La COVID-19 è una ARDS?

26 apr 2020


L’emergenza COVID-19 nelle Terapie Intensive lombarde sta rientrando e riesco a leggere solo oggi le tante domande che mi sono arrivate nell’ultimo mese in merito alla ventilazione nei pazienti con COVID-19.

Ho voglia di girare pagina e vorrei smettere di parlare di COVID-19. Quindi questa settimana vorrei chiudere il capitolo (per non parlarne mai più, spero) con una serie di brevi post in cui rifletteremo e cercheremo di imparare qualcosa dai dubbi e dalle proposte che mi avete mandato ed alle quali non ho potuto rispondere singolarmente.

 

La COVID-19 è una ARDS?

Sì, la COVID-19 è senza dubbio una ARDS: è una sindrome con ipossiemia grave (PaO2/FIO2 < 300 mmHg con almeno 5 cmH2O di PEEP/CPAP) insorta acutamente, caratterizzata da infiltrati polmonari bilaterali, che non è secondaria ad una disfunzione ventricolare sinistra (1). Non c’è dubbio, la COVID-19 è proprio tutto questo. Non è nemmeno, come qualcuno propone, una “pseudoARDS”, che peraltro non capisco bene cosa sia. Se non accettiamo la definzione di ARDS per la COVID-19, non dovremmo accettarla nemmeno per tante altre malattie…

L’equivoco nasce se si pensa che l’ARDS sia una malattia. L’ARDS è una sindrome, come dice il nome stesso (Acute Respiratory Distress Syndrome) ed una sindrome è un complesso di segni e sintomi che può essere espressione di malattie di natura completamente diversa. L’ARDS è un caso tipico: può essere causata da malattie molto differenti tra loro. Questo era già chiaro a chi ha “scoperto” l’ARDS, che aveva ben in mente che questa fosse una manifestazione finale comune di differenti condizioni patologiche (nello studio originale trauma, polmonite e pancreatite) (2) (vedi post del 31/01/2016).

Anche le caratteristiche istologiche di ciò che chiamiamo ARDS sono variabili: il danno alveolare diffuso, che viene considerato un segno microscopico caratteristico, è presente solo nella metà dei pazienti con ARDS (3).

Da quest’anno anche la malattia da coronavirus SARS-CoV2, cioè la COVID-19, può essere causa di ARDS. Non lo è sempre, per fortuna, perchè molto spesso determina quadri clinici più benigni che con l’ARDS non hanno nulla a che fare.

Le malattie che possono portare a quella infiammazione diffusa dei polmoni che definiamo ARDS possono essere primitivamente polmonari, e coinvolgono estesamente i polmoni “dall’interno” (polmonite batterica, polmonite virale, trauma toracico, inalazione di gas tossici, annegamento,…), oppure non polmonari (peritonite, pancreatite, emotrasfusione massima, fascite necrotizzante,… ), ed arrivano diffusamente a coinvolgere i polmoni attraverso la circolazione capillare polmonare.

E’ molto importante essere consapevoli dell’eterogeneità delle condizioni cliniche che portano alla ARDS, perché i pazienti con ARDS hanno qualche tratto patologico comune insieme a profonde diversità che condizionano differenti risposte al trattamento. Queste che dipendono sia dal tipo di malattia che ha causato l’ARDS che dalle caratteristiche del paziente (comorbidità polmonari, obesità,…). Non possiamo illuderci che la risposta ai trattamenti ventilatori (PEEP, riduzione del volume corrente, limitazione della pressione di plateau, reclutamento) e farmacologici (ad esempio la somministrazione di steroidi) sia sempre la stessa per malattie così diverse.

Persino i pazienti con ARDS secondaria alla stessa malattia, come ad esempio i pazienti con ARDS da COVID-19, possono differire molto l’uno dall’altro, sia per gli aspetti extra-polmonari che per le caratteristiche dell’apparato respiratorio. Ora, ad esempio, siamo tutti consapevoli che anche tra i pazienti con COVID-19 possono esserci quelli con alta compliance e quelli con bassa compliance.

Con questa molteplicità di variabili nella ARDS, che senso ha dare una regola comune di PEEP bassa o PEEP alta (sempre mettendosi d’accordo su cosa si intenda per alta o bassa…)?

Che senso ha fare la stessa scelta di volume corrente per kg di peso del paziente? Protettivo (6 ml/kg), Ultraprottettivo (4 ml/kg)? Più fisiologico (8ml/kg)?

Che senso ha postulare a priori la necessità o viceversa la pericolosità del reclutamento?

Che senso ha proporre un limite fisso di pressione di plateau a 30 cmH2O, valore peraltro arbitrario ed in antitesi con quanto ci ha insegnato la ricerca?

Il senso c’è se si trova un comune denominatore di tutte le forme di ARDS, che le accomuni su un livello superiore rispetto alle loro differenze. Nel prossimo post di questa serie (forse già domani) identificheremo questo aspetto unificante della ARDS e ragioneremo come grazie ad esso si possa gestire in modo coerente la ventilazione meccanica superando le singole peculiarità.

Forse in futuro la definizione di ARDS dovrebbe includere esplicitamente questo tratto comune, essendo esso ciò che veramente rende questa sindrome un’entità con una propria coerenza. Se sei interessato a sapere a cosa mi riferisco e quali sono i risvolti pratici, ti aspetto per il prossimo post!

Un sorriso a tutti gli amici di ventilab. A prestissimo.

 

Bibliografia

  1. ARDS Definition Task Force: Acute Respiratory Distress Syndrome: The Berlin Definition. JAMA 2012; 307:2526–2533
  2. Ashbaugh D, Bigelow D, Petty T, et al.: Acute respiratory distress in adults. Lancet 1967; 2:319–323
  3. Sweeney RM, McAuley DF: Acute respiratory distress syndrome. Lancet 2016; 388:2416–2430

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