la curva di dissociazione dell'emoglobina (figura 1):  vediamo chiaramente che, a 7.4 di pH,  la SaO2 cambia molto poco per PaO2 superiori a 70 mmHg, mentre ha rapide variazioni se la PaO2 è inferiore a 60 mmHg.


Figura 1

Facciamo qualche simulazione per decidere se e come possiamo utilizzare la SpO2 al posto della PaO2. Ridisegnamo la curva di dissociazione dell'emoglobina mettendo sull'asse delle ascisse la saturazione (la variabile indipendente, cioè il valore che si conosce) e la PaO2 su quello delle ordinate: ci mettiamo cioè nella condizione di doverr stimare la PaO2 conoscendo la SpO2. Inoltre restringiamo i limiti del grafico ai valori che potremmo realmente incontrare in clinica. Ecco come vediamo le cose:

Figura 2

Abbiamo variazioni molto diverse di SpO2 per analoghe variazioni di PaO2. Infatti la riduzione di 10 mmHg di PaO2 determina la riduzione della SpO2 di circa 1% se il valore iniziale di PaO2 è 90 mmHg. La riduzione di SpO2 diventa del 8-9% se la PaO2 si riduce di 10 mmHg da 55 a 45 mmHg. In altre parole, la SpO2 è sensibile alle variazioni di PaO2 solo per valori iniziali di SpO2 inferiori a 92-93 %. Possiamo quindi utilizzare la SpO2 per monitorare l'evoluzione della disfunzione polmonare solo se ci mettiamo nelle condizioni di avere una SpO2 sempre inferiore a 92-93%. E farlo è semplicissimo: è sufficiente sospendere l'ossigenoterapia. Se il paziente ha insufficienza respiratoria, la SpO2 si assesterà sicuramente sotto questa soglia. E noi potremo evitare di ripetere le emogasalisi con il solo scopo di quantificare la gravità della disfunzione polmonare. E se per 10 minuti avremo una SpO2 tra 80 e 90 %, salvo casi particolari, non dovremo temere alcun problema per i nostri pazienti.


Se ci piace ragionare in termini di PaO2/FIO2, vediamo come la stessa variazione di PaO2/FIO2 si rifletta in modo diverso sulla SpO2 in funzione del livello basale di PaO2:


Figura 3

La riduzione del PaO2/FIO2 da 300 a 200 determina la riduzione di SpO2 del 3 % se partiamo da 120 mmHg di PaO2 (cioè con una FIO2 di 0.4) mentre la SpO2 si ridurrà del 16 % se il livello iniziale di PaO2 è di 63 mmHg (la stessa condizione di prima senza O2 terapia).


Per concludere, possiamo utilizzare la SpO2 ed SpO2/FIO2 al posto di PaO2 e PaO2/FIO2 per monitorare la gravità e l'evoluzione di una disfunzione polmonare solo in assenza di ossigenoterapia (per mantenere la SpO2 inferiore a 92-93%).

Un caro saluto a tutti gli amici di ventilab.

 

Bibliografia.

1) Vincent JL et al. The SOFA score to describe organ dysfunction/failure. Intensive Care Med 1996; 22 : 707-10

2) Rice TW et al. Comparison of the SpO2/FIO2 ratio and the PaO2/ FIO2 ratio in patients with acute lung injury or ARDS. Chest    2007; 132:410-7

3) Pandharipande PP et al. Derivation and validation of SpO2/FIO2 ratio to impute for Pao2/FIO2 ratio in the respiratory component of the Sequential Organ Failure Assessment score. Crit Care Med 2009; 37: 1317-21


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Uso di ossido nitrico inalatorio nell’ARDS: quando razionale ed evidenza fanno a pugni

22 ott 2011

In  questi giorni sto esaminando la letteratura recente sull’uso dell’ossido nitrico inalatorio (NO) in terapia intensiva. Colgo l’occasione per coinvolgere gli amici di www.ventilab.it su questo argomento, già incontrato in post precedenti pubblicati sul nostro sito.

L’ossido nitrico è un potente vasodilatatore che agisce attraverso l’aumento della concentrazione di cGMP all’interno delle fibrocellule muscolari lisce delle pareti vascolari[1]. Farmaci che agiscono come donatori di NO, come nitroglicerina e sodio nitroprussiato, vengono correntemente somministrati per via endovenosa, transdermica o transmucosa allo scopo di ridurre la pressione arteriosa e indurre vasodilatazione sistemica, in particolare coronarica. La somministrazione per via inalatoria di NO determina invece riduzione delle resistenze vascolari polmonari e della pressione arteriosa polmonare con minimi effetti sul circolo sistemico. Per questa caratteristica NO è utilizzato in ambito pediatrico/neonatale in svariate patologie cardiopolmonari associate a ipertensione polmonare, e anche nell’adulto in situazioni di disfunzione ventricolare destra da ipertensione polmonare, prevalentemente a seguito di interventi cardiochirurgici[2].

L’utilizzo di NO nell’ARDS è un argomento a oggi ancora controverso. Indubbiamente esiste un valido razionale a favore del suo utilizzo: come schematizzato in figura 1, NO determina vasodilatazione polmonare prevalentemente a livello delle unità alveolari maggiormente areate, mentre non raggiungerebbe in quantità significative i capillari polmonari nelle zone atelettasiche o ingombre di essudato, dove peraltro interviene una reazione di vasocostrizione ipossica. Con questo meccanismo, l’aggiunta di NO alla miscela respiratoria aumenterebbe il flusso ematico attraverso le aree di polmone ventilato e ridurrebbe la quota di shunt destro-sinistro mediante un fenomeno di furto, migliorando l’ossigenazione[1,3].




Figura 1

Effettivamente diverse metanalisi[4,5,6] hanno confermato che l’uso di NO può determinare un transitorio miglioramento dell’ossigenazione (espresso come PaO2/FiO2 a 24 ore dall’inizio del trattamento) in pazienti affetti da insufficienza respiratoria ipossiemica e ARDS. Tuttavia le evidenze fino a oggi disponibili indicano che NO non ha effetti sulla mortalità dei pazienti, né su altri esiti clinici rilevanti come la durata della ventilazione o la durata della degenza, e anzi potrebbe essere addirittura associato a maggiore incidenza di danno renale.

Come si spiega questa discrepanza di risultati? Sono stati ipotizzati fattori farmacocinetici (azione nel circolo sistemico di cataboliti stabili di NO che conservano proprietà vasodilatanti; accumulo locale dose-dipendente di NO, v. figura 2), possibili effetti tossici tempo-dipendenti da NO, e ancora fattori patogenetici tipici della malattia di base (dismissione in circolo di citochine ad azione vasodilatante, come  in corso di sepsi o ARDS)[3]. Vi sono poi anche problematiche metodologiche intrinseche alle metanalisi, in quanto gli studi esaminati non sono del tutto confrontabili, per possibili disomogeneità nella stratificazione della gravità dei pazienti, o disomogeneità nella correttezza della ventilazione protettiva. Dobbiamo inoltre ricordare che i pazienti con ARDS muoiono quasi sempre per insufficienza multiorganica, non per grave ipossiemia refrattaria[3] e questo già basterebbe a spiegare lo scarso impatto dell’uso di NO sulla mortalità.




Figura 2

Dunque è opportuno, sulla base dell’evidenza riportata, respingere tout court l’utilizzo di NO nell’ARDS? Secondo molti esperti [1,3,5,7] no: NO resta un’arma terapeutica importante nel trattamento non di routine ma di salvataggio dell’ipossiemia refrattaria con o senza ipertensione polmonare, purchè

  • sia somministrata per un periodo limitato di tempo (24-72 ore);

  • se somministrata in modo discontinuo si evitino brusche interruzioni nell’erogazione (possibile effetto rebound);

  • si utilizzino le dosi inferiori sufficienti a produrre una risposta clinica accettabile (range 0.1- 80 ppm, meglio < 40 ppm);

  • siano monitorizzati i livelli di NO2 e di metemoglobinemia;

  • il paziente non sia portatore di deficit congenito o acquisito di metemoglobina reduttasi.





Un saluto a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia

  1. Griffiths MJD, Evans TW. Inhaled nitric oxide therapy in adults. N Engl J Med 2005;353:2683-95

  2. Bloch KD et al. Inhaled NO as a therapeutic agent. Cardiovascular Research 2007;75:339–48

  3. Creagh-Brown BC et al. Bench-to-bedside review: Inhaled nitric oxide therapy in adults. Critical Care 2009;13:212-9

  4. Adhikari NK et al. Effect of nitric oxide on oxygenation and mortality in acute lung injury: systematic review and meta-analysis BMJ 2007; 334:779-86

  5. Sokol J et al. Inhaled nitric oxide for acute hypoxemic respiratory failure in children and adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2003, Issue 1. Art No.: CD002787. DOI: 10.1002/14651858.CD002787

  6. Afshari A et al. Inhaled Nitric Oxide for Acute Respiratory Distress Syndrome and Acute Lung Injury in Adults and Children: A Systematic Review with Meta-Analysis and Trial Sequential Analysis. Anesth Analg 2011;112:1411–21

  7. Germann P et al. Inhaled nitric oxide therapy in adults: European expert recommendations. Intensive Care Med 2005; 31: 1029-41

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La fibroscopia nella intubazione difficile.

9 ott 2011

L'intubazione difficile è uno dei momenti più difficili e di maggior responsabilità nella vita degli anestesisti. Se l'anestesista non è autonomo nell'intubazione fibroscopica, nella procedura viene coinvolto un collega esperto di endoscopia respiratoria (immagino con sua somma soddisfazione...). Un assiduo (ed apprezzato) lettore di ventilab, pneumologo con esperienza di endoscopia respiratoria, mi ha posto queste tre domande sulla intubazione fibroscopica nella intubazione prevista difficile:

1) quali procedure adotti per ottenere una lieve sedazione pur mantenendo il paziente sveglio?

2) se il tentativo fallisce, e l’intervento non è differibile, come comportarsi ?

3) dopo vari tentativi di intubazione in una procedura “non prevista” difficile, in cui il paziente inizia a presentare cianosi, è appropriata l'intubazione con fibroscopia?

Senza indugio, ecco le mie risposte (per una trattazione esaustiva della gestione dell'intubazione difficile, vedi le linee guida della ASA e della SIAARTI [1,2]):

1) per procedere con l'intubazione fibroscopica è fondamentale che il paziente mantenga il respiro spontaneo. In questo modo, oltre a mantenere l'ossigenazione, si riesce infatti a rendere ottimale la visualizzazione dell'adito laringeo. Molti approcci farmacologici possono consentire di ottenere questo risultato. La mia preferenza va all'associazione fentanyl, midazolam e ketamina. Il dosaggio deve essere valutato caso per caso, ma in linea di massima inizio con la somministrazione in bolo lento di 50-100 mcg di fentanyl e 3-4 mg di midazolam. Se il paziente  non è ancora in grado di accettare la manovra, aggiungo 15-20 mg di ketamina. A questo associo sempre l'anestesia topica dalla narice scelta per l'introduzione del fibroscopio. Ed a questo punto inizio la procedura.

2) se l'intubazione non riesce e l'intervento non è differibile, che fare? Se non si riesce ad intubare con nessun presidio a disposizione, bisogna comunque iniziare l'intervento ventilando in maschera facciale o,  meglio, con la maschera laringea. E se il paziente non è ventilabile, bisogna procedere alla cricotirotomia (una possibile procedura è presentata alla fine post). Non ci sono alternative.

3) l'intubazione fibroscopica è sconsigliata in condizioni di emergenza, soprattutto quando il paziente è cianotico. La cianosi è la conseguenza di una ventilazione assente o gravemente insufficiente: l'intubazione fibroscopica non consente la ventilazione durante la procedura. In questa condizione, è bene tornare al punto 2.

Ricordiamo che l'intubazione tracheale non è un fine, ma un mezzo per ventilare. Quando l'intubazione non è possibile, spesso (per fortuna!) la ventilazione è comunque efficace con maschera facciale o maschera laringea: e questo è quello che ci serve per poter procedere con l'intervento. La protezione delle vie aeree sarà, forse, ridotta (è tutto da dimostrare...), ma di fronte alla necessità di un intervento chirurgico urgente, è un rischio che si può correre.


Nei casi di intubazioni difficile, la maschera laringea è un presidio utilissimo. Alcuni colleghi anestesisti sono ancora restii ad utilizzare in elezione la maschera laringea per paura del rischio di aspirazione polmonare (in realtà simile a quello che si ha con l'intubazione [3]). Ma se non impariamo ad usare benissimo la maschera laringea in elezione, come pensiamo di poterla padroneggiare in urgenza?

Grazie ad Elio per lo spunto del post di oggi. E, come sempre, un saluto a tutti gli amici di ventilab.

E, per finire, un ciao a tutti quelli che hanno partecipato al Corso di Ventilazione Meccanica della scorsa settimana: due giorni intensi e divertenti per tutti!

Bibliografia.

1) Practice guidelines for management of the difficult airway. Anesthesiology 2003; 98:1269-77

2) Accorsi A et al. Recommendations for airway control and difficult airway management. Minerva Anestesiol 2005; 71:617-57

3) Bernardini A et al. Risk of pulmonary aspiration with laryngeal mask airway and tracheal tube. Analysis on 65712 procedures with positive pressure ventilation. Anaesthesia 2009; 64: 1289-94

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La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica.

26 set 2011

Poche righe per informare gli amici di ventilab.it di un'iniziativa che abbiamo organizzato in Fondazione Poliambulanza a Brescia la mattina di sabato 17 dicembre 2011.

In questa data si terrà il workshop "La ventilazione non-invasiva: dalle evidenze scientifiche alla pratica clinica".

I relatori principali saranno il prof. Giorgio Conti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ed il dott. Michele Vitacca della Fondazione Maugeri di Lumezzane. Abbiamo chiesto loro di condensare le evidenze scientifiche e (soprattutto) l'esperienza clinica personale maturata nell'uso della ventilazione non-invasiva.

Terremo distinti due campi di applicazione della ventilazione non-invasiva molto diversi tra loro, per i quali possono non valere le medesime regole. Il prof. Conti si occuperà di ventilazione non-invasiva nella insufficienza respiratoria acuta ipossiemica, il dott. Vitacca della ventilazione non-invasiva nella insufficienza respiratoria cronica ipercapnica.

L'argomento del meeting è di grande attualità ed i rilevanti sono prestigiosi: vi aspetto.

L'iscrizione è gratuita (ma obbligatoria), i posti sono limitati a 200 per la capienza della sala. L'iscrizione può essere fatta online sul sito web della Fondazione Poliambulanza, nella pagina Eventi Formativi (clicca qui per arrivare subito al modulo di iscrizione).

Per vedere la locandina (provvisoria) del meeting, clicca qui.

Un saluto a tutti.

PS: sabato 24 è stato erroneamente inviato agli iscritti un alert per un nuovo post. In realtà il contenuto era solo una bozza iniziale del post correttamente pubblicato domenica 25. Mi scuso per l'inconveniente e vi invito a discutere il caso clinico presentato nel post.

















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ARDS, ipercapnia permissiva e acidosi respiratoria.

24 set 2011

Una decina di giorni fa abbiamo ricoverato Sarah, 45 anni, con ARDS secondaria a polmonite da Legionella (a fianco vedi due immagini della TAC del torace).

Abbiamo scelto la strada della ventilazione protettiva. L'impostazione del ventilatore si è stabilizzata ad un volume corrente di 280 ml, una frequenza respiratoria di 32/minuto ed una PEEP 16 cmH2O (la PEEP che si associava alla minor driving pressure, cioè alla minor elastanza). La FIO2 è stata variata per mantenere la SaO2 > 90%.

Sarah è alta 163 cm e pesa 60 kg. Ricordiamo però che il volume corrente, per il momento, si rapporta al peso ideale*, che nel caso di Sarah è 55 kg. La stiamo quindi ventilando con 5 ml/kg. Con questa ventilazione la pressione di plateau si assestava sui 30-31 cmH2O, con una corrispondente pressione transpolmonare di 14-15 cmH2O. Tutto questo con sedazione, paralisi muscolare e terapia cortisonica.

E il risultato all'emogasanalisi? Eccolo: pH 7.11, PaCO2 82 mmHg, PaO2 67 mmHg con FIO2 0.9. Abbiamo provato anche con ossido nitrico, pronazione o decubito laterale (era prevalente il danno al polmone destro). Risultato: nessun miglioramento nè dell'emogasanalisi nè della meccanica respiratoria.

In sintesi: Sarah sta ricevendo una ventilazione protettiva e con questa abbiamo un'ossigenazione più che sufficiente. Come comportarsi però con la grave acidosi respiratoria? La accettiamo o no?

Se vogliamo ridurre la PaCO2, abbiamo due strade:

  1. - aumentare la ventilazione

  2. - ricorrere alla ECMO o ad altre tecniche extracorporee di rimozione della CO2.


Aumentare la ventilazione significa abbandonare la ventilazione protettiva: siamo già al limite delle pressioni di plateau (sia nelle vie aeree che transpolmonare). E' una strada che abbiamo deciso di non percorrere.

L'ECMO avrebbe, in questo caso, la sola indicazione della acidosi respiratoria: la PaO2 infatti è ancora sufficiente.

Ma l'acidosi respiratoria è davvero una nemica da combattere a tutti i costi?





Figura 1

Vent'anni fa ho iniziato a curare i miei primi pazienti con ARDS. Allora eravamo tutti convinti che fosse corretto cercare di ottenere una PaCO2 di 40 mmHg ed un pH di 7.40. Con risultati pessimi.

Nel 1990 un messaggio rivoluzionario dalla Nuova Zelanda (1). Il dott. Keith Hickling dice che da alcuni anni ha iniziato a ventilare i pazienti riducendo le pressioni nelle vie aeree sotto i 30 cmH2O (!), accettando anche bassi volumi correnti, fino a 5 ml/kg (!!) e non facendo assolutamente nulla per trattare  l'ipercapnia moderata (PaCO2 fino a 70 mmHg). Per valori più alti di PaCO2 aumentava la pressione di picco fino ad un massimo di 40 cmH2O (qualcosa di simile ai nostri 30 cmH2O di plateau). Risultato: mortalità del 16% (la mortalità attesa da APACHE II sarebbe stata del 40%)! Ed i pazienti avevano valori 'pazzeschi' di PaCO2 (fino a 129 mmHg!) (vedi figura 1). Nasceva l'ipercapnia permissiva nella ARDS.

Sappiamo tutti come è andata a finire la storia: questo strana filosofia di ventilazione meccanica (che pensava ai polmoni e non all'EAB) è diventata lo standard, con un atteggiamento oggi però meno disinvolto verso i valori di pH molto bassi.

L'acidosi respiratoria ha effetti positivi e negativi da un punto di vista fisiologico (2). Nei pazienti con ARDS sembra avere però un effetto prevalentemente protettivo (3), così come sembra essere protettiva nelle fasi precoci della sepsi (4).

Oggi Sarah non ha più la ARDS. Non cantiamo ancora vittoria perchè, pur essendo migliorata molto non ha ancora vinto la gara della sopravvivenza. Il messaggio che ci lascia è però chiaro: la protezione dei polmoni è molto più importante dell'emogasanalisi. E l'ipercapnia non è necessariamente un nemico: anzi, a volte può diventare un alleato su cui fare affidamento.

Un saluto a tutti.

*Ricordiamo per le femmine il peso ideale si calcola con la formula: 45.5+0.91(altezza in centimetri-152.4). Per i maschi la formula è uguale, ma si sostituisce al 50 al 45.5 iniziale (5).

Bibliografia.

1) Hickling KG et al. Low mortality associated with low volume pressure limited ventilation with permissive hypercapnia in severe adult respiratory distress syndrome. Intensive Care Med 1990; 16:372-7

2) Ijland MM et al. Hypercapnic acidosis in lung injury - from ‘permissive’ to ‘therapeutic’. Crit Care 2010; 14:237

3) Kregenow DA et al. Hypercapnic acidosis and mortality in acute lung injury. Crit Care Med 2006; 34:1-7

4) Curley G et al. Can ‘permissive’ hypercapnia modulate the severity of sepsis-induced ALI/ARDS? Crit Care 2011; 15:212

5) ARDS Network. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional for acute lung injury and the acute respiratory distress sindrome. N Engl J Med 2000, 342:1301-8
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PEEP e pressione di plateau: quando la somma non fa il totale.

12 set 2011






Posizione di Trendelenburg

Oggi parleremo di PEEP, pressione di plateau, driving pressure, elastanza (o compliance) e stress index come guida alla ventilazione meccanica.


Tutto questo ci può essere realmente utile nella pratica clinica. A prova di questo, condivido con gli amici di ventilab un caso che mi è capitato alcuni mesi fa. Sono convinto che alla fine saremo tutti d'accordo che sono concetti semplici e fondamentali nella vita (professionale) di tutti i giorni. Ero in sala operatoria per dare il cambio ad un collega anestesista. Amo l'anestesia e, nonostante il mio impegno full-time in Terapia Intensiva, concludo volentieri le mie giornate in sala operatoria. L'intervento in corso, iniziato da circa un'ora, era una resezione colica laparoscopica in un paziente settantenne obeso. Questo significa un intervento condotto con il paziente in posizione di Trendelenburg (con il letto operatorio inclinato con la testa in basso ed i piedi in alto) e l'addome insufflato di gas.


Era in corso una ventilazione a volume controllato (flusso inspiratorio costante) con 500 ml di volume corrente, 15/min di frequenza respiratoria, FIO2 0.5 e 5 cmH2O di PEEP. La ETCO2 era 41 mmHg, la SpO2 94%, la pressione di picco 35 cmH2O e quella di plateau (Pplat) 30 cmH2O. La curva di pressione delle vie aeree (Paw) e quella che vedi nella figura 1.








Figura 1

L'intervento sarebbe durato ancora due o tre ore (salvo complicazioni) ed il paziente era a rischio di complicanze respiratorie postoperatorie per età e durata dell'intervento (1). Sappiamo anche che una ventilazione inappropriata può indurre danni anche in un polmone sano (2). Quindi la ventilazione meccanica intraoperatoria potrebbe diventare un elemento importante per l'outcome del paziente. Cosa posso fare con i dati a disposizione?


Rispondiamo a due domande sempre fondamentali.


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Prima domanda: la Pplat deve preoccuparmi?


In questo paziente l'addome schiaccia i polmoni: l'addome obeso, disteso di gas e più in alto del torace comprime il diaframma contro i polmoni. Possiamo quindi ragionevolmente ritenere di avere un'elevata elastanza (=bassa compliance) dell'apparato respiratorio dovuta alla rigidità della parete toracica (il diaframma va considerato parte della parete toracica). Alta elastanza significa che servono pressioni elevate per dare il volume corrente. Quando l'aumento dell'elastanza è attribuibile alla gabbia toracica sono elevate sia la pressione alveolare che quella pleurica: in questo caso la pressione transpolmonare (=pressione alveolare - pressione pleurica) è bassa e quindi basso è lo stress del polmone (per approfondimenti rivedi il post del 24 giugno 2011). In questo caso si può (a volte si deve) essere tolleranti verso Pplat elevate .


Prima risposta: la Pplat di 30 non mi preoccupa.


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Seconda domanda: l'analisi grafica delle curva Paw-tempo (figura 1) mi fornisce qualche informazione?


Sono abituato a guardare sempre, come prima cosa, il monitoraggio grafico della ventiazione meccanica. Quel giorno mi aveva subito messo qualche dubbio il profilo arrotondato, con concavità verso il basso, della Paw. Questo potrebbe associarsi ad uno stress index < 1 e la necessità di aumentare la PEEP (vedi post del 15 agosto 2011). In sala operatoria non ho modo di calcolarmi lo stress index, devo quindi accontentarmi del dato qualitativo. Quindi aumento la PEEP a 15 cmH2O. Nella figura 2 puoi vedere cosa cambia (nella parte alta vedi i trendi grafici ed in basso le curve Paw-tempo).






Figura 2

E succede una cosa interessantissima: la Pplat resta esattamente uguale a prima, circa 30 cmH2O, (riga tratteggiata blu nella figura 2) pur mantenedo invariata la ventilazione (freccia viola). E scompare il profilo arrotondato con concavità verso il basso nella curva Paw-tempo, che diventa rettilinea (segno compatibile con uno stress index di circa 1) (vedi post del 15 agosto 2011).


Cosa può essere successo? A parità di volume corrente abbiamo ridotto la driving pressure, cioè la variazione di pressione attribuibile al volume corrente che è la differenza tra Pplat (la pressione con il volume corrente nei polmoni) e la PEEP totale (la pressione senza volume corrente nei polmoni). E questo si spiega con il miglioramento dell'elastanza (cioè una sua riduzione) con l'applicazione della PEEP. Infatti con PEEP 5 (il paziente non aveva PEEP intrinseca) e Pplat 30 l'elastanza era 50 cmH2O/l, con 15 di PEEP l'elastanza è diventata 30 cmH2O/l. E sappiamo che utilizzare la PEEP che riduce la driving pressure (e l'elastanza) può essere una efficace misura per ridurre il VILI (ventilator-induced lung injury), oltre a ridurre la mortalità nei pazienti con ARDS (vedi post del 10 aprile 2011).


Seconda risposta: il monitoraggio grafico mi fa intuire uno stress index < 1 e mi suggerisce un aumento della PEEP. Il monitoraggio grafico e il semplice calcolo della driving pressure (Pplat-PEEP) mi confermano di aver fatto la scelta giusta.


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Questo caso fa capire come anche nella nostra routine la comprensione dei principi fondamentali su cui si fonda la ventilazione meccanica sia una preziosa risorsa. Molte altre considerazioni si potrebbero fare, ma siamo ormai arrivati a 850 parole: il buon senso mi suggerisce quindi di salutare e dare appuntamento a presto. Non prima però di avere riassunto i punti fondamentali di questo post:


1) il significato della Pplat dipende dalla pressione che l'addome esercita sul diaframma


2) è raccomandabile aumentare la PEEP quando si vede la Paw con una concavità verso il basso (ventilazione a flusso inspiratorio costante)


3) può essere opportuno scegliere il valore di PEEP che si associa alla minor driving pressure (a parità di volume corrente)


Bibliografia.


1) Shander A et al. Clinical and economic burden of postoperative pulmonary complications: Patient safety summit on definition, risk-reducing interventions, and preventive strategies. Crit Care Med 2011; 39:2163-72


2) Pinheiro de Oliveira R et al. Mechanical ventilation with high tidal volume induces inflammation in patients without lung disease. Critical Care 2010, 14:R39

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