Sedazione ed intubazione tracheale: evadere dai luoghi comuni

29 lug 2018


La sedazione nel paziente con intubazione tracheale è una profezia che si autoavvera. Esiste infatti la credenza che il paziente intubato debba ricevere una qualche forma di sedazione per poter tollerare la presenza del tubo tracheale. E da questa convinzione, che nasce da un pre-giudizio, si giunge alla somministrazione routinaria di sedazione, la quale a sua volta rende paziente e curanti dipenti da essa.
Se ripenso alla mia pratica clinica quotidiana, ed a quanto si può leggere nella letteratura medica, constato invece che l’eliminazione della sedazione nel paziente intubato non solo è 1) possibile ma 2) migliora la qualità e  3) aumenta l’efficacia delle cure intensive.

Non sedare il paziente con intubazione tracheale è possibile

Sembra impossibile solo a chi non lo fa. E’ assolutamente normale che il paziente intubato tolleri serenamente il tubo tracheale anche senza sedazione. Provare per credere. Per me, da almeno una quindicina di anni, è la regola vedere pazienti con insufficienza respiratoria e ventilazione meccanica che sono tranquilli e lucidamente consapevoli di sè e della propria condizione, con l’assenza di qualsiasi forma di sedazione.

Ci possono essere delle eccezioni, che si limitano però a pazienti con agitazione o delirium ipercinetico. E’ peraltro utile ricordare che il miglior modo per facilitare l’insorgenza di delirium è somministrare farmaci sedativi… Nei pazienti con agitazione, la somministrazione di sedativi può essere appropriata e modulata per ridurre l’agitazione (ad esempio per ottenere una RASS di 0 o 1), evitando se possibile la classica sedazione con il paziente assopito (RASS -1 o inferiore) (figura 1) .


Figura 1. Richmond Agitation-Sedation Scale (RASS)

 

Non sedare il paziente con intubazione tracheale migliora la qualità della cura

La qualità della Terapia Intensiva senza sedazione migliora umanamente: il paziente non è più un corpo senz’anima, ma riconquista la struttura e la dignità di persona, di un essere umano con pensieri e sentimenti, speranze e paure, che entra in relazione con i propri affetti e con le persone che gli prestano assistenza e cura. Smette di essere “il numero 5” e torna ad essere “Giovanna” o “Marco”, condizione quasi impossibile quando manca l’interazione personale, come tipicamente avviene nel paziente sedato. “Giovanna” o “Marco” sono anche più impegnativi da gestire del “numero 5”, hanno esigenze e difficoltà da assecondare che un corpo dormiente non pone. Tutto questo aumenta il carico di lavoro, fisico ed emotivo, del personale della Terapia Intensiva, in particolare degli infermieri. Per gli infermieri la gestione del paziente non sedato è segno tangibile di una elevata capacità professionale ed umana. E’ qui che si afferma una professionalità non rivendicata a priori ma dimostrata come reale valore. Senza una convinta adesione degli infermieri, il paziente senza sedazione non può andare lontano. Ho la possibilità di trattare regolarmente pazienti intubati e non sedati grazie all’eccellente equipe infermieristica del reparto. Questa condizione non nasce per caso, ma da una lunga opera di educazione e di attrazione di persone con un elevato spessore umano e professionale.

Non sedare il paziente con intubazione tracheale aumenta l’efficacia del trattamento

Per capire l’efficacia clinica della scelta di minimizzare la sedazione diamo uno sguardo a ciò che ci dice la letteratura medica.

La ventilazione meccanica invasiva inizia con una anestesia generale per consentire l’intubazione tracheale. Al termine del tempo necessario per far cessare l’effetto clinico dei farmaci utilizzati (al massimo un’ora per ottenere il recupero completo della miorisoluzione), si può decidere se risvegliare il paziente o se proseguire per un certo periodo con la somministrazione di sedativi per ottenere una sedazione profonda più prolungata (una RASS uguale o inferiore a 3, vedi tabella 1). Quando possibile (non sempre lo è) il risveglio precoce dovrebbe essere preferibile. Esistono infatti studi che documentano una associazione  tra il mantenimento della sedazione nei primi giorni di ventilazione meccanica e la mortalità: in altri termini chi viene mantenuto sedato nei primi giorni ha una mortalità più elevata di chi viene risvegliato, anche “pesando” il dato per i confondenti noti (1-3).

Evitare la sedazione riduce la durata della ventilazione meccanica e la durata della degenza in Terapia Intensiva ed in ospedale (con la tendenza anche alla riduzione della mortalità in Terapia Intensiva) (4). Nello studio citato, nei pazienti senza sedazione potevano essere somministrati propofol, oppioidi o aloperidolo in caso di necessità, altrimenti i pazienti erano lasciati senza alcun sedativo di fondo (un approccio molto simile a quello che seguo personalmente). Esistono molti altri dati (che per brevità non analizziamo) che supportano il concetto che la riduzione della sedazione si associa alla riduzione della durata della ventilazione meccanica. Se qualcuno fosse interessato, ne potremo discutere nei commenti.

Figura 2 (tratta da Nseir S et al. Intensive care unit-acquired infection as a side effect of sedation. Crit Care 2010; 14:R30)

 

La sedazione favorisce l’insorgenza delle infezioni, prolungando l’esposizione ai fattori di rischio per le infezioni (4), quali la microaspirazione, la riduzione della motilità gastrointesinale, le perdita della regolazione della microcircolazione e l’alterazione della risposta immunitaria (figure 2, 3 e 4).


Figura 3 (tratta da Nseir S et al. Intensive care unit-acquired infection as a side effect of sedation. Crit Care 2010; 14:R30)

Il possibile aumento dell’esposizione alle infezioni è certamente un problema rilevante nel trattamento dei pazienti critici, associandosi, oltre al possibile impatto clinico, anche alla problematica dell’emergenza della multiresistenza batterica agli antibiotici che necessariamente devono essere utilizzati per il trattamento delle infezioni.



Figura 4 (tratta da Nseir S et al. Intensive care unit-acquired infection as a side effect of sedation. Crit Care 2010; 14:R30)

Evitare la somministrazione routinaria della sedazione ha un effetto favorevole anche sulla funzione renale, aumentando la diuresi e riducendo il numero di pazienti con disfunzione renale (6).

La somminsitrazione notturna di sedativi (propofol) per mantenere una RASS di -3 (vedi sempre la tabella 1), fatta nel tentativo di favorire il sonno, in realtà peggiora la qualità del sonno rispetto all’assenza di sedazione, riducendo numero e durata dei periodi di sonno REM (7).

Sedare i pazienti almeno li protegge dagli effetti sulla sfera psichica associati alla malattia ed alla degenza in Terapia Intensiva? Sembra proprio di no, nemmeno questo. Alcuni studi mostrano che, a distanza di mesi dal ricovero in Terapia Intensiva, i pazienti sedati e quelli non sedati presentano lo stesso livello di Post Traumatic Stress Disorder (cioè ansietà, depressione, incubi, …) (8,9). Uno studio retrospettivo (quindi da valutare con cautela) addirittura trova un’associazione tra Post Traumatic Stress Disorder a sei mesi e la somministrazione di propofol in fase acuta nei pazienti con trauma (10).

Conclusioni

Abbiamo visto che la sedazione non è necessaria per gestire un paziente intubato. Ed abbiamo visto che si può associare a conseguenze cliniche sfavorevoli. La conclusione ovvia è che dovremmo usare i sedativi solo quando necessario per la gestione clinica (trauma cranico grave, ARDS grave, ecc.) o per sedare pazienti gravemente agitati (es. RASS ≥ 2-3).

Penso sia utile essere consapevoli di alcune resistenze a questa strategia.

Una prima resistenza viene dall’abitudine di medici ed infermieri, che hanno ereditato una cultura “di altri tempi”, quando esistevano modalità ed approcci “arcaici” di ventilazione meccanica, quando i pazienti erano più giovani e le degenze più brevi (in poco tempo le cose andavano o bene o male). Oggi, con possibilità di ventilazione più sofisticate, spesso non abbiamo bisogno della sedazione per “adattare” il paziente al ventilatore; l’indicazione al ricovero in Terapia Intensiva si è estesa anche a pazienti anziani ed a condizioni di estrema gravità che possono trovare soluzione solo in tempi lunghi di cura. Dobbiamo necessariamente cambiare la mentalità sulla sedazione. I cambi di mentalità sono sempre lenti, ma se si dove arrivare, prima o poi ci si arriva. Il problema sta nel non vedere lucidamente la direzione da percorrere.

Una seconda resistenza nasce dall’equivoco sul significato dell’ospedale senza dolore. Bisognerebbe essere consapevoli che, se mal interpretato, l’ospedale senza dolore rischia di diventare un ossimoro. L’ospedale è un luogo per la cura della malattia, condizione di sofferenza psichica e fisica. E’ certamente compito del medico lenire farmacologicamente questa sofferenza a patto di non danneggiare la persona curata. Le cure palliative sono l’unico ambito dove la cura della sofferenza passa davanti a tutto. Negli altri contesti di cura, il trattamento farmacologico della sofferenza deve essere bilanciato con gli effetti sfavorevoli. Spero che sia venuto almeno il dubbio che quel paziente mezzo addormentato dai sedativi, che apparentemente non soffre,  possa pagare questa condizione con una maggior possibilità di prolungare la ventilazione meccanica, di avere infezioni, di avere insufficienza renale, di morire. Questi concetti devono essere condivisi con le famiglie dei nostri pazienti, sempre comprensibilmente preoccupate di evitare ogni sofferenza al proprio caro, ma spesso non consapevoli del costo biologico e clinico che questa scelta comporta.

Non dimentichiamo infine che possiamo essere esposti al rischio di utilizzare sedativi anche grazie all’informazione scientifica di chi li produce. Informazione scientifica spesso utile e preziosa per l’aggiornamento professionale, ma non sempre disinteressata.

Un sorriso agli amici di ventilab e buone vacanze!

 

Bigliografia

  1. Shehabi Y et al. Early intensive care sedation predicts long-term mortality in ventilated critically ill patients. Am J Respir Crit Care Med 2012; 186:724-31
  2. Shehabi Y et al. Sedation depth and long-term mortality in mechanically ventilated critically ill adults: a prospective longitudinal multicentre cohort study. Intensive Care Med 2013; 39:910-8
  3. Balzer F et al. Early deep sedation is associated with decreased in-hospital and two-year follow-up survival. Crit Care 2015; 19:197
  4. Strøm T et al. A protocol of no sedation for critically ill patients receiving mechanical ventilation: a randomised trial. Lancet 2010; 375:475-80
  5. Nseir S et al. Intensive care unit-acquired infection as a side effect of sedation. Crit Care 2010; 14:R30
  6. Strøm T et al. Sedation and renal impairment in critically ill patients: a post hoc analysis of a randomized trial. Crit Care 2011; 15:R119
  7. Kondili E et al. Effects of propofol on sleep quality in mechanically ventilated critically ill patients: a physiological study. Intensive Care Med 2012; 38:1640-6
  8. Treggiari MM et al. Randomized trial of light versus deep sedation on mental health after critical illness. Crit Care Med 2009; 37:2527-34
  9. Strøm T et al. Long-term psychological effects of a no-sedation protocol in critically ill patients. Crit Care 2011; 15:R293
  10. Usuki M et al. Potential impact of propofol immediately after motor vehicle accident on later symptoms of posttraumatic stress disorder at 6-month follow up: a retrospective cohort study. Crit Care 2012; 16:R196

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