Uso di ossido nitrico inalatorio nell’ARDS: quando razionale ed evidenza fanno a pugni

22 ott 2011

In  questi giorni sto esaminando la letteratura recente sull’uso dell’ossido nitrico inalatorio (NO) in terapia intensiva. Colgo l’occasione per coinvolgere gli amici di www.ventilab.it su questo argomento, già incontrato in post precedenti pubblicati sul nostro sito.

L’ossido nitrico è un potente vasodilatatore che agisce attraverso l’aumento della concentrazione di cGMP all’interno delle fibrocellule muscolari lisce delle pareti vascolari[1]. Farmaci che agiscono come donatori di NO, come nitroglicerina e sodio nitroprussiato, vengono correntemente somministrati per via endovenosa, transdermica o transmucosa allo scopo di ridurre la pressione arteriosa e indurre vasodilatazione sistemica, in particolare coronarica. La somministrazione per via inalatoria di NO determina invece riduzione delle resistenze vascolari polmonari e della pressione arteriosa polmonare con minimi effetti sul circolo sistemico. Per questa caratteristica NO è utilizzato in ambito pediatrico/neonatale in svariate patologie cardiopolmonari associate a ipertensione polmonare, e anche nell’adulto in situazioni di disfunzione ventricolare destra da ipertensione polmonare, prevalentemente a seguito di interventi cardiochirurgici[2].

L’utilizzo di NO nell’ARDS è un argomento a oggi ancora controverso. Indubbiamente esiste un valido razionale a favore del suo utilizzo: come schematizzato in figura 1, NO determina vasodilatazione polmonare prevalentemente a livello delle unità alveolari maggiormente areate, mentre non raggiungerebbe in quantità significative i capillari polmonari nelle zone atelettasiche o ingombre di essudato, dove peraltro interviene una reazione di vasocostrizione ipossica. Con questo meccanismo, l’aggiunta di NO alla miscela respiratoria aumenterebbe il flusso ematico attraverso le aree di polmone ventilato e ridurrebbe la quota di shunt destro-sinistro mediante un fenomeno di furto, migliorando l’ossigenazione[1,3].




Figura 1

Effettivamente diverse metanalisi[4,5,6] hanno confermato che l’uso di NO può determinare un transitorio miglioramento dell’ossigenazione (espresso come PaO2/FiO2 a 24 ore dall’inizio del trattamento) in pazienti affetti da insufficienza respiratoria ipossiemica e ARDS. Tuttavia le evidenze fino a oggi disponibili indicano che NO non ha effetti sulla mortalità dei pazienti, né su altri esiti clinici rilevanti come la durata della ventilazione o la durata della degenza, e anzi potrebbe essere addirittura associato a maggiore incidenza di danno renale.

Come si spiega questa discrepanza di risultati? Sono stati ipotizzati fattori farmacocinetici (azione nel circolo sistemico di cataboliti stabili di NO che conservano proprietà vasodilatanti; accumulo locale dose-dipendente di NO, v. figura 2), possibili effetti tossici tempo-dipendenti da NO, e ancora fattori patogenetici tipici della malattia di base (dismissione in circolo di citochine ad azione vasodilatante, come  in corso di sepsi o ARDS)[3]. Vi sono poi anche problematiche metodologiche intrinseche alle metanalisi, in quanto gli studi esaminati non sono del tutto confrontabili, per possibili disomogeneità nella stratificazione della gravità dei pazienti, o disomogeneità nella correttezza della ventilazione protettiva. Dobbiamo inoltre ricordare che i pazienti con ARDS muoiono quasi sempre per insufficienza multiorganica, non per grave ipossiemia refrattaria[3] e questo già basterebbe a spiegare lo scarso impatto dell’uso di NO sulla mortalità.




Figura 2

Dunque è opportuno, sulla base dell’evidenza riportata, respingere tout court l’utilizzo di NO nell’ARDS? Secondo molti esperti [1,3,5,7] no: NO resta un’arma terapeutica importante nel trattamento non di routine ma di salvataggio dell’ipossiemia refrattaria con o senza ipertensione polmonare, purchè

  • sia somministrata per un periodo limitato di tempo (24-72 ore);

  • se somministrata in modo discontinuo si evitino brusche interruzioni nell’erogazione (possibile effetto rebound);

  • si utilizzino le dosi inferiori sufficienti a produrre una risposta clinica accettabile (range 0.1- 80 ppm, meglio < 40 ppm);

  • siano monitorizzati i livelli di NO2 e di metemoglobinemia;

  • il paziente non sia portatore di deficit congenito o acquisito di metemoglobina reduttasi.





Un saluto a tutti gli amici di ventilab.

Bibliografia

  1. Griffiths MJD, Evans TW. Inhaled nitric oxide therapy in adults. N Engl J Med 2005;353:2683-95

  2. Bloch KD et al. Inhaled NO as a therapeutic agent. Cardiovascular Research 2007;75:339–48

  3. Creagh-Brown BC et al. Bench-to-bedside review: Inhaled nitric oxide therapy in adults. Critical Care 2009;13:212-9

  4. Adhikari NK et al. Effect of nitric oxide on oxygenation and mortality in acute lung injury: systematic review and meta-analysis BMJ 2007; 334:779-86

  5. Sokol J et al. Inhaled nitric oxide for acute hypoxemic respiratory failure in children and adults. Cochrane Database of Systematic Reviews 2003, Issue 1. Art No.: CD002787. DOI: 10.1002/14651858.CD002787

  6. Afshari A et al. Inhaled Nitric Oxide for Acute Respiratory Distress Syndrome and Acute Lung Injury in Adults and Children: A Systematic Review with Meta-Analysis and Trial Sequential Analysis. Anesth Analg 2011;112:1411–21

  7. Germann P et al. Inhaled nitric oxide therapy in adults: European expert recommendations. Intensive Care Med 2005; 31: 1029-41

2 commenti:

  1. Complimenti Daniele per la sintesi sull'ossido nitrico (NO).
    Condivido qui la mia esperienza clinica sul NO. Lo uso da una quindicina d'anni ed indubbiamente con il pasare del tempo lo impiego sempre meno. Perche? Innanzitutto le evidenze pesano come un macigno: quando le metanalisi ti dicono che non migliora la sopravvivenza, devi tenerne conto. Ma una metanalisi che ti dice che un trattamento non modifica l'outcome non è comunque un buon motivo per non usare MAI quel trattamento: se non è utile al paziente "medio" può esserlo per pazienti "particolari".
    Il NO è utile in pazienti "particolari"? Qualche volta sì. Ma, a mio parere, non tanto per chè migliora la PaO2, cosa spesso comunque vera. Infatti ormai ci accontentiamo di bassi valori di PaO2 (60 mmHg) e spesso li otteniamo anche senza il NO. E forse la pronazione in questi casi può essere di prima scelta. Penso che il vero ruolo del NO sia nelle insufficienze respiratorie con scompenso cardiaco destro: consente di guadagnare alcuni giorni di stabilità emodinamica, dando un'opportunità in più di guarire al paziente. E quando vediamo una bassa portata in un paziente con ARDS, dobbiamo sempre mettere in diagnosi differenziale l'insufficienza ventricolare destra.

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  2. Da noi invece non è mai stato utilizzato; stiamo prendendo in considerazione la possibilità di usarlo (visto che l'attrezzatura è già disponibile nel nostro ospedale) esattamente in quei casi di grave ARDS e ipossiemia refrattaria associate a segni di cuore polmonare acuto (bassa portata, elevate pressioni di riempimento dx con o senza pervietà del forame ovale, ipocinesia o dilatazione ventricolare dx con insufficienza tricuspidale, scarsa sensibilità o peggioramento emodinamico dopo test di riempimento volemico, ecc.); in tali casi, peraltro, l'utilizzo di elevate pressioni delle vie aeree può peggiorare il postcarico dx.
    Teniamo presente, d'altro canto, che in caso di insufficienza cardiaca "globale" con compromissione anche del ventricolo sn, l'uso di NO, causando vasodilatazione polmonare e aumento delle pressioni di riempimento delle sezioni di sn, può determinare sovraccarico e scompenso ventricolare sn, con comparsa di edema polmonare[1].

    1. Ichinose F et al. Circulation 2004; 109:3106-11

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